La poesia che ho tradotto stavolta, è stata scritta da Charles Cros (1842-1888), poeta e narratore francese, ingiustamente misconosciuto (almeno qui in Italia). Versificatore audace e raffinato, straordinario rappresentante del genere letterario del monologo, oltre all’attività di poeta, Cros si dedicò con particolare successo alla ricerca scientifica: realizzò un primordiale apparecchio di registrazione sonora, e lavorò allo sviluppo della macchina telegrafica. Nel 1879 pubblicò la sua unica raccolta di versi, dal titolo “Le coffret de santal” (Il confanetto di sandalo). Morì a soli quarantacinque anni, completamente povero e distrutto dall’alcolismo. Paul Verlaine, suo intimo amico, lo definì “genio”. Nello scritto che gli dedicò all’interno della sua rubrica letteraria “Les hommes d’aujourd’hui”, Verlaine si espresse esattamente in questi termini: «Genio, la parola non sembrerà eccessiva a tutti quelli piuttosto numerosi che hanno letto le sue pagine per tanti versi impressionanti, e quei lettori li considero numerosi in virtù della chiarezza, anche un po’ secca, un po’ brutale, e del buon senso talvolta acuto, paradossalmente duro, sempre in azione, che caratterizza il suo stile peraltro così originale». Parlando in modo più preciso delle sue qualità estetiche, Verlaine sostiene che «la sua lingua molto sicura, che dice forte e chiaro quel che vuol dire, la sobrietà del suo verbo e del suo stile, la scelta sempre rara di attributi mai oziosi, di rime eccellenti senza l’odioso eccesso, fanno di lui un versificatore irreprensibile che lascia al tema tutta la sua grazia ingenua o perversa».
INSONNIA Ecco il mattino ridicolo che ha scolorito la notte, ridestando col suo crepuscolo il dolore, l’intrigo e il rumore. Corretti, lo zinco e le ardesie dei tetti fendono il cielo abituale, si dorme, nelle case borghesi. Io non dormo. Qual è il mio male? Sarà una vita anteriore che mi insegue coi suoi profumi? La gente tra poco si muoverà, disperdendo i miei sogni estinti. Mi ricordo! erano fratelli che, amato condottiero, portavo attraverso le vaste brughiere, le ginestre, i biancospini. Oh quale squisita adorata dal cuore dolce, gli occhi vellutati!… Un’altra terra fu conquistata dove il sole sempre splendeva. L’oro di cui si fecero ricami, le gemme, cristalli dei tramonti, i fiori, snervanti magie, i campi pieni di aromi m’inebriarono. Nei miei capelli misi anelli e perle. Le baiadere dagli occhi vaghi mi sviavano dalle prime voglie. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sui monti dove il sole riposa trasportato da sconosciuti, ho pianto, muto e feroce, ogni mia estasi modificata gli aromi in erbe insipide, i diamanti in freddo cristallo, le tigri superbe in lupi grigi, nel banale abete il sandalo. Poi, sconsolato, sotto le fronde, ho spiato nelle fredde vallate le fanciulle, così bianche e serie, passare sotto le chiome bionde. Ma non era la dimenticata dalle labbra rosse di bietola un tempo legata alla mia vita!… Come soffro d’essere immortale! Corretti, lo zinco e le ardesie dei tetti fendono il cielo abituale, ci si risveglia nelle case borghesi, io credo di morire del mio male. *** INSOMNIE Voici le matin ridicule Qui vient décolorer la nuit, Réveillant par son crépuscule Le chagrin, l’intrigue et le bruit. Corrects, le zinc et les ardoises Des toits coupent le ciel normal, On dort, dans les maisons bourgeoises. Je ne dors pas. Quel est mon mal? Est-ce une vie antérieure Qui me poursuit de ses parfums? Ces gens vont grouiller tout à l’heure, Dispersant mes rêves défunts. Je me souviens ! c’étaient des frères Que, chef bien-aimé, je menais À travers les vastes bruyères, Les aubépines, les genêts. Oh ! quelle bien-aimée exquise Au doux cœur, aux yeux de velours!… Une autre terre fut conquise Où le soleil brillait toujours. L’or dont on fit des broderies, Les gemmes, cristaux des couchants, Les fleurs, énervantes féeries, Les aromates plein les champs M’ont enivré. J’ai mis des bagues, Et des perles dans mes cheveux. Les bayadères aux yeux vagues M’ont distrait de mes premiers vœux. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Aux monts où le soleil se couche Emporté par des étrangers, J’ai pleuré, muet et farouche Tous mes ravissements changés Les aromes en fades herbes, Les diamants en froid cristal, En loups gris les tigres superbes, En sapin banal le santal. Puis, mal consolé, sous les branches, J’épiais dans les froids vallons Les filles qui passaient si blanches, Si graves, sous leurs cheveux blonds. Mais ce n’était pas l’oubliée Aux lèvres rouges de béte À ma vie autrefois liée!… Que je souffre d’être immortel! Corrects, le zinc et les ardoises Des toits coupent le ciel normal, On s’éveille aux maisons bourgeoises, Je crois que je meurs de mon mal.
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