Carlo Carrà
Carlo Carrà

 

Mi chiamo Paolo Aldrovandi. Sono nato a Mantova nell’agosto afosissimo e pieno di mosche del 1974. Da allora, credo, non ho mai più sopportato il caldo. Da buon essere invernale, ho scritto la mia prima poesia a tredici anni per un amore non corrisposto (ovviamente). Ma ricordo che già allora trovai il modo per essere assai poco carino nel far notare il mio disappunto. Infatti, quando la lei del momento si ritrovò la mia poesia tra le mani e la lesse, non mi abbracciò affatto. Il mio modo di scrivere è così: crudo, reale e poeticamente quotidiano… Nel mondo e nella vita, anche nella peggiore, esiste uno strato di poesia ben compatto, anche se il più delle volte impercettibile… Viaggiando molto, e spesso da solo, ho avuto la possibilità di farmi più idee e di prendere spunto da queste. Di osservare i vari mondi e le diverse abitudini, di parlare con persone che quasi certamente non incontrerò mai più… È stata essenzialmente questa la linfa vitale della mia poesia. Non ho nessuna pubblicazione rilevante: ho scritto per decine di riviste di poesia, sia cartacee che online, ma non ne ricordo nemmeno i nomi. Scrivere poesia è una liberazione obbligatoria, e io faccio così.

 

Dormiveglia

La schiuma resta in testa

e vorrei non dormire mai

nella mia risacca omicida

che ricopre tende la notte

sbalzando anime passate

e rimuovendo fantasmi pagliacci

che portano allo sgomento del mattino

con incapacità recidiva

che abbraccia come una scimmia

e gratta con unghie sporche

e dita nere come la povertà

entrata nella mia casa nuda

col sorriso dal volto mancato

pensando al momento eterno

come al sangue tenuto stretto

nelle vene piene d’aria

in embolia costante

sparata come uno zero

da siringhe sante

capaci di far dormire l’idea

e di salvarsi dall’estasi momentanea

nell’infimo viaggio riciclabile

 ***

 Non ti allontanare

Non ti allontanare

resta e sbriciola

quel pezzo di pane

lascia lo smalto fluire lento

in arteria rosso scomposta

nel tocco del senso

che è padrone del vedere

di questi occhi buttati

che rubano colore al sole

nella speranza d’incendiare i fronti

del tuo bollente pudore

che scivola in languide serietà

come il braccio armato

della sua stessa vita

domandandosi se l’amore

è spedito in posta celere

da postini pazzi che fischiano

mille volte al giorno sotto casa

la stessa nenia in ripetizione

permettendo di frugare rapido

tra scatoloni di non amore schiacciati in soffitte

che preferiamo tenere

sempre chiuse agli altri 

 

 

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