rubrica nulla dies sine linea

Lo stadio dello specchio lacaniano che spiega ciò che noi diventiamo all’essenza quando entriamo in relazione con l’altro, e la prorompenza di una biologia da gene egoista echeggiata da un darwinismo alla Dawkins, o- chi lo sa?-, il noto effetto potlatch (nah, non andare ad approfondire: non serve, nevvero?).

   E così spoglio delle sue vesti questa moralità chiamata PRESUNZIONE: “Voglio farmi la doccia, entro io e basta!”, o ancora: “Io sono Dio, contro ogni teologia”, o ancora: “Rocco Siffredi non è mai nato dopo che sia nato io”. In questa selva di adynaton (=adynata), e iperboli declamative, v’è nel sottotesto una “scontrosità” da onnipotenza bambina. In fondo Wordsworth è chiaro: “il bambino è il padre dell’uomo”. Il più presuntuoso è il bambino. Oh!, la presunzione: quale arma più penetrante nel seno della storia umana?! La presunzione: come si dovrebbe fare senza di essa? Cosa sarebbe l’amore senza presunzione? La presunzione: l’atto d’esistenza più nobile: o l’atto di desistenza. Andiamo per ucronia: se Hitler non avesse presunto l’immaginaria e reale pre-potenza della razza ariana, come avrebbe potuto avere gli insight(s) perfetti per realizzare il suo piano mefistofelico, superiore ad ogni romanzo goethiano e kafkiano? Storia. Realtà. Storia. Incredibilità?

Senza una presunzione degna, come avrebbe mai potuto presumere il Soter nazareno d’esser quel figlio di Dio – in una consustanziazione da trimurti occidentale – finendo per essere crocifisso per quest’atto di presunzione?

     Solo il vanesio zomboide, o il saggio yogico in preda al samadhi, possono essere ciechi di fronte alla verità più propulsiva dell’esistenza che muove tutti, ancor più dell’amore, come l’amore: la presunzione.

     La presunzione scatena un sentimento agli antipodi dell’amore, o solletica l’amore: come se l’altro fosse il padrone, o lo schiavo, durante questo suo “presumere”: chi lo sa? Nietzsche discetta sul “ressentiment”, questa frattura tra il sé e l’altro: la guerra degli Io. Chi vince? Il più pervicace?

La presunzione è un ingrediente morale di ogni creatura umana, e prima ancora appannaggio d’una teofania mistica o mitologica: chi osa contravvenire agli Dei, verrà punito! Zeus scatena le saette; al Cristo, lo frustano sadicamente. Crea piacere essere presuntuosi, solo se presumiamo noi. E l’altro? Se è l’altro ad essere presuntuoso ci si sente privati della “vanità egoica” che governa ogni creatura umana. Viene così meno quel piacere, quella pulsione del piacer d’esserci, come affermazione d’esserci. Cosa crea la presunzione, orbene? Il sentimento di affermazione dell’esistenza: VOGLIO ESISTERE, PRESUMO. Uno dei due deve cedere: il leone o la gazzella? Il maestro o il discepolo? Amleto o Ofelia? In questo eternare di ruoli e contro-ruoli, viene a mancare però l’estasi: quell’uscir fuor di sé, quel divenire obiettivi, giudici di se stessi col martello. E in questo eternare di ruoli e contro-ruoli viene a mancare però l’amore, il lasciare all’altro la “vittoria” fantasmatica. Ma la vittoria di che?

Napoleone presume di divenire l’imperatore di tutta l’Europa: realizza la sua presunzione, e adesso? Che n’è valsa? Dov’è quell’impero? Trionfare, e nientificare il trionfo. C’è un’eco molto nichilistica che emerge dalle acque del senso dell’esistenza: creare e distruggere. Eros e Thanatos. Amore e Morte. Se non si esistesse si potrebbe essere presuntuosi? Così tu, creatura umana, affermi: “VOGLIO ESISTERE, PRESUMO”. Sei presuntuosa!. (E anch’io.) Voglio esistere, presumo.

 

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