La solitudine delle parole è un libro di Francesco Bergamo appena pubblicato per Guida Editori. In copertina però campeggia anche un altro nome, Francesco Terrone, e non capiamo bene chi ne sia in realtà il vero autore. Atteniamoci perciò all’Introduzione di Cucchi e alla copertina dove, sempre sotto il titolo, viene specificato che le liriche sono di Francesco Bergamo.
D’altronde le parole, e la loro estrema e quasi inevitabile condizione di solitudine sulla pagina, sono ciò da cui parte Francesco Bergamo per presentarci un libro di profonda limpidezza, sorretto altresì da un impeccabile equilibrio dello stile che non scende mai a facili compromessi di genere. Le stesse parole, lo sanno bene i lettori, sono però anche quella straordinaria invenzione umana che permette di sentirsi appartenenti a un mondo comune, condiviso nei pensieri e nelle percezioni di un’esistenza in cui la comunicazione scritta ci mette in relazione con gli altri.
La solitudine delle parole
Con la solitudine non si è mai soli:
fantasma senza parole, non ti abbandonerà
mai, neanche se sei in compagnia
di uno sciame di mosche bianche
che ti rodono la mente in orizzonti
imbruniti, lividi e carichi di misteri.
Eppure anche questo senso di umanissimo e doloroso abbandono nella nostra presenza terrena può trovare consolazione in uno sguardo che si distende oltre un troppo ristretto limite geografico e fisico, liberandosi in un più ampio respiro di appartenenza universale. Le coordinate vengono quindi a rovesciarsi e Francesco Bergamo sa bene dove indirizzare l’osservazione per allargare valori di riferimento del tutto relativi nel nostro esserci cosmico.
Il mio sud
Amo la luna perché dalla mia terra
posso osservarla anche d’inverno.
Così d’inverno riesco a vedere
i mille e mille orizzonti
che penetrano l’universo.
È proprio questo uno dei temi centrali del libro, quello della nostra specie che abita un pianeta ricco di elementi vitali e allo stesso tempo fonte di bellezze inesauribili. Eppure, lo sappiamo bene, questo stesso luogo che ci ospita e ci dona la misteriosa presenza di esistenti, viene spesso stravolto e maltrattato da quella stessa presenza umana che ha potuto occuparne la scena. Ecco che allora l’autore si lascia andare a un dolcissimo canto che ne ammira e ringrazia le opere feconde e sorprendenti, nell’augurio che la continuità dell’opera naturale possa proseguire libera dai danni della nostra società troppo spesso spinta verso la rincorsa al potere e alle sue conseguenze mortifere.
Il canto della vita
Sorrida il sole ai tuoi occhi di gioia,
mio germoglio. Ti accarezzi l’aria
che governa il respiro. Ti affascini
il profumo dei fiori e ti riempiano di gioia
i mille e mille colori. E le nevi, le acque,
i ghiacciai, i mari, i monti, le nubi
generino piogge per fecondare
la terra in accordi proficui
invece di funebri fanghi, politiche
di morte, di fame e disastri.
La poesia di Francesco Bergamo si muove attraverso un registro linguistico che non perde mai la misura del suo dettato essenziale, manifestando pieno controllo nella materia stessa senza il rischio di inutili appesantimenti enfatici. È qui che sta il pieno e fermo approdo della consapevolezza che la parola abbia una sua utilità assoluta nel contesto lirico. E anche quando i temi si fanno più scivolosi e rischiosi per uno scrittore, come quello dell’amore per esempio, l’autore riesce con magistrale fermezza a far emergere intensità del sentimento e incisività del dire. Quello che in fondo segna la differenza tra un semplice giocoliere della lingua e un vero scrittore, tra cui, senza ombra di dubbio possiamo annoverare Francesco Bergamo.
Inutili parole
Come un fantasma percorri
i sentieri delle mie inutili parole
mentre il sole alto sbircia
tra le foglie il mio mendicare.
Un sospiro che si infrange
lungo le pareti del tempo
che non ha mai fine.