Gabriella Grasso, “Il Generale Inverno”, un viaggio interiore che diviene “radice comune”.

 tre domande, tre poesie

L’itinerario di queste pagine è un viaggio statico, senza moto a o da luogo, eppure capace di inciampi, di vortici e frenesie, e talmente personale, talmente lontano dalla superficie, da divenire di chiunque, da farsi radice comune. […] L’assenza e la perdita, lo svuotamento, le partenze e i ritorni, la rincorsa e il tentativo di ricucire un senso caratterizzano l’intera raccolta, attraversando la scrittura e, paradossalmente, risolvendosi solo attraverso di essa. L’autrice scrive dell’impalpabile, ma in perenne tensione e alla ricerca di una presenza tattile, di un ricordo che si incarni, della comunione di una voce. […] La scrittura di Gabriella Grasso abita nelle biforcazioni, nell’incerto, nell’infinità di un’incompletezza («il tuo amore mi coltiva / negli spazi dell’attesa»), e proprio per questa ragione non conosce solo il buio, ma sa anche il suo contrario.

(dalla prefazione di Dario Talarico)

In che modo la (tua) vita diventa linguaggio, qual è stata la scintilla che ha portato al tuo “Il Generale Inverno”?

La vita è linguaggio attraverso i fermo-immagine, gli snodi, i movimenti che ne sono la trama e che si compongono nel tempo e nel dolore. Li interpretiamo – come attori e come esegeti – mentre li viviamo, li comprendiamo in parte, guardandoli a ritroso. Li restituiamo, a volte, attraverso qualche forma d’arte, balbettando.

Per molto tempo la mia vita è stata linguaggio nascosto anche a me stessa, di cui osservavo timidi affioramenti. E scrivevo, sin dall’infanzia. Poi grandi cambiamenti e grandi sofferenze hanno aperto un varco e da qui è scaturita un’espressione più consapevole, insieme a un timido desiderio di condivisione. Sono arrivata così al mio primo libro, Quale confine. Il Generale Inverno continua in parte questo processo, in una congiuntura personale e collettiva molto particolare: quella della pandemia del 2020. La figura-personificazione del Generale Inverno, che disorientò e costrinse alla ritirata gli eserciti francese e poi tedesco, rappresenta quei momenti della vita che ci costringono a fare i conti con la povertà dei nostri mezzi, con la nostra vulnerabilità, rivelandoci un’immagine nuova di noi stessi. Ognuno di noi ha vissuto i propri personali inverni; l’umanità nel suo complesso, poi, si è ritrovata a sperimentare le proprie criticità e a riformulare prassi e percorsi in occasione della pandemia e dell’isolamento. Il Generale Inverno è un viaggio interiore attraverso quelle esperienze, personali e collettive, che ci disarmano, ci rivelano e ci inducono a una qualche forma di ricostruzione, mai definitiva.

Riporteresti una poesia (di altro autore) nel quale all’occorrenza ami rifugiarti, rivelandoci cosa “muove” la tua “preferenza”?

È difficile scegliere una poesia tra le tante che si amano, ma ce n’è una che per me rappresenta una dichiarazione di poetica e di vita. Rappresenta una posizione di aderenza alle cose con lucidità, con onestà, tanto nella consapevolezza della propria condizione, quanto nelle scelte del fare poesia. Si tratta di “Nota sulla poetica” del poeta serbo Ivan Lalic.

Serbare l’inespresso, come il midollo. / Apprendere dal pomo: terra, calce e pioggia / lavorano solo per il frutto, e trovano espressione / in questa palla imperfetta, e tuttavia matura / che non si assomma con la pera. / Esercitare l’arte di rinuncia. / Calpestare la traccia. / Stare innanzi allo specchio, privo di timore / dell’immagine riflessa: essa rende l’espressione, / imperfetta, di uno sforzo tenace / di vestire di carne l’astrazione, / in un buon conduttore di dolore. / Eppure, senza scrupoli, / dire pane al pane e vino al vino / ed alla donna amata: io ti amo.

Il Generale Inverno di Gabriella Grasso, Il Convivio, 2021.

 

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo libro, “Il Generale Inverno”; di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura della tua opera, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.

Ho scelto tre testi che possono rappresentare il percorso di cui parlavo all’inizio di questa conversazione. La poesia eponima descrive proprio quell’incontro, faccia a faccia, con l’imprevisto, con il dolore che pretende diritto di cittadinanza nella nostra vita e non chiede il permesso, che frantuma e costringe a nuove riformulazioni.

 

Il Generale Inverno

Il freddo ci colse
impazienti
di lasciarcelo presto alle spalle
Poca voglia di accendere fuochi
o di allestire ponti
barricate
per difendere il niente
che eravamo riusciti a tenere
tra le dita, della sabbia d’estate
L’inverno non volle insinuarsi
tra le rose rotonde
che splendevano di pace perfetta
nel silenzio degli orti
abbrutiti
dal gelo imminente
Lui ci invase di colpo
di giorno
non ci chiese un parere
o il perdono
Ci costrinse, lui, a guardarlo in faccia
non mostrava sembianze di uomo
ma affrontandolo
come in uno specchio
noi trovammo un’immagine nuova
di noi
stupefatta straniata
interdetta
benedetta dalla scoperta
della nostra vulnerabilità

Come isole

Ci sentivamo
un poco come isole
galleggianti sul non previsto
e sul nemmeno
mai immaginato
barcollanti tra pareti liquide
che recingono
e non proteggono
in fondo
dalla solitudine

Quel sentimento, uno stato d’animo
quasi subìto
che prima avremmo anche corteggiato
tra resse inutili, nei cortili piccoli
del nostro vivere
quotidiano

ora ci pare un fardello scomodo
la solitudine
che non è scelta
quasi una sorta di pena certa
di un mondo al palo
da sempre in corsa
birillo solo
e all’improvviso
corpo sfiancato
spiaggiato al molo

Sogno di ritornare

Che ne sarà di me, Signore
Un giorno
penso che costruirò tele ed orditi
un altro
che smetterò ogni traccia
non lancerò segnali
perché
sogno di ritornare mare
farmi abbracciare
dalle onde, sentirne
peso e calore sulle mie braccia
sentirne compagnia

Intanto
mi preparo
ad un ritorno solitario
a un bozzolo chissà
se mai esistito

Che ne sarà di noi, Signore
Intanto
il mondo si tende
ignaro del suo corpo lacerato
verso una deflagrazione
strappo insano
o somma di sonnolente distrazioni

E io mi salvo
nell’occhio del ciclone
mi rintano
nella pupilla
limitare
tra buio e luce
Sogno di ritornare

 

Gabriella Grasso (Catania, 1971) – nella foto in copertina di Gregorio Longo – vive ad Acireale e insegna lettere. Si è occupata di linguistica della LIS, Lingua Italiana dei Segni (Zanichelli, 1998, Del Cerro, 1999), di cui è interprete. Scrive per diversi spazi letterari, nazionali e internazionali. La sua opera prima, Quale confine, è del dicembre 2019 (ed. Kolibris). Nel novembre del 2021 esce il suo secondo libro di poesie, Il Generale Inverno (ed. Il Convivio). Alcuni suoi testi sono stati inclusi in antologie e tradotti in inglese (trad. di Gray Sutherland, di Ana Ilievska, di Chiara De Luca) e in spagnolo (trad. di Emilio Paz, di Antonio Nazaro). In Secolo Donna 2021 (ed. Macabor, 2021) sono apparse sue poesie e un contributo critico sulla sua poetica, a cura di Davide Zizza.

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