La mia impresa mi ha dato un quadro una cornice
oltre cui non buttarmi io ch’ero inetto a vivere
Sia lodata questa ricca azienda che mi copre
e istruisce il fondo con la forma di una spada
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Se il corpo soffre non è la forma che si altera?
L’ignoranza dei codici di un ambiente regolato
vincerà la salute dell’impiegato Sua madre
che non è più continua a dirgli: tutto se ne va
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Le dita gliele ha tritate il contatore di banconote
lavorava in un’agenzia di cambio di un quartiere chic
Con la mano bendata i suoi studi letterari protratti
e un nodo al collo se ne sta a casa e qualcuno lo buca
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Nudo con le corna obbligato a correre sotto il fuoco
degli amici armati a pagare il pegno di una scommessa
nelle ampie tenute intorno al castello tutta una vita
cucita al territorio investire e arrivare a così poco
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Il comune del XIV° distretto è in festa
omaggio ai bebè morti presto o appena dopo il parto
Le famiglie affluiscono sullo spiazzo e non la smettono
di brindare al sole aprire nuovi stand nessuno piange
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Ritorno ai campi ritorno alla campagna stregata
dei primi anni Auvers[1] come un paesaggio italiano
dipinto a passi più lesti e coscienti del tragitto
dopo il cimitero la marcia inghiotte terra e grano
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Mi sgranchisco le ossa nella doccia come una grande sveglia
che aprendosi rivela i suoi ingranaggi ad incastrato perfetto
Meglio essere funzionali dalle prime ore in cui il cielo
incolla il suo schermo grigio alla mia impresa al mio sacrificio
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In questa catena di slow-food per giovani colletti bianchi
dove il nemico numero uno è il silenzio si bombarda
il cliente di motivi remixati su tela bianca e blu
atmosfera spaziale marketing pulito e prezzi in rialzo
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L’espositore dei gelati persiste malgrado il tempo
a far girare la sua ventola dinanzi alla pasticceria
della marchesa Che piova o tiri vento questa macchina
infonde nel soggetto una misteriosa e antica tristezza
[1] Auvers-sur-Oise, piccolo comune dell’Île de France, ultimo luogo di residenza di Vincent Van Gogh
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