#1Libroin5WPoesia.: Matteo Persico, “Warbling”, puntoacapo.

#1Libroin5WPoesia  

Chi?

L’io frammentato e dissociato che cerca di ricomporsi. Spesso nei testi si fa anche riferimento ad un Noi lirico collettivo, ma in realtà la distinzione tra interno ed esterno, come unici possibili campi di dispiegamento del reale e dell’agentività umana, rimane piuttosto precaria.

A parlare è un’unica voce-persona apparentemente non isolata, che si identifica con una categoria umana il cui perimetro non è però chiaro: potrebbero essere gli impiegati, i giovani, i giovani impiegati. Questo Io lirico all’inizio tenta disperatamente di trascendere sé stesso ed elevarsi a voce comune e condivisa (come si è soliti dire, farsi portavoce di una collettività indistinta), ma già al termine della prima sezione incorre nel primo evento traumatico e dissociativo: si rende conto che quello che lui identifica come male, ovvero il sistema capitalistico e tutto ciò in cui non si reputa integrato, non è un nemico esterno, una minaccia sconosciuta ed aliena, ma è uno spirito culturale che ha attecchito nella cognizione di tutti gli individui che compartecipano alla sua realizzazione. Improvvisamente si rende conto che anche lui è parte del problema. Da questo momento in poi l’Io Lirico perde ogni tratto d’ingenuità, ripiegandosi nella propria scissione e dividendosi in due ruoli opposti, di vittima e di carnefice.

Nell’ultima sezione, intitolata “Trattamento di Fine Rapporto”, la scissione sembra infine ricomporsi. L’Io lirico accetta la rinuncia insita nel compromesso, trasformandosi in un’entità-maschera disincantata e cinica. Ma è proprio questo cinismo che gli permette, seppur in modo stentato, di convertire le speculazioni caotiche che lo avevano condotto alla dissociazione, di riordinarle e oggettivarle in astrazioni, principi, valori.

Cosa?

Principalmente il senso di “stasi frenetica” imposto dalla civiltà contemporanea. Con “stati frenetica” intendo due concetti apparentemente opposti che nella particolare congiuntura imboccata dal tardocapitalismo riescono non solo a convivere, ma addirittura a rappresentare lo zeitgeist della nostra epoca: da un lato la stasi, ovvero la percezione diffusa che l’umanità sia arrivata alla fine della Storia, che non ci sia più alcuna possibilità di intervenire per modificare il reale (castrazione dell’agentività umana). E ancora, il dominio assoluto instaurato dal sentimento di nostalgia a discapito della mania creativa, la sempre maggiore difficoltà in cui incorrono i soggetti umani nel tentativo (vano) di immaginare il futuro. Ormai il futuro non si immagina, si subisce.

Dall’altro capo della corda c’è invece la frenesia, imposta da un sistema socioeconomico che pretende dai suoi adepti una performatività sempre più intensa, quasi inumana o post-umana, con il fine di espandersi senza vincoli e preservare il feticcio della crescita come paradigma inscalfibile.

Quando?

I concetti alla base della raccolta sono sempre stati parte della mia concezione del mondo. Tra i tanti, l’impossibilità di immaginare il futuro è sempre stata una sorta di ossessione che mi porto dietro fin da adolescente. Nel preciso istante in cui ho realizzato che il reale è composto da un prima e un dopo, mi sono reso conto che la mia generazione (non amo il concetto di generazione, preferirei usare la seguente parafrasi: agglomerato di entità umane che condivide il medesimo agglomerato combinatorio di eventi-relazioni) era caduta vittima di un lutto inconsapevole. Con gli anni ho capito che questo lutto si era concretizzato e continua a concretizzarsi nella perdita del futuro come progettualità.

La molla che mi ha spinto a scrivere l’opera è scattata nel 2017-2018 quando sono entrato in contatto con i “testi giusti arrivati nel momento giusto”, che mi hanno permesso di razionalizzare ed ordinare i concetti che vagavano sparsi nella mente.

Dove?

Senza alcuna velleità metaforica rispondo: tra casa mia e l’ufficio, in loop. A Roma, esclusivamente. Le prime idee, che invece erano nate nel mio ultimo anno da universitario a Pavia, hanno trasmigrato con me. Mi hanno accompagnato lungo il percorso fino a Broni-Stradella, qualche chilometro di Torino-Piacenza, un panino surgelato con la cotoletta sull’autostrada del Sole e poi giù fino a Roma. Dovevano solidificarsi e strutturarsi nel luogo in cui ero nato. Era destino, si vede.

Perché?

Parto dal titolo, che è la cosa più semplice. Il titolo, “Warbling”, nello slang del folk e del blues indica un trick per armonica a bocca simile ad un vibrato. Questa tecnica consiste nella ripetizione rapidissima di due note ravvicinate, in modo da generare un loop frenetico, schizoide, avvolgente. Metaforicamente, la tecnica del “Warbling” rappresenta lo spirito ontologico della stasi frenetica e ne abbozza perfettamente le proprietà repressive. Rievoca anche il processo di coazione a ripetere freudiano che, in qualche modo, viene storicizzato e attualizzato nella stasi frenetica.

Il perché di questo libro è altrettanto semplice. Ero incazzato, lo sono ancora, volevo sfogarmi con stile. Credo di averlo fatto. Fine della storia. E perché leggerlo? Perché è un capolavoro.

La domanda veramente complicata che mi è stata posta riguarda invece il perché leggere poesia oggi. È talmente complicata che risponderò nella maniera più semplice di tutte: non c’è nessun motivo per farlo. Anzi, direi proprio, non leggete più poesia. Non fatelo. Leggete i tre estratti riportati qui sotto, magari comprate “Warbling”, dategli una letta veloce e poi smettete del tutto con la poesia.

(avrei dovuto scrivere un racconto breve. O un saggio, magari. Ho puntato sul cavallo sbagliato)

scelti per voi 

Previdenza complementare

che a ventisei, discutere di previdenza
complementare e fondi pensione
ci sembra la morte stia già lì, rapace
dietro l’angolo, pronta a rapirci. o magari
è l’ombra dell’illimitato possibile
che sopravvaluta il ciclo di vita, un retaggio
degli studi umanistici: non ama fermarsi
alle polverose logiche di risparmio. invece,
dovrei sbloccarmi rispetto ai valori aggiunti
e smettere di ancorarmi al non-si-addice;
che davanti ad un Caffè Mauro – assunto
alle spalle di un’alba usa e getta – di cosa
dovrei mai parlare? calcio e pensione:
cardo e decumano, in logiche ferree.

 

Via Pratt / Via Bonelli

poco fa c’è stato un attimo d’orgoglio
poi amo’, ho voglia di dimettermi
dove l’hai sparata tanto grossa
all’altezza del 26 di Via Pratt
tra le luci natalizie tra le villette sto ancora fermo e sotto
si è scavato un solco: appena ripreso
un certo equilibrio comincerò
da ‘ste nostre giornate, che te devo di’, non c’è scampo
accantonando tanto basta le sorprese farò un fremito
(no, che dico) faremo un periplo di quartiere
come ci ritroviamo capiti ormai da mesi. a questo punto

di via Bonelli vedo che nulla ti tocca
e tutto ti distrugge, ti resta solo da dirmi:
sai, ho finito di «volontarieggiarmi»
se capisci questa parola capisci il lavoro non va
e tutto è così insensato che di quel palazzo quando
siamo arrivati c’era solo lo scheletro mentre
adesso ci osservano i riflessi dei divudì blurei
e perfino gli schiaffi li senti volare. così chiudi
la porta a cosa ci aspetta: in termini
tecnici ti rispondo: chiunque lo sappia è il benvenuto.

 

Uguale a

se: CNL = YWL

allora: NL = YWL/C

dunque: la vita umana è la risultante
[del rapporto tra il (reddito totale moltiplicato per tutti gli anni di lavoro)
e il consumo totale].

¬ NL = ¬ (YWL/C)

la morte – o anche, non vita – non è altro che il mancato rapporto tra
il mai avvenuto reddito e il negato consumo; oppure, fino
ad esaurimento scorte: la morte sopraggiunge
nella coincidenza

 

YWL = C

consumo e tempo; fino a che

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