tre domande, tre poesie
Laura D’Angelo (in copertina, nella foto di Noemi Trofino) è laureata in Filologia classica e Dottore di ricerca in Studi Umanistici. Critico letterario, narratrice e poetessa, scrive tra le altre su riviste scientifiche e accademiche di letteratura e di poesia come “Gradiva, International Journal of Italian Poetry” – Ed. Olschki, “Letteratura e dialetti”, “Studi medievali e moderni”. Ha in precedenza pubblicato, con interessanti riscontri critici, Sua maestà di un amore (Scatole Parlanti, 2021) e Poesia dell’assenza (Il Convivio, 2023). Suoi scritti sono stati pubblicati su «La Repubblica» (La bottega della Poesia- Bari), su litblog e siti di poesia e letteratura online. Scrive inoltre sulle riviste “Insula europea”, “Versolibero”, “Verbumpress”, “Radici Digitali.eu.”, “Sinestesieonline”. Recentemente si sta occupando criticamente della letteratura del paesaggio e della poesia dialettale molisana.
Il cuore, come il luogo dove l’amore si fa smisurato e vitale. Il cuore, da dedicare con candore raro, con una purezza espressiva capace di semplicità e grazia, delicatezza e incanto. Il cuore che si smarrisce, che si innamora, il cuore che sa farsi piccolo e grande, il cuore che si schermisce e si rivela, il cuore che distoglie lo sguardo e arrossisce. È l’amore, tenero e dolce, il sapore struggente di un ricordo, il lamento del dolore, l’ingenuo stupore della versificazione. Laura D’Angelo scrive un diario in versi intimo e malinconico, una prosa poetica in cui il cuore resta certezza e duratura presenza, voce d’amore.
Qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “Cuore puro”, pubblicato da Interno Libri, meglio: in che modo la (tua) vita diventa linguaggio?
Innanzitutto cara Grazia grazie per l’ospitalità a te e a L’Estroverso. La scintilla di “Cuore puro” (per il quale ringrazio l’editore Andrea Cati di Interno Libri e l’illustratrice Valeria Puzzovio per il calore che questa scintilla continua ad emanare) è quella di un innamoramento, all’interno di una dialettica che cerca il piccolo nell’illimitato, che si impregna di lacrime e stupore, che si dichiara nel mancarsi, che si ritrova nello stringersi, che si schermisce timida nel nitore della narrazione. “Cuore puro” è in sostanza una dichiarazione d’amore, è un diario in versi che pone al centro del suo essere il sentimento, che ci autorizza e autentifica nel nostro bisogno di riconoscimento e umanità. La mia vita diventa linguaggio dove ci sono chiarezza di senso e profondità nel sentire, dove la semplicità diventa veicolo di un candore raro e allo stesso tempo di pregnanza di significato, ricordo e amore, bisogno di presenza e tentativo di annullare l’assenza. In una prosa poetica di “Cuore puro” scrivo che «Abito le parole e loro abitano me». Ed è così. Dopo aver condotto studi approfonditi sulla lirica greco-latina e sui grandi autori del nostro patrimonio letterario, credo che oggi la letteratura e soprattutto la poesia contemporanea sentano il bisogno di rinnovarsi, di parlare di sé, con un’aderenza maggiore all’io poetico e con un linguaggio vicini al nostro tempo. È certamente un qualcosa di complesso, e un eventuale discorso sul piano critico- epistemologico risulterebbe troppo complicato in questa sede, in quanto, senza le dovute cautele, si correrebbe il rischio di tacciare come poesia tutto ciò che è estenuazione solipsistica dell’io e per di più spesso tendente alla banalità, quindi bisogna fare attenzione: le mie prose poetiche sono insolite, è vero, nascono da una poesia più narrativa, discorsiva, più vicina alla realtà, originano da un’interiorità che vuole essere semplice e sincera, un incanto che spesso trafigge, come la realtà. Ogni volta mi ripeto che il mio sentire è “un qualcosa di mio, non lo sottraggo agli altri, non potrei mai rubare esperienze dalle vite degli altri, perché ho questa mia vita qui, ho un cuore, un amore, un foglio da riempire”, anche se poi mi rendo conto che i temi della tradizione tornano nei miei testi in una riattualizzazione che dalla mia esperienza privata cerca di farsi universale.
La poesia è un destino?
La poesia è un destino se sa parlare al cuore dell’uomo di ogni tempo. La poesia è per me bellezza e rivelazione, mi avvicina a me stessa, è perpetuazione di un io che si relaziona che l’alterità continuamente, e che si scopre bisognoso di una verità che sia quella di un amore capace di sottrarsi all’incedere del tempo e al dolore.
Ti rispondo con un brano che ho scritto tempo fa:
“Le hanno detto di mettersi il cuore in pace. Ogni tanto riaffiorava un dolore sordo, lo strazio della sopportazione, e allora essere forti significava stringere le proprie tristezze e le proprie debolezze, riempire i vuoti con le proprie solitudini e le più amare consapevolezze. Essere realiste significava uscire dal sogno.
Ma lei senza sogno non sapeva camminare, era come per l’amore, lei senza amore era un volo senza ali che non sapeva più volare. Le hanno sempre detto che la vita è più forte di tutto, e lei questo lo sapeva, e tanto. Aveva quelle piccole e grandi certezze inossidabili, l’amore salva e ti salva, l’amore fa ammalare e fa guarire, è la malattia e la cura, la smentita e la conferma, è la scia perenne di una presenza unica, indelebile.
Le viene in mente quel verso «essere amati tanto profondamente ci protegge sempre, anche quando chi ci ama non c’è più» e le piace pensare che sia così, è consolante, non è difficile sentire vicini chi si è amato ed è lontano.
Le piace pensare che l’amore sia quel fiato vitale capace di farsi promessa e protezione, che sia quel fiato soffiato in un respiro più grande, lei che vive ancora di quel respiro rubato al vento in un giorno lontano, si era distratta un attimo e quel fiato le era piovuto nel cuore come un sospiro mai sussurrato. È la vita che è più grande di tutto, si ripeteva, la vita con i suoi percorsi e le sue strade, la vita che per qualcuno si faceva vivere, mentre per altri si faceva aspettare, senza mai decollare. Era la vita degli orizzonti intravisti o sfiorati, dell’altrove agognato o soltanto sbagliato, di chi arriva sicuro alla meta e chi si smarrisce, di chi con il cuore in gola si innamora, si stupisce.
Perché lei ha una vita, un amore, un pugno di parole da soffiare come petali in un campo di corolle e piccole frasi di gesti gentili e dichiarazioni, perché ha un pianto che non smette, perché ha un dolore che ogni tanto riaffiora, e fa crescere. Perché ha una mano da tenere, braccia da abbracciare e baci. Perché ha una notte che sonnecchia e che accoglie, fogli bianchi e paure, nomi da pronunciare e tanti piccoli giorni di indelebile affetto, esercizio all’esistenza, al sopportare la dittatura della resilienza.
Perché ha una poesia, che strana poesia, forse è la mia”.
Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo libro; e di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere (nel contesto del libro che l’accoglie).
Perché sia amore
Perché sia amore non deve essere qualcosa di appariscente e di eccezionale, invidiabile.
Perché sia amore deve essere non necessario e indispensabile, è il miracolo che pensi di trovare e invece dopo esserti nascosta bene è lui che trova te. Perché sia amore deve esserti vicino in ogni momento, perché si maschera accorto nel cuore e negli occhi, e nelle lacrime sa scaldare e fare male.
Perché sia amore deve essere una cura discreta, ma vera, autentica, incrollabile. Perché sia amore sa guardare il mondo con una attenzione particolare, sa farti dono di ogni singolo istante, e la somma di ogni istante più importante si chiama vita. Perché sia amore sa consolare e sa addolcire, sa togliere i vuoti e dare voce al dolore che non sai dire. Perché sia amore non deve descrivere, urlare al mondo, sbalordire, ma può solo essere indescrivibile, come tutto quello che ci fa felici o non ci fa dormire, come tutto quello che ci fa sentire compresi, capiti, o solo stretti, abbracciati, qui, vivi.
Perché sia amore non deve essere solitudine o dolore, anche se capita di perderlo per strada, sotto la pioggia, per distrazione, in una giornata grigia, per confusione, di fronte ad una porta per tanti anni aperta e ora chiusa. Perché sia amore sa parlarti anche nella solitudine, in quello che resta perché quello che si ama non passa, perché l’amore sa riempire, perché l’amore sa come non scomparire.
Tenersi
Quando fa freddo.
Mi resta dentro tutto questo freddo, ha il peso della fine, il dolore dell’assenza, il tormento della incompletezza, della mancanza. Mi resta addosso questa sensazione di insensatezza, di irrealizzabilità, di inanità, di nullità, di incapacità a vivere, a fare. Quando fa freddo. È un tramonto senza luce, è un’estate senza sole, un inverno dentro l’anima, senza un fuoco, senza un conforto, senza una parola d’amore.
Ci sono parole che restano dentro. Parole che ci hanno cambiato, parole che non abbiamo mai dimenticato. Quando muoiono le parole, non resta che il vuoto, non resta che una pagina senza nome,
e senza amore non ho voce.
Tienimi vicino, tienimi stretta, tienimi in un abbraccio, in un’idea, un pensiero, un sogno. Tienimi perché se mi tieni ci teniamo e il mondo è fuori, tienimi perché se mi tieni non ho freddo, perché se mi tieni l’inverno è bello. Tienimi in una fotografia, nella frase di un verso, tienimi nel cuore, in un colore, tienimi e tutto resta, senza paura, senza fine. Tienimi perché se ci sei anche il mondo è fuori e poi scompare, e con l’amore si può ricominciare.
Sguardi (ancora amare, amore)
Sguardi. Sguardi rubati, sottratti all’incedere degli altri e di questo tempo, traslato in una realtà di carta che annulla il confine dei sogni, il margine delle braccia che stringono l’amore che ti porto e sento.
È l’amore che ti scrivo e preparo,
come il dono di ogni giorno,
perché sia sempre ora, qui
e per sempre.
E ancora.
Scelgo “Sguardi (ancora amare, amore)”, perché credo che racchiuda il senso del libro. Sono gli sguardi il primo veicolo della ricezione della realtà altra, sono, come insegnano Andrea Cappellano, Dante e Petrarca, il primo veicolo dell’amore, di questo amore da scrivere e preparare con cura, «come il dono di ogni giorno,/ perché sia sempre ora, qui/ e per sempre. // E ancora».