Alfredo Serafini
Alfredo Serafini

Dentro significa farsi coinvolgere, fuori significa farsi estromettere. Oggi come oggi, tutto, nella nostra società, è stato scientificamente organizzato per tenerci fuori. Fuori dalla res publica perché sò tutti ladri, fuori dalle strade perché è pericoloso, fuori dalla musica perché non esiste un album con più di due canzoni valide. Fuori da tutto e a casa, a fare statistica attendibile. La poesia, invece, nasce per portarti dentro le cose. La musica idem. E insieme possono farlo anche oggi. Quando ho cominciato a scrivere canzoni non avevo tutte queste fisime socio-politiche. Ero soltanto un ragazzo che si innamorava ogni volta di più della ragazza di cui era innamorato, quando cantava la canzone che le aveva dedicato. Ero soltanto uno di quelli che vedeva le lucciole dove non c’erano, se ascoltava la musica giusta. E non sono guarito con il passare degli anni. Anzi, le lucciole sono diventate galassie. Nella mia fantasia, le mie canzoni innalzano i cuori, cambiano debolezze in coraggio, sciolgono i nostri scudi. È una fantasia, lo so. Eppure io ci credo lo stesso. Mi estraneo da tutte queste sovrastrutture e cerco di mostrare me stesso, senza filtri e senza obblighi. Tutto ciò che ho scritto imponendomi di essere onesto è disonesto, infatti, e l’ho cestinato. Tutto ciò che è nato invece da una emozione l’ho tenuto, a prescindere dal suo valore oggettivo, perché mi rappresenta realmente. Scrivere è stata la mia strada per rimanere dentro questo mondo. Sono rimasto curioso. Le teorie più accreditate mi insospettiscono, quelle strampalate mi coinvolgono. I vecchi mi sembrano veri, i giovani meno. I sospiri degni di menzione, le fanfare da ignorare. Ho pensato che se veramente c’è in me poesia, allora le dovevo un gran rispetto. Ho pensato che se veramente c’è nelle cose poesia, allora dovevo loro gratitudine. Così mi sono dato un ruolo: il fermagiorni. Ho ritenuto che un sole che nasce non sarà mai uguale a quello del giorno prima, né a nessun altro di quelli precedenti. Nemmeno quelli futuri, cavolo, saranno come questo. E allora, se capisco questo, devo impormi di descriverlo. Perché quelli che non l’hanno visto meritano di conoscerne la storia, per entrarci dentro. Quelli che invece l’hanno vissuto ameranno chi glielo ricorderà. Per restarci dentro.

(l’EstroVerso Settembre – Ottobre 2011)

 

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