#1Libroin5WPoesia.: Chiara De Luca, “Versi animali”, Kolibris.

#1Libroin5WPoesia

Poesia per dire la centralità della vita (tutta). Poesia per dare l’opportunità di aprirsi alla propria coscienza, alla conoscenza. Poesia come lente di un tempo possibile, quello che ci è dato scegliere, da percorrere secondo l’incanto del libero arbitrio, un atto di volontà (misto a “illuminazione”). Poesia come condizione centrale (primaria) di autocoscienza. Parliamo di “Versi animali” di Chiara De Luca (poetessa, traduce da inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese e olandese; appassionata di fotografia e videomaking). Quella della De Luca, scrive Stefano Serri nella bella prefazione, “è testimonianza di una civiltà animale, (…) il secondo modo per ricalibrare l’attenzione sull’umano (…) Animali con nome proprio, perché non serve ad esistere il nome, ma a entrare in relazione: non personaggi d’invenzione, ma compagni di giornate. E anche insospettabili maestri”.

Del volume, pubblicato da “Kolibris”, nella collana “Chiara – Poesia italiana contemporanea”, per introdurre la nostra intervista, proponiamo quelli che “sentiamo” come versi rifrangenti: «Impara dai cani la memoria del presente/ il fuoco che eterna nel vento ogni istante/ (…)/ Conosci fedeltà dei gesti alle intenzioni,/ ma tieniti pronto a tornare alla tua lingua:/ l’uomo non sa lo spartito dello sguardo/ né la polifonia eloquente del silenzio».*

 (Grazia Calanna)

 

 

Chi?

I protagonisti sono tanti, è un libro “corale”, e Corale è anche il titolo di una delle sue cinque sezioni. La prima, Ignorerò l’odore del fango, è dedicata al poeta Ashraf Fayadh, figlio di rifugiati palestinesi nativi di Gaza, che nel gennaio del 2014 viene arrestato in Arabia Saudita e incriminato per apostasia sulla base di una discussione pubblica avuta in un bar e di presunti riferimenti contenuti nella sua raccolta poetica Istruzioni all’interno. Nel novembre del 2015 Fayadh fu condannato a morte. In seguito alla movimentazione della comunità internazionale, la condanna fu commutata in otto anni di carcere e ottocento frustate. Ignorerò l’odore del fango è un verso di Fayadh, tratto dalla raccolta poetica incriminata.

In Corale protagonista è la natura umana con le sue contraddizioni e il suo tormento. Il male, che in alcuni individui ha il sopravvento, tanto da non poterlo controllare. Il buco nero della follia quando inghiotte la ragione. E il suo contrappunto, la luce del bene quando riesce a prevalere.

In Percorsi in versi protagonista assoluta è la natura nei dintorni di Ferrara, dove mi addentro guidata da Eva, setter irlandese e Titti, grande microcane. Le mie piccole mi hanno insegnato ad abitare il presente, ad aguzzare tutti i sensi per cogliere anche quello che non si vede, a fare attenzione ai particolari: a ogni foglia o filo d’erba che si muove, a ogni minuscola creatura, a ogni battito d’ali o richiamo, a ogni minima variazione della luce con il passare delle ore e delle stagioni, rivelandomi tutte le facce di uno stesso posto, che non è mai uguale, ma tappa di un viaggio sempre nuovo e pieno di sorprese.

In Incontri i protagonisti assoluti sono gli animali d’altra specie. Di nuovo Titti ed Eva, le mie cagnoline, le mie guide. E i fratelli che incontro grazie a loro: mamma merla e il suo merlotto precipitato in volo, le talpe che la sera sulle Mura fanno capolino, i fagiani che gridano nel buio, le lucertole che sgusciano d’estate tra i mattoni, la gatta Priscilla regina del quartiere, una tartaruga che ha smarrito la strada per il lago, un piccione malmenato da una gazza ladra, un colombo con il petto bianco aperto sul sagrato della chiesa, i germani reali che sbeffeggiano Eva dal centro del lago, l’airone incontrato nell’intersezione tra il parco urbano e la campagna tra la fine dell’anno e quello  venire, l’arzilla e volitiva cagnolina diciassettenne con il suo docile compagno umano, i cani di Petra incontrati negli scatti del poeta e fotografo Khaled Youssef…

Cosa?

In Ignorerò l’odore del fango i temi principali sono l’esilio e la difficoltà d’integrazione. La privazione della libertà d’espressione e la solitudine carceraria. La prigione vera e quella immaginaria. La scrittura come possibilità di salvezza in entrambi i casi.

La privazione, evidente o infida, della libertà d’espressione è un tema che mi sta molto a cuore, così come la questione palestinese. Inoltre, mi commuove sempre il destino di un poeta tra le sbarre. In fondo siamo tutti tra le sbarre della scrittura, che la ricerca di una via d’uscita può trasformare in una chiave.

In Corale rivivo alcuni fatti di cronaca, come la strage dell’Airbus Germanwings A320-200, che, con 149 persone a bordo, si schiantò contro le Alpi francesi a seguito di una manovra deliberata del primo ufficiale Andrea  Lubitz; la morte della malinois della polizia francese Diesel in occasione della cattura del terrorista jihādista Abdel-Hamid Abu Oud, mente degli attentati di Parigi del 2015; lo stupro e femminicidio di Desirée Mariottini, giovane creatura di cui la stampa fece uno scempio non certo inusuale, ma più feroce e capillare che in altri casi; la strage familiare compiuta dall’antiquario Galeazzo Bartolucci prima di suicidarsi in una via del centro a Ferrara, a pochi passi dalla piazza in cui abitavo allora. A questi fatti di cronaca, in cui emerge il lato più oscuro e spaventoso della natura umana, fanno da contrappunto piccole, anonime storie ferraresi luminose, come l’incontro con Tiziana, animatrice per i bambini malati all’ospedale, che una mattina di nebbia mi salvò quando caddi nel laghetto del parco urbano di Ferrara, rischiando di annegare; il vecchio “Santiago”, innamorato dell’indimenticata madre perduta e felicemente immerso nel ricordo del suo cane e compagno d’avventure lungo il fiume Po. E poi gli abbandonati che incontri per le strade la sera, mentre si preparano ad affrontare il freddo della notte; i silenziosi avventori solitari del mattino. Infine una preghiera a Gesù Bambino.

La ragione è giustapporre il buio e la luce presenti nella natura umana, ricordare la possibilità di una sopravvivenza del bene oltre ogni orrore nella nostra vita individuale e collettiva.

In Percorsi in versi racconto le corse a sei zampe con Eva nel mattino, che realizzano un mio antico sogno di bambina, quando correvo sulle mura di Ferrara in compagnia di Black, il mio grande cane nero immaginario. E poi le passeggiate a dieci zampe con Eva e Titti, sotto la pioggia, nella neve, nel gelo, nel buio. Il motore qui è la voglia di raccontare quello che è per me l’amore, ritracciando il mio personale percorso alla ricerca della felicità, che si snoda tra il verde dei campi e la maestà degli alberi, a colloquio con l’acqua in tutte le sue forme, in senso inverso all’autostrada per la felicità che ci indica la società attuale, previo pagamento di un salato pedaggio all’ingresso.

In Incontri il fulcro è la resistenza della natura nelle nostre città, la compresenza di una civiltà animale, spesso nascosta o fuggiasca, che i cani ti aiutano a incontrare, insegnandoti ad annusare l’essenza delle altre creature, a vederle, anziché distrattamente guardarle.

In Casa il fulcro è l’intimità domestica con la pace del silenzio, il calore della presenza animale, con la musica del respiro e la certezza del bene. La pienezza nella consuetudine delle piccole cose familiari. Le code canine. La gioia dell’abbandono. Le fusa feline. L’amore puro. La ragione è non perdere di vista il bene, proteggerlo e cullarlo e farlo durare.

Quando?

Versi animali esce 8 anni dopo la precedente raccolta, Alfabeto dell’invisibile, pubblicata nel 2015 e ripubblicata nel 2022 con alcune aggiunte. La genesi di Versi animali è stata molto lunga e tormentata. Il nucleo iniziale, le poesie dedicate ad Ashraf Fayadh, scritte nell’autunno e inverno del 2015-2016, contenevano quello che sarebbe stato il fil rouge del libro, ancora tutto da sdipanare e filare.

La vicenda di Fayadh mi ha accompagnata e ossessionata per mesi, portandomi a riflettere sulle ragioni profonde del fare poesia, sulla necessità di scrivere senza filtri e nascondimenti, sulla mia esigenza di cercare un dialogo tra storia individuale e collettiva, tra pubblico e privato, cronaca e quotidiano, anche perché i confini sono sempre più labili, e la cronaca entra sempre più prepotentemente nelle nostre vite, avvicinando anche quello che è all’apparenza lontano. Delle tante poesie scritte in quel periodo ne ho salvate poche, che sono confluite in quella che sarebbe stata la prima sezione di Versi animali: Ignorerò l’odore del fango. Poi c’è stata una lunga pausa, durante la quale ho lavorato al memoir in prosa Lettera alla cana, in cui per la prima volta trovavo il coraggio di scrivere degli animali che mi hanno rivoluzionato la vita, riempiendola di gioia e di amore puro. La lettera è indirizzata a Titti, cui è dedicato anche un poemetto omonimo, uscito nel 2020.

La stesura delle altre quattro sezioni di Versi animali è proseguita fino allo scoppio della pandemia di Covid-19, cui è seguito un lungo silenzio della mia poesia, che tutt’ora perdura, in attesa di trovare la musica giusta per cantare molte cose che mi stanno a cuore.

Versi animali ha riposato a lungo, finché non sono tornata a lavorarci un paio d’anni fa, per pubblicarlo il 1 ottobre del 2023, giorno del 15° compleanno di Edizioni Kolibris, la casa editrice da me fondata nel 2008.

Dove?

Versi animali è nato metaforicamente in prigione. È cresciuto evadendo nell’aperto, spezzando tutte le ultime catene. Fuori metafora è nata nella “casa del camino” ed è cresciuta nella “nave al largo del cielo”, ovvero la “casa del lucernario”, entrambe descritte nell’ultima sezione.

Perché?

Per fare memoria. Ogni libro è una pietra miliare, tappa della nostra storia, testimonianza di come si è intrecciata con quella collettiva. Versi animali perché è un dialogo con i miei simili, ma anche con animali d’altra specie, in cui ognuno parla la sua lingua. Ognuno ha il suo verso nel silenzio.

 

 

Scelte per voi

Riporto una poesia dalla sezione Ignorerò l’odore del fango. Nata nei primi tempi della prigionia di Ashraf Fayadh. Racconta la prigionia del dolore, la fede nella scrittura “per bastone”, quello del rabdomante.
Tra il sonno e la veglia nel giorno
passo passo mi addentro fingendo
di non sapere il buio e tornare

a non essere più la bambina
che sola non riesce a tenere
la distanza dal ciglio del male

e perfettamente sola lo è
già stata dentro se stessa
insediando per tutta la vita

nel deserto di sé il silenzio
ascolta i passi lievi del cuore
scivolare strisciare sciamare,

precipitare scoppiare svanire,
in un tonfo balzare nell’imparare
a correre forte più del dolore

sbatte contro le ombre più oscure
non danno appiglio di vento tramonti
di sguardi sui volti dei ladri di slanci

d’ardore non danno calore le mani
strette per fame o per convenzione
non ha luce la voce di amici sconfitti

dall’ego e dall’ansia d’affermazione
la smania che afferra ogni occasione
stolta pestando rimasugli del bene

e promesse scritte spillando le vene
il baratto che cede parole a milioni
per quattro spiccioli d’approvazione

nel sacco strappato delle illusioni
sul foglio di un’alba che non riviene
teme riaprendo gli scuri sul mondo

che l’azzurro manchi come da giorni
nel cavo del cielo e che non ritorni
a vestirsi del vero e del canto di un sogno

posta in gioco di ogni risveglio
d’oro e d’argento sul piombo del vento
che piega i rami e li strema nel pianto

e ancora scrive con le mani gelate
attorno alla penna come un bastone
che tiene il passo nella luce di neve

densa sul nero del tavolo al buio
scrive in nome d’ogni abbandono
nei bianchi del foglio Perdona:

lo stolto candore dell’innocenza
tutta la riarsa sete d’infanzia
che invita a morte come a una danza;

apro gli scuri m’inonda con forza
piove sui rami sfregiati dal freddo
della chenzia all’ingresso e la mangia

scorre sui dorsi dei libri e ritorna
il grido del sole alto che assorda
sulla soglia tra un mite novembre

e l’inverno il lallare dell’anima
venuta alla luce già inferma.

D’acqua è la poesia che chiude la sezione Percorsi in versi, che tracciano anche un percorso esistenziale verso una sempre maggiore consapevolezza di quello che mi rende felice.
L’acqua è sempre stata una delle ossessioni della mia poesia e della mia fotografia.
Questa poesia nasce come una sorta d’inventario, a seguito di una passeggiata nell’alba invernale con i miei cani, durante la quale mi sono sentita come loro immersa nel presente, libera dalla zavorra del dolore, lontana dal teatrino del vano, in corsa verso il futuro.

D’acqua

I

Scostare il velo greve
dell’inverno, attraversare
il parco deserto, trovarsi
al fosso che sottile separa
la città dietro la schiena

dalla campagna che resta
aperta di fronte, basta
un istante – con la nebbia
non c’è orizzonte né strada
percorsa – e siamo nell’oltre,

mi volto, i cani hanno già
fatto il salto, e sono adesso
in corsa sul campo di fronte.

Mi fermo e provo a sentire
dolore di tanto abbandono
che non ha salvato nessuno

né quella che ero; ad avere
anche una goccia soltanto
d’acqua salata nell’occhio
a fare di sguardo ricordo.

Ma qui è d’acqua dovunque
nella brina bianca dell’alba
nel sangue verde del lago
nella condensa del fiato
nel prato zuppo di cielo

nella linfa che dentro scorre
in segreto, ha così pianto
ogni colpo e tradimento
che nell’aperto non sento
nostalgia dello sguardo dell’altro.

Dietro sfuma il pantano
umano, teatrino del vano
ogni parola che asseta
carta bruciata d’attesa.

Nel bianco nient’altro
pulsa che il fiato caldo
dei cani accanto. Il silenzio
ha il fiato dentro, deserta

bellezza e ardente di sole
che anche stavolta risorge
dalla morte che era parsa
la notte senza speranza.
Tutto è solo evidenza
presente, in trasparenza
amore sul fondo del lago
cieco, il gelo in distanza,
un abbaglio del tempo
che non è stato ogni assenza.

II

È odore delle mattine d’inverno,
di brina e fango nel parco deserto,
di condensa di fiato nel bianco,
di nube e nebbia, odore di cane
fradicio e felice, di foglie marcite,
di prato inondato, di sangue verde
nei cerchi di un tronco abbattuto,
di pianto nel ramo caduto, odore
di ristoro dopo il sudore, di caldo
che scioglie le ciglia gelate tornando
all’interno d’inverno, velo bianco
che nel vetro intorbida lo sguardo.

Odore d’urina e medicinale
se il gatto sta male, di pianto
sul tempo passato guardando
senza pensare la piccola goccia
che cade dalla boccia nel tubo
e vi discende, odore di liquido
umore, lacrime e trasudazione,
frescura, sollievo, gola che freme.

Odore di fresca carezza se scoppia
la testa nel tardo mattino di festa.
Odore forte di mare in tempesta,
di fiume, di sale, di tuffi da fare
di brina, palude, erba e rugiada,
odore di bava, saliva e fontana,
di neve in lunghe strade scoscese.

Odore di oggi e di sempre, odore
d’ogni cosa nascente, di trasparenze
iniziali, di niente. Odore d’ovunque.

Odore dell’acqua nascente.

 

Infine riporto una poesia dalla sezione Incontri. Come tutte le altre di questa sezione, nasce da un incontro casuale. Una domenica, stavo tornando con Titti e Eva da una passeggiata lungo le Mura di Ferrara. Camminando in Corso Porta Mare, prima di imboccare via Montebello e tornare nella nostra casa di allora, la casa del camino, in via Camaleonte, accanto al teatro Verdi, siamo passate davanti al sacrato della chiesa di San Giovanni Battista, dove due bambini stavano discutendo, guardando fisso per terra. La poesia descrive la scena e riporta le loro parole, che mi colpirono molto perché racchiudevano due piccoli mondi complementari, che in qualche modo si sono intersecati, anche influenzati, nel bene.

Due bimbi stanno uno accanto all’altro
sul sacrato di San Giovanni Battista,
con lo sguardo abbassato sul selciato.

Uno tiene stretto qualcosa nel pugno
il braccio abbandonato lungo il fianco,

a un tratto lo porta di scatto sulla testa
lo getta all’indietro, prende lo slancio…

No! Fermo, fermo! Gli grida l’altro,
bloccando il braccio nel momento
prima che la pietra cali sul sacrato.

Non vedi che è morto? – Certo!
risponde la voce spezzata dal pianto.
Ma così lo uccidi ancora un poco!

L’altro abbassa il braccio di scatto,
si lascia scivolare la pietra di dosso.

Restano in silenzio fianco a fianco
a fissare in un solo sguardo spento
le ali aperte in una croce sull’asfalto,

il corpo capovolto, il petto bianco
offerto al cielo terso cui dalla ferita
profonda è svaporata la piccola vita.

 

Chiara De Luca corre 15 km al giorno. Traduce da inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese e olandese. È appassionata di fotografia e videomaking. Ha pubblicato con Perdisa la pièce teatrale Duetti, con Fara i romanzi La Collezionista (2005) e La mina (stra)vagante (2006) e i poemetti La notte salva (2008), Il mondo capovolto (2008), Il soffio del silenzio (2009), con Kolibris le raccolte di poesia La corolla del ricordo (2009, 2010), The Corolla of Memory (2010), traduzione di Eileen Sullivan, prefazione di John Barnie e John Deane, Animali prima del diluvio (2010), Il mondo è nato. Poesie in prosa e non (2020), Titti. Poesie e fotografie per cani e per bambini (2020), Credo/I Believe. A little anthology 2009-2019 (2021), prefazione di Elio Grasso. Ha pubblicato con Samuele Editore la raccolta poetica Alfabeto dell’invisibile (2015) con prefazione di Claudio Damiani, poi ampliata e ripubblicata da Kolibris nel 2021 con prefazione di Gabriella Sica. Ha pubblicato le antologie bilingui La somma di ogni ritorno/The Sum of Each Return. Selected Poems 2006-2016 (2016), con la traduzione di Gray Sutherland e la prefazione di Giancarlo Pontiggia e La Ronde du Rêve, con la traduzione di Elisabetta Barbier-Visconti e Jean-Claude Tardif, e la prefazione di Werner Lambersy. Ha curato per Fara l’antologia di poeti contemporanei Nella borsa del viandante. Poesia che (r)esiste (2009). Ha pubblicato con Kolibris la raccolta di articoli, saggi e recensioni A margine dei versi. Appunti sulla poesia contemporanea (2015; rivista e ampliata nel 2021) e l’e-book Quaderno di traduzioni (2021). Ha tradotto oltre un centinaio di raccolte poetiche, diversi romanzi e vari saggi.

 

*nota di lettura apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 12.02.2024, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi” a cura di Grazia Calanna).

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