#1Libroin5WPoesia.: Francesca Panarello, “Non mi piace la parola nemico”, Eretica Edizioni.

#1Libroin5WPoesia

 

Chi?

I protagonisti di questo libro sono i versi stessi, le svolte, le forme artificiose con cui la materia pensata e vissuta si è manifestata, innanzitutto a me che l’ho scritta, mettendola nero su bianco in simboli, in segni di riconoscimento. Se dovessi esserci riuscita, i versi avranno creato legami e connessioni analogiche, per via di intuizione, di musicalità, di ritmo, di sentìti. Se dovessi esserci riuscita, i simboli avranno potuto generare altra materia e altri simboli, già nel testo stesso ed eventualmente in chi li avrà letti o li leggerà.

Quando? Dove?

Ho dedicato gli ultimi 20 anni all’attività professionale di mediatrice dei conflitti familiari, esercitata parallelamente alla funzione di magistrato onorario di pace, che continuo a svolgere; contemporaneamente ho iniziato ad approfondire e praticare la mindfulness e la meditazione transpersonale. Metaforicamente potrei dire che questa creatura è stata concepita nelle mie tre stanze: della mediazione, dello studio del giudice, della meditazione. Tutta questa varietà di angolature con cui ho attraversato e attraverso i conflitti personali, interpersonali e sociali si è inevitabilmente riversata nella tensione verso un’altra verità: quella di una moltitudine di verità acquisite e apparenti, che possono co-esistere soltanto a uno sguardo cambiato, in grado di cogliere il taciuto interiore e propiziare incontri trasformativi, al di là delle interpretazioni e delle precomprensioni, potenzialmente divisive. Uno sguardo cambiato coglie le sfumature e le ambiguità del conflitto come un’opportunità, non vi si attacca per rafforzare la propria posizione e, soprattutto, non vive per combattere contro qualcuno o qualcosa.

Cosa?

La materia originaria – nel complesso molto meno ispirata da vicende personali, rispetto ai precedenti Nel Segreto del cuore (Il Gabbiano 2009) e, soprattutto, Muraiola (Eretica Edizioni 2018), ma pur sempre sollecitata dal contatto con la natura, dai cinque sensi e dal sesto – è quella esistenziale e introspettiva degli anni tra il 2019 e il 2022: anni di eremitaggio, in parte forzato dalle vicende socio- sanitarie e politiche di quel periodo, in parte scelto e goduto con un desiderio di crescita, di visione personale. È una materia fatta di selezioni, di setacci, di cicli chiusi e di altri intravisti, di disincanto e di resa all’esistenza tra cielo e terra, sulle sponde dello Stretto: una terra di passaggio e al tempo stesso di prossimità.

In forma di artifizio poetico è stato messo un pensiero, un pensum, una trama, di idee, intuizioni, stati d’animo, domande senza risposte, se non quella di non appagamento, di non gradimento della pretesa di risposte che recidono ponti e impediscono il sorgere di nuove domande: il pensiero dell’insufficienza del nemico, dell’inutilità della caccia al nemico, della vanità dell’eliminazione del nemico. In fin dei conti il pensiero della fine del falso mito, consolatorio e potenzialmente distruttivo, del pensiero unico.

La ragione di questa trama, di questa materia intuitiva volta in versi, è legata alla pratica di una postura di terzietà, vissuta nella veste ora di giudicante, ora di mediatrice, lì equidistante, qui equivicina; la ragione di questa trama è anche l’esito di un’esperienza interiore meditativa dell’incontro con l’altro “di sé e da sé”, di cui “so la perfezione”.

Tornando, dunque, al pensum di cui è fatto “Non mi piace la parola nemico”, alla ragione di questa trama in versi: non può piacermi, non mi appaga la parola nemico, la ricerca di un capro espiatorio, la polarizzazione delle idee, tipiche della fase personale e collettiva liminale, che l’intero pianeta e l’umanità che lo abita sta attraversando,: una fase  in cui, da un lato, la trasformazione di un modo consueto di fare e pensare si mostra inevitabile, mentre, d’altro canto, il nuovo fatica a farsi strada. Soprattutto, la parola nemico non può piacere a chi sperimenta, come ciò che il conflitto svela vale quanto una poesia. È per questo motivo, che mi affido alla mediazione della poesia, alla libertà dei suoi contenuti, alla varietà delle sue forme, dei suoi simboli, per interrogarmi e interrogare le parole e il lettore (che vorrà) sull’esistenza e su questo periodo di transizione che stiamo attraversando.

Non fosse altro perché, grazie al mezzo formale (al verso, alla struttura e al linguaggio) con cui in poesia il materiale umano viene organizzato, la materia acquista un potere specifico, che è quello di ispirare altra poesia e “lo stupore iniziale si trasformerà in un domandare perenne” (Maria Zambrano): e non è questo domandare perenne simile a quello della mente bambina del poeta, per dirla con Pascoli, che “vive di là dall’infanzia come viveva nell’infanzia” aggrappata alle sue emozioni, “pensando naturalmente. Pensando poeticamente”?

In un certo senso la poesia è un correlativo oggettivo, un mediatore di domande, di intuizioni, di altra poesia. Di andare per domande, per simboli, per poesia avverto un gran bisogno e, forse, di questo si ha un gran bisogno, inconsapevole per lo più, a più livelli, per interpretare e orientare le vicende personali, e non solo, in una dimensione sostenibile e pacifica.

Perché?

Sul perché del titolo ho idea di avere già risposto, aggiungo che vi è una certa continuità con il titolo della precedente raccolta, Muraiola, che è un’erba da muro in espansione, ma anche una lucertola, vigile e osservatrice, e, infine, un’ape laboriosa e curiosa: tutte caratteristiche di un essere in divenire, in trasformazione.

Sul perché un libro, fino a qualche anno fa, avrei detto per il piacere, legittimo, credo, di ogni scrittore, di essere letto e, avrei aggiunto, a compensare quel compiacimento egoico, per il bisogno, altrettanto sano, di entrare in relazione con altri (i lettori) attraverso la scrittura. Non mi piace la parola nemico l’ho scritto per il desiderio di scrivere versi fine a se stesso, un desiderio incondizionato e inutile, senza scopo o quantomeno senza aspettative. Ho appreso, infatti, che averne (aspettative, sotto la specie, soprattutto, di pretese e/o rivendicazioni, di riconoscimenti, per esempio) è il primo passo per costruire un nemico e, a me, il simbolo del nemico non piace. L’ho scritto anche per il desiderio di “diventare attraverso”, per il desiderio cioè di conoscere per via di domande. A dire il vero non so se questo può definirsi un desiderio incondizionato, ammesso che si possa dare un simile attributo a quel sentimento.

Secondo un proverbio Zen, nella vita bisogna fare tre cose: un figlio, piantare un albero e scrivere un libro. Di figli ne ho fatti tre e questo è il terzo libro. Secondo il saggio ho già peccato di hybris, pubblicando più di un libro. Non so se accadrà ancora, senz’altro mi tocca piantare un albero.

Perché leggerlo, leggere o fare poesia? Il saggio non consiglia di leggere libri, di scriverne sì, almeno uno, e io direi di scrivere almeno un libro di poesie e di fare poesia, per farsi tante domande, perché la poesia è un’azione dissidente, è uscire allo scoperto e ri-velarsi, è stare nel mezzo della vita dove potrebbe esserci tutto e tutto unito.

 

scelti per voi

da Non mi piace la parola nemico di Francesca Panarello (Eretica edizioni, 2022)

non mi piace la parola nemico
nemmeno limite
e confine è casa sulla riva,
dove passano pellegrini
mendichi e mercanti scaltri
musici mercenari e sode meretrici
frati lindi e monache odorose di talco
maschere buffe e orrendi travestiti
dove le lampade dei pescatori
scivolano al buio come lucciole
sullo schermo nero del mare

un soffio
il transito di un treno, al confine
che è casa sulla riva
dove si rincorrono le onde
e le spume in ordine
con esattezza naturale

non c’è ansia
né mancanza
al confine
di cosa dovrei crucciarmi.

La poesia non è una scelta
è un’azione
corrode e scortica
cura e ripara
è l’abbandono del peso
la frammentazione dell’angoscia
è l’azzardo di un sentimento
dissidente
dall’estetica posticcia dei surrogati
è uscire allo scoperto
rivelarsi
è un bacio al volo
al panettiere
immortalato
nottetempo
e a sua insaputa
in questi
diciotto versi.

PROPOSITI

Non leggo e scrivo
quando scrivo
per leggere
quello che è stato scritto
e scrivere
quello che potrebbe
non essere mai letto.
Leggo e scrivo
quando scrivo
per diventare
attraverso.

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