Getsemani di Luca Pizzolitto, “il rapimento dell’ascesa”.

Getsemani di Luca Pizzolitto, peQuod edizioni 2023, è un libro che esige la meditazione del lettore, credo di averlo amato, e di amarlo, proprio per questa ragione, per l’entrata nello spazio sacro a cui mi ha chiamata, spazio che per almeno due volte è esplicitamente citato (p. 46):
tutto ciò che separa è santo- dicevi
tutto ciò che separa è santo.
La ripetizione rispecchia il concetto mutando la sua direzione, il moto di ritorno prepara la sua interiorizzazione, traccia un solco nel cuore e nella memoria, prefigura un nuovo spazio. E poi (p.: 62): “Il giorno brucia lo spazio/ sacro dei corpi”. Se la sacralità della separazione e dei corpi appresta l’incontro con il divino, la poesia di pagina 49 riconosce l’essenza di Dio come luogo totalmente indefinibile in termini geometrici, nessuna misura se non l’eterna resa può darne conto:
Da qui non si parte
né arriva.

Dio spazio d’eterna resa.
Qui viene detto l’assoluto. Lo spazio tra i versi è emblematico, esplica e racchiude una molteplicità di sensi e di significati: è il silenzio necessario, la discesa della rivelazione, il suo moto verticale che consente il rapimento dell’ascesa, è la figurazione della resa. Troveremo spazio tra le parti di una poesia in altre pagine, un distacco che assume, a parere di chi scrive, ulteriori significati e funzioni che invitano a soffermarsi sulle architetture di quest’ultima raccolta di Luca Pizzolitto. L’attitudine di chi legge poesia a farsi attraversare dal testo, a compenetrarlo in un dialogo ermeneutico di attese e continue ridefinizioni dei percorsi in cui la parola si fa poesia nei propri orizzonti interpretativi, deve combaciare qui con l’atteggiamento di chi consapevolmente medita non solo sulla parola, ma anche sui paradigmi e sulla sintassi poetica che prendono forma nello scabro paesaggio dell’opera dove la parola si fa interrogazione, verità, sete, resa: ombra e luce, vuoto, scavo, una liticità arsa e riarsa, spersa al vento, l’abisso dell’assenza, il deserto di spine (p. 19): “Miseria di sassi e rovine/ si posa il deserto di spine/ sui volti, la misura/ è colma, la via segreta.” Getsemani, è un attraversamento, la falsariga della supplica nell’orto di Getsemani si compie fino alla resa, affidare e affidarsi della parola e del sé. Getsemani rende la parola, sembra farne infine un dono all’Altro, a ciò che l’Altro diventa nel cammino della via segreta, all’Altro che non può conoscere se non per sete e per sottrazione. Si tratta, come già visto di una parola sacra, una parola che ha il suo proprio spazio di intangibilità, che risiede in uno spazio purificato dal deserto della sete e dell’assenza. Il percorso verso il compimento è occulto e occultato, solo chi riceve la grazia, che è al contempo insondabile calice della resa, può addentrarsi nella via segreta. Ma arrivare alla resa nell’incommensurabilità dello spazio divino richiede un passaggio che è concreto – l’uomo a cui la raccolta è dedicata e in fin di vita- e simbolico (p. 17):
Il parto avaro della notte
mastica e sputa la displasia
del giorno, separi il respiro
in due acque.

I cieli divisi della tua fame
Nell’abisso, nel vuoto

non esiste parola
Il poeta parla di divisione, di separazione e ne parla nel segno del massimo sconforto. La sospensione, l’attesa, il momento della supplica che sfocia nello scoramento, fanno presente il rischio di cadere nell’abisso del nulla nel quale non esiste la parola, non esiste il logos che dà forma al mondo, al pensiero del mondo e alla relazione. Ma allo stesso tempo accade che nel respiro malato e nel disordine del giorno si apra un passaggio. La separazione dei versi è qui sguardo di pietà sulla debolezza dell’uomo e prefigurazione della verticalità della caduta nell’orrido del nulla.
Bisogna entrare nei luoghi di questa poesia, seguire le vie, i marciapiedi, i casi e gli accidenti, cioè quello che cade e accade, quello che crea vuoto intorno. L’immagine della caduta si ripete e, intorno a certe cadute, il vuoto. Alcuni esempi: Cade la neve, s’infetta/ la colpa delle mani (p. 26);  “Dalla gerbera sul davanzale/ sono caduti i petali uno ad uno.// Il puro manto/ lontano dal viso/ l’inganno fermo/ il desiderio infranto” (p. 28). Senso di vuoto e discesa sono individuabili nella poesia di pagina 29, un testo emblematico per la molteplicità di riferimenti e la densità dei contenuti. 

Ogni opera letteraria si compie nel rapporto tra la parola scritta, la parola configurata e azzardata nel progetto di scrittura, e quanto chi si accinge alla lettura, legge di sé, del suo mondo, dei suoi orizzonti, dello stato e del desiderio della sua conoscenza. Leggere letteratura può costituire un rischio, richiede una disposizione a mettersi in gioco, a rivedere i propri assunti sulla rappresentazione del mondo, della propria attitudine ad abitarlo, a generarsi e rigenerarsi continuamente in esso o ad abdicare e ritrarsi.
Con la più recente raccolta di Luca Pizzolitto è necessario fare un passo oltre. Nell’abisso, nel vuoto non esiste parola.
Questo è

Miseria di sassi e rovine
si posa il deserto di spine
sui volti, la misura
è colma, la via segreta

La poesia di pagina 22, che riporto per intero, è una Pietà in parole, testimonianza e pegno d’amore per il compianto, pianto che prostra e rigenera, unione nel pensiero dedicato
Sul marciapiede vinto dal sole,
le parti di te che l’ombra infiora
e protegge, rose sfamate
nel pianto, spoglie vite di sangue. Asteria rubens, lucore senza
domani, la grazia in gola
il primo sussulto della lingua,
la vestizione, a terra, di stanche,
                                                       nude parole.

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