Alessandro Papetti, Spazi Dinamici
Polaroid

(Cronaca nera)

La notte devia il corso delle povere cose
rimaste abbandonate:
un cartello rotto, un tubo di ferro,
sono ora corpi contundenti
accanto a un volto sfigurato

Rimane l’ombra dell’ultima parola
nella slogatura della bocca,
mastica il dolore di quella terra nuda

Poi la prima luce del giorno mostra un corpo duro e solo,
tutto quel rosso che ferisce gli occhi di chi guarda:
la fossa mai terminata, la faccia come un disegno sbagliato,
le fiamme di un’Italia che brucia

2 novembre 1975, Idroscalo di Ostia



*

da “Qualcosa di umano”
La Grotta di Lascaux
 

So che più notti hai vegliato sul figlio,
con la neve che cade e non ti appartiene,
così come il freddo, l’oscurità,
il vento chiuso nel silenzio delle stanze

Per questo ora rimango ad occhi aperti,
seguo dalla finestra il buio,
rimbocco le coperte sui vostri corpi addormentati

A quest’ora il solo rumore che avanza è quello di un sogno:
la luce proviene dal bivacco,
abbiamo in grembo un figlio che torna a nascere

Lo proteggiamo in questo modo, tenendoci assieme
da un capo all’altro dei nostri mondi:
un uomo e una donna in cerca di riparo,
come da millenni i primi uomini negli inverni freddi e spietati

E nelle notti come questa che potrei tracciare a mani nude il mio disegno:
sulle pareti di casa lasciare vividi i colori di questo nostro passaggio

Il calore dei corpi sarà la testimonianza: un segno di vita
in una terra graffiata dal gelo e dal distacco

 

*

 

Via Torino
 

Dopo l’ultimo assalto andato a vuoto
il ragazzo dei libri allarga le braccia

Non può fermarsi la moltitudine:
se un volto la guarda, se una voce parla, cala un buio che taglia la strada

Ma il ragazzo è tenace,
sa come si ritorna nella mischia

Avanza schernito da un cerchio di corpi che si allarga
e intorno gli si chiude

E solo allora lo si vede veramente:
si vede nitida la foto di un figlio,
la bellezza indifesa dei suoi anni

 

*

 

da “La parte arida della pianura”
Inedito
 

In questa terra è la nebbia a spogliare l’autunno
dall’incendio delle foglie,
a lasciare gli alberi nudi come pali piantati a terra,
prima della radura sbarrata da un reticolato

È vero, questo è un posto unico,
dove il recinto non argina il freddo presagito,
e la parte arida della pianura si apre a dismisura
nel punto dove termina ogni strada

***

Nel freddo di una mattina d’inverno
i passi degli uomini si affiancano:
qualcuno accelera, un altro non tiene l’andatura,
le facce si liberano dagli sguardi

Si perdono, di vista, ognuno proteso verso la strada
dove all’improvviso si alza il muro di nebbia

Nel biancore la pianura si apre come una pagina:
lì i suoni sfumano, si perdono in lontananza,
mentre il silenzio degli alberi
mostra la dissoluzione delle foglie
che si agitano a terra
senza dire niente

***

Al mattino il borgo era avvolto da un azzurro spietato:
come il braccio di un compasso il campanile tracciava un confine:
nel cerchio la parte viva delle case, fuori tutto il resto della pianura

In chiesa appare il dolore dell’ostia spezzata,
tra le bocche chiuse in prima fila,
nella catena delle mani interrotta dai posti vuoti dei due ragazzi:
e questo è il pane, e questo il vino, sapido è il sapore di dio
che si scioglie sul palato

Li avevano ritrovati nella notte, l’auto in un piazzale desolato.

Due corpi nudi e ancora uniti come se fossero una corolla
dove i petali erano busti, braccia e gambe.

Un’eucarestia dove carne e sangue erano lo sfondo

L’amore che a volte è incomprensibile,
come un discorso tradotto male,
in una lingua indicibile, che non lascia scampo

 

*

 

da “Le stanze degli allievi speciali”
Crash test
 

Nemmeno la pioggia sul parabrezza
spegne l’euforia, o la paura,
tutto è indecifrabile per la brusca frenata

Marta ride e sanguina, qualcuno non controlla gli sfinteri,
una sedia a rotelle rovesciata

Aggrappato a qualsiasi cosa cerco di salvarmi

Il dito dello spastico, puntato verso dio,
mi fa pensare di non essere mai stato così vicino
al giorno del giudizio o al momento della creazione

Short People got no reason to live
Randy Newman
 
 
Microcosmo

Come se restasse poco tempo per darsi una ragione
di questo nostro canto sgraziato,
che rompe il silenzio minuzioso di un’attesa:
il portellone chiude ogni distanza
nel microcosmo dei disabili mentali

All’interno solo l’autista dispone di un automatismo,
non sente dolore quando ingrana la marcia

E noi non ci schiariamo le idee, né la vista,
orientati verso l’unica linea dritta della strada

Sbandiamo ogni volta, nella consapevolezza
che le nostre e le loro voci divaricano all’unisono,
come nei gemelli siamesi l’urlo lanciato dall’unico cuore,
biforcato in solitudini inseparabili

 

*
 
 
Casistica
 
Caso A
(Asperger Syndrome)
 

Conta sul vetro gocce di pioggia,
l’ordine della natura,
ramificati tra lampi e piccoli rigagnoli
anche i fiumi cupi delle strade

Dalla finestra offuscata dai pensieri
la sua faccia senza profilo:
con un dito traccia un sorriso,
i due punti del naso, la meraviglia del bambino
rimasto a disegnare il profilo del freddo

C’è qualcosa che sfuma tra la nebbia e la pianura,
qualcosa che scompare e fa paura 
il sole è come un orco che si nasconde la faccia

 

*

 

Caso B
(Severe cognitive and motor deficits)

Non si regge da sola, si trascina su di un girello,
la scarpe ortopediche come quelle di un palombaro

Ci dicono di tirarla su a braccio nell’abitacolo

Con la sigaretta in bocca uno di noi l’abbraccia per il tronco
e la solleva come una damigiana

Le sue gambette si agitano in aria,
come fanno i bambini quando è tardi e sono ai giardini
e non se ne vogliono andare

 

*

 

Caso C
(Borderline personality disorder)

Si diceva che il tagliarsi le vene
fosse solo un modo per perdere peso,
una forma di vanità per quel corpo
divenuto abbondante

Di lei mi colpiva quel guardare dritto negli occhi,
era l’unica che mi facesse abbassare lo sguardo

Era come se volesse rovesciare l’ordine delle cose:
mai una parola di conferma sulla sua voglia di vivere,
mai un pensiero che anticipasse la foga della sua fine

 

*

Caso D
(Tetraplegy)

Come se si cadesse rovinosamente da un dirupo:
in bocca il sapore della polvere,
la consapevolezza di non potersi più rialzare

Provare ancora a “vivere”
quando non si riesce a ricostruire un movimento che sia uno,
quando dal fondo della terra, una volta caduti
si può solo rinascere

Si veste una nuova carne:
braccia e gambe in attesa degli inverni,
folate di vento che minacciano la resistenza
dei rami poco prima di spezzarsi

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