Laura Pugno, “la compresenza di sé stessi nella propria interezza è il dono della poesia”.

Poesia come accadimento. Poesia come mediazione incessante tra coscienza singola e coscienza plurima. Poesia come ritrovamento percettivo. Poesia come direzione reciprocamente assunta da elementi che si attraversano. Poesia come «chiarore, chiarità/ che si diffonde». Poesia come sguardo nuovo. Parliamo del libro “Noi” di Laura Pugno (ideatrice del “Festival diffuso di poesia e scrittura “I quattro elementi e la Mappa immaginaria della poesia italiana contemporanea”), pubblicato da “Amos Edizioni”, nella raffinata collana “A27 poesia”, a cura di Sebastiano Gatto, Maddalena Lotter e Giovanni Turra.

“Noi”, un’immersione di luce, “scintilla come acqua”: qual è stato il verso fiammifero?

L’inizio della prima poesia della raccolta, che riporto alla fine di questa intervista, e che si intitola alba: i corpi fanno luce,/sono piante/o insetti, sono/alba – vedi/che appare il giorno/portato da ogni corpo/con sé… è un’alba che nasce dalla presenza di qualcosa, qualcuno che è amato, accanto alla voce che pronuncia le parole, che emana in terra dal mondo prima ancora che scaturire in cielo dall’apparizione del Sole, la nostra stella del sistema.

“e credilo, anche se non lo credi/ è questo, che consente la luce”, ancora i tuoi versi per chiederti a cosa ti ha consentito (e ti consente) di credere la poesia?

Tra l’infanzia e l’adolescenza, e mi è stato chiaro col tempo, per me la poesia è andata a occupare il luogo del sacro: dell’affinamento individuale, della ricerca spirituale, del legame con una comunità umana ma anche animale, vegetale, minerale al limite….metaforicamente, una forma di animismo. Un sacro assolutamente immanente, terrestre, con moltissimo di razionale e laico. D’altronde, la compresenza di sé stessi nella propria interezza, in corpo e mente – mentre si scrive, mentre si legge – è il dono proprio della poesia.

Qual è (dal tuo punto di vista) la lingua ideale della poesia?

È sempre la lingua nostra contemporanea, ma pensata oltre la propria contemporaneità. Noi stessi siamo, per i classici, lettori e lettrici impensabili, inimmaginabili. Che qualcosa di inimmaginabile possa succedere, se i nostri testi durano nel tempo sufficientemente a lungo, è la speranza insita in ogni verso, anche se è giusto che sia una speranza nascosta.

E, ancora, la poesia è (realmente) traducibile?

La traduzione di poesia è l’impossibile reso possibile, come ogni traduzione e ancora di più, perché per ogni poesia presa in prestito una poesia va restituita. Come fare a fare l’impossibile è sempre materia del quotidiano: la poesia è lampo e strappo e salto, ma tra lampo e lampo ci sono giorni e giorni che non sono di continuazione inerte, ma di silenzioso addestramento.

Quale (e per quali ragioni) poeta e relativi i versi che non dovremmo mai dimenticare?

Nell’anno di Dante Alighieri, come citare un altro poeta, e altri versi che non siano quelli della Divina Commedia? Da cui è veramente difficile scegliere….

Qual è la tua ‘attuale’ spiegazione/definizione di poesia?

Proseguendo la risposta alla domanda precedente, direi la capacità di guardare a occhi fissi nel sole, come fa Dante nel canto I del Paradiso.

Qual è stato, ad oggi, il dono più sorprendente ricevuto dalla poesia?

La stella sulla fronte, la bussola personale che la poesia è stata – ed è per me – nella mia vita. La sensazione, come accennavo prima, di appartenere, oltre il tempo e lo spazio, alla comunità della poesia che inizia con la specie umana, e forse dovremmo dire le specie umane, capaci di linguaggio.

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare una tua poesia dal libro, “Noi” e, nel contempo, ti invito a portarci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.

Come raccolta, Noi nasce – con la sua prima serie poetica, che trascrivo qui – dalle suggestioni provenienti dalle letture, fatte qualche anno fa, sul genere delle alba dei trovatori provenzali medievali e delle aubade dei trovieri della Francia del Nord. Il tema del ritorno della luce è poeticamente e antropologicamente inconsumabile, ma mentre nella poesia dell’alba medievale quest’ora coincide con il momento della separazione degli amanti, che è causa d’angoscia, nei versi che ho scritto, in questo mondo mutato, e in mutazione, l’avvenimento del giorno diviene invece l’inizio di un movimento di riconnessione, dell’io col tu e verso il mondo, e quindi ragione di gioia.

alba

i corpi fanno luce,
sono piante
o insetti, sono

alba – vedi
che appare il giorno
portato da ogni corpo
con sé,
(se chiudi gli occhi/
è ancora notte),

è l’alba,
spegni la luce
in cucina, in camera
da letto, fai tornare
(fai torcia)
ogni cosa nel buio

solo l’oro del corpo che illumina
l’acqua del lago,
il buio che tieni tra le dita, l’alba
solo se guardata,
se percepisci, percepisci il sole –

l’alba si muove sul tuo corpo,
attraversa vetro
o niente, le finestre aperte
sull’estate: il sole può toccare,
scioglie la mente dietro gli occhi

la luce batte gli occhi e sulla mente,
tu devi andare ora,
dov’è il mondo?,
farsi, là fuori, luce –

alba, e lo scialbare,
bianco, biacca
sulle tue parole,
sul corpo che

non dimentica,
apre la porta entra la luce:
è sole o stella

bianco
duro, rappreso
– è come
carne, ha la consistenza della carne –

ha preso il cielo,

poi il resto e si estende alle cose:
respirare
latte, raggrumare
tutto in un punto, prima
che l’occhio si riapra:

blu quasi nero, metà del mare invisibile

stelle di plastica
viva, in alto nella stanza,
e alzi lo sguardo
(presto sarà l’alba), non puoi dire,
quella luce
raccolta nel giorno
– la stessa
luce corvina del corpo che ti è accanto –

respiri, diffondi il fiato
nei due corpi, una
due volte,
tre:

romperai da sotto l’onda,
corpo chiaro
nel verde-buio, come prima luce,

quella che avvieni, che libera
e scioglie
da corda-ombra, allenta il fiato: così

vedrai allora la casa, da dentro
di nuovo visibile, bosco, foresta

 

 

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 16.05.2021, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).

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