Emanuela Mannino, “la poesia ha una funzione ontologica, connaturata alla persona del poeta”

DICHIARAZIONE DI POETICA

La poesia ha una funzione ontologica, connaturata alla persona del poeta, il quale tramite i versi esprime il proprio sentire che si sostanzia nella narrazione di sé a sé, e al mondo. Ha una funzione catartica, talvolta terapeutica, poiché consente di accogliere ogni sfaccettura del vivere, nelle sue contraddizioni, i sogni mai realizzati, i desideri, i dubbi, i sensi di colpa, le gioie, le vittorie, le speranze, tutte le emozioni semplici e complesse, tutte le luci e tutte le ombre, consentendo di agire una sorta di “metamorfosi dell’anima” sulla soglia del possibile.
La poesia è; al contempo non è (…). È flusso dinamico di coscienza. È metafisica dell’esistenza comune. Ha, dunque, funzione psicologica, antropologica, filosofica, pedagogica, storica. La poesia non vive per se stessa, ha urgenza di esistere, di trovare vene comuni in cui scorrere, di abbracciare l’umanità, di riscattare il dolore di chi non viene considerato. Ha una funzione comunicativa sociale. Rende simili nelle somiglianze e nelle diversità. Concede pari diritto alla vita e alla morte. In tal modo, possiede anche funzione etica. Ma tutte queste “funzioni”, a mio avviso, non vengono mai programmate. Costituiscono la struttura intrinseca, naturale del fare poesia. Poesia è apparente solipsismo. Esiste al di fuori del poeta stesso e sceglie il poeta per esprimersi. È la Vita stessa che ri-cerca se stessa, per l’Eternità (cit. Mannino in “la Rivista on line- Circolare Poesia-I numero- dicembre 2022).

POESIE

Paura

Più forte,
mia paura
parlami
voglio spegnere la notte
con il mio pianto,
mostrami la via
del sentiero infranto.
Mostrami l’acqua
che attraversa il deserto
mostrami la pioggia
che s’insabbia nel petto.
Sento la cima primavera
fiorire dal silenzio.

Assenze

Mastico assenze
come salvia per i denti
bianca
la mia vita presente
distante
da te
bolo di cenere e polvere
finto gioco divino
che

mi sei passato
come un fastidio inutile
un sole sporco
sul lungomare dei miei giorni azzurri.

Quando la neve

Domani
quando la neve
avrà coperto ogni parola
resterà soltanto
uno stelo di stelle
a ricordarci
che anche il cielo
aveva dei sogni
sulla terra.

Leggimi

Leggimi
come si fa
con l’orologio del tempo.
Io ti leggo. Sono freccia.
A che ora entri in me?
Sento muovere il mondo
sul crinale del suono.
Ascolta.
C’è una miccia
di cuore.
Qui l’ora.

Non ho voglia di me

Non ho voglia di me,
sono sazia di buio.
Da bambina cercavo
i capelli nel pozzo
per farci un nodo una treccia
per farci la pace-
luce vorace.
Adulta bimba in una mano,
i fili d’erba in fila indiana:
qualcuno si spezza
qualcuno nuota nel campo azzurro
ed io scrivo
sulla lavagna del cielo
il nome che non ho
il nome che non ero
un nome
tutto intero.

Dalla prefazione (a cura di Franca Alaimo)

La poesia di Emanuela Mannino tende ad agglutinare spazio e tempo attorno alla funzione conoscitiva dell’ascolto; ed infatti, nonostante i molti quadri naturali di grande sensibilità figurativa, tutta la sua scrittura ruota intorno alla necessità di muoversi lungo il crinale del suono, a partire da quello più segreto e profondo del silenzio. In esso la poetessa trova lo stillare delle parole assolute, simili a gocce che cadono sul foglio ad una ad una, lentissimamente, componendo perlopiù versi brevi, se non brevissimi (anche di una o due sillabe), come ubbidendo ad una volontà di risanamento, di innocenza o balbettamento infantile originario, capace di lasciarsi dietro il tritume quotidiano, se è vero che le parole che comunemente intessono le relazioni umane sanno essere non solo vacue ma anche urticanti (fino a toccarsi/ferirsi/mentirsi). Tanta attenzione al suono serve a dare ritmo allo stridore, al dissonante del mondo, a ordinare il disordine del fuori, così come quello interiore che preme con i suoi nodi irrisolti. Da qui l’insistente tessitura timbrico-musicale realizzata con l’uso delle più efficaci figure retoriche di suono, e in modo particolare le allitterazioni e le rime (perfette, imperfette, interne ai versi o a distanza) che raggiunge i suoi esiti più efficaci in alcuni testi la cui necessità consiste nel raggiungimento di un’impalpabilità, entro la quale l’eufonia sopraffà il significato, inseguendo una fuggevole leggerezza: Il mare è un bimbo/che urla capricci con ricci di onde e bocche di vento/il mare è un canto che incide un moto lento/in segreto amaro lampo/il mare è un campo/di notte esala di sale/il sole s’isola nell’esile incanto/nero manto. Compito assai più arduo è il lavoro sul corpo bruciante del dolore personale, affrontato con lo strumento delle metafore e dei simboli. In questo senso assume un rilievo essenziale il testo “Non ho voglia di me”, in cui le figure del pozzo e dei capelli annodati rivelano più di quanto probabilmente desideri la stessa autrice (…)”. (…) Si tratta con tutta evidenza di un affondamento nel tempo dell’infanzia, là dove si colloca la ferita originaria (Dentro il cantiere chiuso dell’infanzia sferraglia il subbuglio mondo), alla ricerca di un’identità, di “un nome/tutto intero”. E, tuttavia, non è senza tremore che la Mannino si affaccia sull’orlo di questo suo personale abisso, tanto che, come temendo una qualche reazione ingestibile o un sovrappiù di dolore, in un altro testo l’autrice esorta la poesia a Non dire dell’ultima/stanza dell’anima/senza porte né finestre/e i ricordi murati (…) L’infanzia turbata chiede di tornare ad essere uno slancio di gioia, divenendo “uno stelo di stelle”, “un gambo di cielo / con sangue di terra…un fioreverde in un prato”. Oppure semplicemente vorrebbe dimenticarsi nell’atto della scrittura: Essere poeta/ -scrive la Mannino- è il crimine più bello. / Lentissimamente/le piccole morti/ del non vivere, ma solo, aggiungerei, per vivere in una dimensione altra: Diglielo tu al mondo/ che non ho trovato posto. / Ho staccato già/ il biglietto per la prossima meteora. Una tale postura di fronte al reale determina pure quella sorta di vagheggiamento, sensuale ma onirico, nelle poesie d’amore, in cui, come in moltissima poesia ispano-americana, il corpo viene paragonato ad elementi naturali, nel tentativo di una metamorfosi che elimini ogni elemento troppo terreno e carnale dell’atto sessuale e lo inscrivi nella fragranza del mondo, se non addirittura in una purezza pre-morale (…) perché come scrive Octavio Paz:«innamorato del silenzio, il poeta non può fare altro che parlare».

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Emanuela Mannino, docente di scuola Primaria ha conseguito una Laurea in Psicologia (V.O.) e una Laurea in Scienze della Formazione Primaria. Ha pubblicato la prima raccolta poetica Sole Ribelle- Versi di bellezza e di resistenza (Ensemble, 2020). Ha pubblicato un racconto nell’antologia Congiunti (Ensemble, 2020) e un micro-romanzo nel collettivo Tina-Storie della Grande Estinzione (Aguaplano, 2020). Una sua poesia “A piedi nudi” fa parte del disco Old Folk for new poets (Label, 2021). Nel 2022 ha pubblicato la silloge Eppure (Controluna-2022) e una poesia nell’antologia Negli occhi bambini-Poesie e voci per ritrovare il mondo dell’infanzia (Scrivere Poesia Edizioni, 2022). Ha pubblicato un racconto nell’antologia Cartoline dalla Sicilia (L’Erudita, 2023). Di recente pubblicazione, il Poema a due voci, Erotanasie- Fantasie d’amore e morte (Balbis-Mannino, Macabor 2023).

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