Anteprima
“Un romanzo originale (in un periodo di molta stanchezza e debolezza del genere), vivo, inventivo per stile e vicenda, e spicca esemplarmente su tutte le ripetizioni e banalità dei romanzi dei nostri anni, come un trionfo raro di verità e di bellezza. (Giorgio Bàrberi Squarotti )
La storia. Un arcano, insondabile legame unisce Davide, un ragazzo affetto da un grave disturbo bipolare (psicosi maniaco-depressiva) ai bizzarri umori del Po che nel 1951 hanno allagato la casa dei nonni paterni, poi trasferiti a Ferrara. Nel cuore della città estense fra il 1990 e il 1997 il protagonista, oppresso da voglia di erudizione e voglia sessuale fa la spola tra il reparto di Psichiatria dell’Arcispedale (dove c’è un paranoide col quale consolida una forte amicizia, tanto che solo a lui confiderà la sua decisione estrema), l’abitazione a Francolino all’estremo confine con il Veneto, e la comunità protetta. La madre, Assunta Carriani, proveniente da Papanice (una frazione di Crotone), nell’idioma nativo spesso racconta al figlio che non lo aveva voluto mentre il padre, un fattorino postale, si dimostra più sensibile alla situazione del figlio, ma impotente e succube della moglie. Il fratello minore di Davide, Nicola, in alcune occasioni conforta il fratello, mentre Teresa la sorella, già intrappolata in una squallida personale condizione, dovrà subire l’attacco di mania del fratello. Psicofarmaci, incubi, episodi maniacali, terribili depressioni, sesso a pagamento (unico sfogo sessuale dopo le delusioni adolescenziali), ricoveri spontanei e coatti, perdite drammatiche, tentativi di suicidio uniti a un’intelligenza fervida e a uno straordinario senso dell’ironia riescono a rendere sopportabile e unica la vita del protagonista che decide di non innamorarsi di nessuna donna. Il casuale incontro con Floriana, bellissima, sensuale e nevrotica lo arrende invece all’amore ma gli accende una stritolante gelosia nei confronti dello psicanalista di quest’ultima, al punto che…
Il romanzo che da inedito si è aggiudicato il Premio Internazionale Gaetano Cingari (2009) e il Premio di Calabria e Basilicata (2010), uscirà per i tipi della Casa Editrice Leonida di Reggio Calabria e verrà presentato a Torino durante la Fiera del Libro (16-19 maggio).
Estratto dal capitolo [Una vulàdga ad fragola]
Entrai per ultimo. Mi accolse un ingresso che non riconoscevo. Le tinte dei muri erano di un bianco abbacinante e il ripiano in marmo della consolle spigoloso, dentellato, come la lama di una sega. Un senso di sospensione continuava a opprimermi mentre guardavo i mobili della cucina con una sottile sensazione di nausea. Cosa ci faceva la piramide di frutta di ceramica sul ripiano di fòrmica? Avvertivo dentro di me una specie di fruscio, una sottile vibrazione di anticipazione. Contemporaneamente provavo un’intermittente sensazione di aver dimenticato qualcosa, l’avevo sulla punta della lingua ma non riuscivo a realizzare se si trattava di qualcosa da dire o qualcosa da fare. Le due percezioni, quella di attesa di qualcosa di indefinito e quella di dimenticanza di un qualcosa di altrettanto indefinito colludevano fino ad aggrovigliarsi nella testa come i serpenti di Medusa. Sentivo il sudore colarmi dalla fronte e dalle ascelle mentre lasciavo finalmente cadere il borsone a terra. Le braccia e le gambe erano incollate, non riuscivo a staccarle mentre stavo lì piantato come una statua in mezzo alle piastrelle bianche.
«Cchiffà ddrà’mpalàtu?» disse mia madre gettando sulla sedia la giacca, «mòviti, dài!»
Non le risposi, anche le sue parole mi erano giunte lontane, ovattate, come se fossero rivolte a un’altra persona. Volevo risponderle ma una specie di “contro-volontà” mi bloccava immobilizzandomi anche fisicamente. Provai ad articolare un passo ma non ci riuscii. A me pareva di alzare effettivamente la gamba, percepivo il movimento dell’arto ma la gamba era ferma lì sulla stessa piastrella e formicolava. Mi sentivo una statua vivente e mi sembrava che dei lacci mi tenessero spalancati gli occhi come nelle sequenze del film “Arancia meccanica”. Non so quanto tempo passò fino a quando il torpore alle gambe gradualmente diminuì fino a cessare del tutto. Come un resuscitato riuscii ad articolare piano piano i passi. Mi avviai verso le scale, salii le due rampe a fatica perché era come se alzassi piedi di piombo. Ricordo che inciampai più di una volta. Finalmente arrivai al piano di sopra. Un odore di muffa stagnava nell’aria. La sensazione di nausea persisteva. Di fronte a me due porte chiuse, non sapevo in quale entrare. Non sentivo né panico né angoscia ma una più infida percezione di irrealtà che cresceva.
“Non mi reputo una scrittrice, semplicemente una persona che scrive, la quale comunque, nel momento in cui scrive deve essere onesta verso se stessa e verso il lettore, deve avere coscienza delle cose. Non esistono argomenti “alti” e argomenti “bassi”. Come dice Schopenhauer “compito di chi scrive è di rendere i piccoli eventi interessanti, creando una sorta di universo parallelo che catturi il lettore”. Penso comunque che oggi gli editori più potenti concedano troppo spazio ai giornalisti e ai personaggi pubblici (per ovvi interessi finanziari), sia nelle pubblicazioni che nei prestigiosi premi letterari, a discapito di talenti che il più delle volte restano sconosciuti. Il messaggio cardine del mio libro? La tolleranza, la cultura e l’autoironia. Un mix di virtù che possono aiutare a vivere meglio anche in situazioni di disagio e che il protagonista del mio libro, esaltato e divorato da turbe psichiche, ha in sé. Davide, consapevole delle sue manie, non cerca comprensione per i suoi atti autolesionistici, ma leale accettazione di una follia che può generare violenza”.