Franca Alaimo, “la poesia serve a oltrepassare l’apparenza delle cose”

Franca Alaimo

 

«Per scrivere un verso bisogna saper ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e congedi previsti da tempo, a giorni dell’infanzia ancora indecifrati, ai genitori che eravamo costretti a ferire quando ci porgevano una gioia e non la comprendevamo (era una gioia per qualcun altro), a giorni in camere silenziose… Bisogna avere ricordi… Bisogna saperli dimenticare e avere la grande pazienza d’attendere che ritornino. Perché i ricordi in sé ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, anonimi e non più distinguibili da noi stessi, solo allora può darsi che in una rarissima ora si levi dal loro centro e sgorghi la prima parola di un verso». Le parole di Rainer Maria Rilke per introdurre la lettura di “Elogi” di Franca Alaimo, edito da “Giuliano Ladolfi”, collana “Perle poesia” diretta da Roberto Carnero. Poetessa d’intimità radiosa, sensibilità spirituale, vigore introspettivo, valica il visibile e dona versi transplendenti, pregni di rimandi. Lo stupore consapevole è il filo conduttore di questa “narrazione” che risuona e si snoda in quattro unità, ripercorrendo un ventennio: “Elogio del niente”, («la leggerissima felicità del niente:/ carta velina che palpita nel vento.»); “Elogio del tutto”, («il linguaggio delle piante,/ degli angeli e degli animali è quello dell’Uno.»); “Elogio del tempo”, («Ho dei bagliori dentro/ come se avessi mangiato il firmamento,/ e ogni sera due o tre stelle/ fanno capolino dalle mie pupille.»); “Elogio dell’amore”, («L’amore non ha passato né sempre,/ solo il vivo presente promette l’infinito.»). Chiaramente, un “Destino”, quello della Alaimo, «un meraviglioso, vasto tessuto dove ciascun filo è posto accanto all’altro ed è trattenuto e sorretto da centinaia di altri».

Qual è il ricordo (o un aneddoto) legato alla tua prima poesia?
Composi la mia prima poesia a nove anni. Avevo da poco studiato la storia del Risorgimento e mi risuonavano nella memoria certe poesie di Carducci e Settembrini, quando sul mio quaderno di italiano scrissi, un pomeriggio di maggio, alcuni versi dedicati alla patria. Quando, il giorno dopo, li feci leggere alla mia maestra, orgogliosa e allo stesso tempo ansiosa, lei mi disse: “ Penso che tu possegga un talento naturale per la poesia. Però ricordati di evitare sempre la retorica e l’effetto. Una poesia è tale quando sembra essersi fatta da sé nella maniera più vera e spontanea”.
Questo è stato il mio primo importantissimo insegnamento, che non ho più dimenticato.

Quale (e per quali ragioni) il poeta e relativi versi che non dovremmo mai dimenticare?
Amo profondamente Rilke e lo leggo e rileggo ogni volta con rinnovata meraviglia. Potrei citare tantissimi suoi versi che spesso mi tornano alla memoria, ma ce n’è uno che prediligo, perché esprime quella percezione d’inafferrabilità dell’essere, che è, secondo me, la sorgente della poesia e dello stupore, senza il quale non è possibile vivere pienamente: “Distante è tutto – e il cerchio in nessun modo si chiude”(da: I sonetti ad Orfeo, II.20).

Riporteresti una poesia o uno stralcio di testo nel quale all’occorrenza ami rifugiarti?
Cito volentieri un passo da “Il tempo ritrovato” di Proust, altro autore molto amato. Mi piace ritornarvi ogni volta che il senso delle cose, del vivere stesso, mi sembra del tutto vano: “Ma talvolta, nel momento in cui tutto ci sembra perduto, giunge l’avvertimento che può salvarci; abbiamo bussato a tutte le porte che non portano a niente, e la sola da cui si può entrare, e che avremmo cercato invano per cento anni, la urtiamo senza saperlo, e si apre”. Proust con queste parole descrive quei momenti di grazia che ci sono improvvisamente donati e ci mettono nuovamente in comunione con la bellezza e il segreto che regge la Vita.

Qual è la tua ‘attuale’ spiegazione/ definizione di poesia?
La poesia, secondo me, è indefinibile. Mi ha dato sempre fastidio perfino la sua classificazione in generi; se esiste un linguaggio senza schemi, senza confini, senza uno scopo dichiarato, questo è quello della Poesia. In questo senso direi che la poesia serva a oltrepassare l’apparenza delle cose per cercare quell’oltre delle cose che, sebbene insito in esse, solo a pochi è dato, se non raggiungere, intuire.

La poesia necessita più di ascolto o di essere ascoltata?
Dato per scontato che non esiste poesia senza l’ascolto profondo di sé, degli altri, delle cose, direi che essa ha più bisogno di essere ascoltata. Il luogo più adatto a questo scopo è la scuola, che dovrebbe proporre più testi poetici (e non solo quelli dei poeti classici), e promuovere la pratica, ormai caduta in disuso, della memoria. Soltanto imparando a memoria i versi, l’alunno metterà da parte un piccolo tesoro di bellezza e di consolazione spirituale, dal quale potrà attingere ogni volta che la vita lo avrà messo di fronte a determinate esperienze. Poi, ovviamente, ci sono tanti modi di diffondere la poesia: recital, festival, presentazioni, internet, e così via. Giornali e programmi televisivi potrebbero fare molto di più, pubblicizzando anche i libri di poesia e non soltanto quelli di narrativa,

Oggigiorno qual è (ammesso che ce ne sia uno) l’incarico della poesia?
Quello che ha sempre avuto: ricordare all’uomo che non esiste solo la dimensione della materia.

La parola poetica per preservare la propria efficacia comunicativa deve “esprimersi” secondo il linguaggio del tempo in cui nasce e vive?
La poesia è tale perché disobbedisce al linguaggio del suo tempo. Per questo motivo le dittature temono i poeti.

Per concludere, ti invito a scegliere tre poesie per salutare i nostri lettori.

A porte spalancate

Una figlia cattiva senza radici,
una madre di vento e di fumo,
una moglie di carta e di luna:
così dicevano, però tutti entrarono:
i padri, le madri, il figlio, lo sposo.
Mi abitarono un poco, mi derubarono
mi mordicchiarono il cuore
e poi mi abbandonarono
lasciando più sassi che carezze.
Ma che lungo spavento
è stata la storia dei miei sentimenti.
Però quante emozioni,
quanti ricordi e che bellissime rose
sono nate da questo roveto.
Adesso sono stanca, sola e piena di anni.
Tuttavia sto ancora sulla soglia di casa,
la porta spalancata.
Aspetto.
Aspetto.

(da “Elogi”, Ladolfi Ed., 2018)

A Charles Wright

È l’ora della luce radente:
fuori gli alberi spogli
urtando gli esili rami
parlottano un alfabeto
di minimi suoni.
La radio sulla mensola
fa un fruscio insistente,
ma non ho voglia di alzarmi
per sintonizzarla:
in fondo non succede mai niente
al mondo che un caos inconcludente.
Seduta, un libro aperto sulle ginocchia,
ripeto come un mantra un verso
che ha la bellezza di un’aurora:
la vera parola è quella che parla della parola.

(inedito)

Proposta di matrimonio

Passeggiando in campagna
tra il rossore delle foglie
autunnali anche il tuo viso
avvampò quando mi dicesti:
vuoi diventare mia moglie?
Pensavo che ti avrei detto no
se me lo avessi chiesto,
e invece tutto quel fulgore,
tutta quella assopita dolcezza
mi fecero danzare la lingua del cuore
e dissi: sì, lo voglio,
pensando di sposare la bellezza.

(inedito)

 

 

 

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 24.02.2019, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).

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