Lina Maria Ugolini, “Tutti poeti i bambini brioscia”. Un libro prezioso in odor di rinnovamento.

«Cielo e mare dovrebbero spiegare la libertà/ a chi crede di possederla a forza e prepotenza. // In periferia l’azzurro non interessa/ l’azzurro è solo dei poeti/ dei bambini con la brioscia // quando masticano/ rime e molliche.// Si vede il mare dalla periferia/ un mare che non si può toccare/ un mare che grida invano/ a chi non ha orecchie per udire». Versi scelti dal nuovo libro di Lina Maria Ugolini, “Tutti poeti i bambini brioscia”, pubblicato da Nous, con una dedica di Antonio Presti (“Sono qui per stupirmi… perché lungo il cammino dello stupore sfuggo per un attimo al mondo della divisione ed entro nel mondo dell’unità”) e la postfazione di Loredana Caltabiano che chiarisce come questa raccolta «nasce dal lavoro a stretto contatto con la realtà di “Musicainsieme” a Librino, che da più di tredici anni offre gratuitamente la possibilità di accostarsi al canto corale o allo studio di uno strumento musicale ai bambini dei popolosi quartieri della periferia di Catania». Un libro abitato da aliti di conoscenza, da immaginazione, da cariche contagiose di vita, di libertà, scoperta e verità. Un libro prezioso, inazzurrato, nato dall’ascolto e dalla presenza, in odor di resistenza, rinnovamento e rifioritura.

Come nasce il tuo “Tutti poeti i bambini brioscia”?
La poesia nasce sempre dall’osservare, dal sentire, dal cogliere l’impensato. Ho avuto modo di portare a Librino le mie storie, d’incontrare molti bambini del quartiere. Alcuni di loro hanno folgorato il mio cuore.

Perché proprio bambini “brioscia”?
La forma della nostra brioscia con il “tuppo” rimanda a quello che definisco il materno della mollica. Consegnare quest’immagine al senso dell’infanzia equivale al “cunuttare”, verbo che nella lingua siciliana porta abbraccio, conforto, sostegno a chi per carattere non trova la forza di reagire. Per potenza di poesia la brioscia si trasforma in scudo contro le angherie dei più furbi, il “tuppo” in bottone di gioco per fare le rime.

La poesia “salva la periferia”?
Salva nel momento in cui diviene canto, musica, nella volontà di un linguaggio che racconta il vero e consegna petali di bellezza. La poesia in ogni periferia è seme nel vento, papavero tra ferri e ruggine, ortica e antenne, spazzatura e case. Il verbo salvare contiene il senso del sottrarre da un pericolo. In questa accezione la poesia, nell’essenzialità della parola, asciuga, trattiene, consegna un fiore che sboccia. Il sottrarre salvifico comporta in questi luoghi un’estrarre, duro lavoro di miniera in cerca di gemme segrete, tra queste la speranza.

In che modo questa esperienza di “contatto diretto” è nata e ha forgiato le immagini che animano questo meraviglioso libro?
Lavorando con l’organico d’archi di Musicainsieme a Librino curato da Valentina Caiolo, su due progetti di concerto spettacolo:” Vincenzo e la luna”, volto a raccontare il senso poetico e melodico della musica di Bellini ricorrendo anche al linguaggio dei Pupi dei Fratelli Napoli; “Sette barchette rosse” nella notte del Natale, una fiaba che salva dai rifiuti del benessere parole preziose da affidare alla magia di barchette di carta schiuse dalle mani di bambini.

“La poesia è il midollo della vita” scrivi, con questa premessa per domandarti: la poesia è (anche) destino?
Più si cresce negli anni più la poesia per me è midollo. In medicina tale termine rappresenta un tessuto spugnoso, ricco di nutrimenti per il sangue e le ossa. In botanica alimenta il fusto delle piante, costituisce una riserva di vita, il midollo è la parte più interna e vecchia di un albero, più dura ma anche più fragile, soggetta a linearsi. Pari la poesia: spugnosa, coriacea, inquieta come il taglio sulla tela di Lucio Fontana. La poesia nel profondo del proprio midollo crea fori e fessure, sbircia l’infinito.
Ancora, cosa può la poesia nell’avido cieco mondo delle umane ristrettezze (come lo definisce Antonio Presti nella dedica in apertura del libro)? Toglierei al mondo l’attributo della cecità. Avida di consumi la nostra società, sempre più ristretto l’orizzonte dell’uomo asservito alla tecnologia. Cieca la poesia nei sensi vigili e portentosi di un cieco. La cecità è visione interiore, percezione dell’invisibile, chiaroveggenza in Tiresia, Una condizione perduta che solo l’arte della parola può recuperare.

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare 3 poesie dal tuo libro; e di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere (nel contesto del libro che l’accoglie).

Tutte le poesie di questo libro nascono da immagini, nella cronaca di una sorta di blues di periferia che il comporre poetico trasforma in visioni.
Ecco la prima:

Tanuzzo e il nonno

Passa poi Tanuzzo
lui la brioscia non la mangia
preferisce il pane con il salame.

Ci beve sopra birra e coca cola
perché gonfiano la pancia
così può andare nel cortile
dove i rutti escono e tornano
lunghi e più grandi
dove Tanuzzo tiene pure
un quad metallizzato
a quattro ruote.

Dietro si porta il nonno
che da solo non cammina
dal tempo in cui è stato sparato alle gambe
scappato alla polizia.

Tanuzzo fa girare il boss
caduto e decaduto.
Dopo che si sveglia
e scalda il caffè.

Vanno per strade con le mosche
fino a quando il sole
scompare tra le antenne.

A volte qualcuna brilla
diventa una stella, una scintilla.
Tanuzzo la fa notare al nonno
lui dice: pigghiatilla.

Un altro bambino brioscia è Donato. Dal proprio balcone vede solo il traliccio di un’antenna, un ostacolo triste che l’orizzonte il guardo esclude…

Donato che ha gli anni
come le dita delle mani
è il più grande senza baffi
quello che non insulta
se si gioca a pallone
quello che di pomeriggio
mangia olio, basilico e pane.

Lo prende nella terra
il basilico, piantato dalla nonna
dentro un quadrato
dove non c’è spazzatura.

Poggia la foglia sulla fetta
è verde e spicca tanto
il basilico profuma
e fa più buono il pomodoro
salsa che non è sangue.

Potrebbe quella foglia
stare sui morti ammazzati
a farli tornare vivi
sparati per finta.

Immagina tanto Donato
a notte nel letto
fissando nell’ombra l’antenna

d’argento se c’è la luna.

Concludo con “Stella di latta”, poesia che è stata messa in musica da Anna Al Contrario, cantata in “Sette Barchette rosse”, ascoltabile sul sito di Nous editrice scaricando il QR presente nel libro.

Stella di latta

Stella di latta
gettata via
stella di periferia
stella argentata
stella ammaccata.

Stella caduta dal cielo
fiore senza stelo
non appassire
devi brillare
seme in scintilla sul mare.

Stella di latta
stella perduta
una mano ti trova
una mano ti aiuta
ti appende a dondolare
dove c’è chi sa guardare
dove la violenza non crede
dove il futuro ti vede.

Stella di latta
stella di periferia
balla su queste note
senza malinconia.

Stella di latta
stella da spazzatura
se nasce una creatura
muore la paura.

Lina Maria Ugolini, figlia e nipote d’arte lavora sulla scrivania del nonno fiorentino, appartenuta a Luigi Napoleone Re D’Olanda. Forgiatrice di linguaggi e forme impugna quotidianamente la sua penna a spina di rosa. Molti cappelli le fanno compagnia nell’arte del passeggio e del pensiero, ardito in leggerezza nel costruire romanzi e fiabe, poesia e saggi creativi pubblicati con vari editori tra cui rueBallu (premio Andersen 2016), Gremese, Ensemble, Splēn, Villaggio Maori, Siké, Giazira, Ensemble, Kalòs, Saecula, Edizioni del Foglio Clandestino, Akkuaria, Nous, Florestano Edizioni.
Nata e cresciuta tra musica e teatro inventa progetti di scrittura, didattici e di divulgazione musicale. In qualità di drammaturga collabora con il Teatro Massimo Bellini, la Camerata Polifonica Siciliana, Musicainsieme a Librino, Cartura, Marionettistica Fratelli Napoli, Piccolo Teatro della Città, Compagnia GoDoT.
È docente titolare di Analisi delle forme poetiche (nonché autrice del rispettivo manuale), Tecniche di elaborazione per la poesia per musica, Storia del teatro musicale e Drammaturgia musicale al Conservatorio “Vincenzo Bellini” di Catania; Storia del jazz. Ha insegnato al Conservatorio “Umberto Giordano” di Foggia sez. Rodi Garganico, al Conservatorio “Antonio Vivaldi” di Alessandria. Ha al suo attivo numerosi testi andati in scena e performance poetiche per voce e musica. Parla di libri sui social indossando il cilindro dell’Onesta signora Pickwick.
www.linamariaugolini.it

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