Books and Mug, Warren Criswell, 2009

rubrica, inediti d’autore

*

TESTAMENTO (Olografo)

Vi lascio poesie vedove, poesie nere.
Abbandonate lodi
dimentiche d’allori;
scarti di aspirazioni,
inutili idealismi,
rifugi rovinosi
di anni informi,
bicefale espressioni
di una vena atroce.
Le lascio sui riccioli
insanguinati del giacinto:
soffocate da una voce che tace
ogni loquace silenzio, forse…
L’idiosincrasia che mi governa,
ad udirne la cacofonia,
imbavaglia gli astri e Venere spicca nuda
animata dal piripì d’un flauto.
Sbilenche le anche si annodano
inarcando schiene bianche
un passo dopo l’altro
e ogni collusione sfocia in ambaradan di trombe
senza gola; sarmentose lingue di sterpi;
cortometraggi di corpi
stretti in trepido abbraccio.
Lascio preghiere come pietre di un sentiero
raccolte in un amaro bicchiere;
preghiere come nuvole nere al di là del sentiero.
Melomani, fuggite le mie rime:
voi che sognate il sole del suono,
qui solo solecismi vi accolgono.
Occorre raschiare specchi di ottone
per la corretta pronuncia dei miei versi…
Ascoltate: non tento il canto delle sirene – schhht! –
ma l’irresistibile gracchiare d’una cornacchia
che ripone rara grazia
nell’arrochimento delle note.
Diverrete le vostre metafore
tanto quanto io sono la mia!
Può addolcire la morte un fascio di rose?
L’epitaffio è meno grigio con ghirlande di potentilla?
Se qualcuno estrapola un qualche germoglio
dal mio rumore; se una qualsiasi musa sfogliò
pratoline al ritmo triste di un amore qualsiasi,
se adesso lo sta facendo e se, inoltre, lo fa spesso
allora le mie stesse lacrime avranno un compenso.
Forse, allora, il mio epitaffio sarà inghirlandato
con troppi, fragili fiori di potentilla.
Allora, forse, l’amaro calice della morte sarà dolce.
Dopotutto, malgrado non abbia alcun pregio,
la bellezza,
resta una delle cose più belle che la vita ci ha offerto.

*
*

Giorni tristi racchiude il mio nome.
Solo, agli antistati lati della mia anima,
dove nessuno, nemmeno il rimpianto, potrà mai trovarlo.
Isolato era il luogo della mia croce;
il silenzio di una radura
in un cuore morto prima di fartene omaggio.
(Prima ancora d’un battito amaro
o del dolce mormorio di un’emozione.)
Rivissi nel tempo, velata figura,
grazie al tormento del tuo richiamo.
Sola voce, al di là della mia,
a inquinare il silenzio e la solitudine.

*
*
ELEGIA DELLA SERA

Quando il cielo si ammala,
e la notte converge nel giorno,
antichi miti s’imbevono nell’oceano del lugubre:
le erinni dell’estro, fameliche belve, s’accingono a contendermi;
pedissequi, gli uomini, vagano in cerca del sonno.
Sono solo.
Poi Eva. Ma non l’Eva rigurgitata dal fango dell’Eden:
l’Eva d’un giardino qualunque;
un’Eva terrena, tuttora reduce da pomo e serpe,
mi riporta i sogni che ho dimenticato in giro.
Dunque la mente annega, ilare, in una virtuosa luce,
e la luna lacrima stelle alla notte innocente.

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