rubrica, allo specchio di un quesito
“Remedium amoris. Ancor sempre, contro l’amore è d’aiuto, nella maggioranza dei casi, quell’antico radicale rimedio: esser riamati”?
Di fronte a un pensiero paradossale come questo – che, per inciso, è l’aforisma 415 di Aurora -, direi che dobbiamo domandarci, non diversamente da come dobbiamo fare per numerosi altri passi di Nietzsche, cosa l’autore volesse dire. Stare sempre in guardia contro la lettera del filosofo!, è quello che ho cercato di comunicare ai lettori nel mio recente libro su Nietzsche. Non sfugga quanto sia ambigua anche la lettura di questo aforisma: esser riamati non è un rimedio perché solleva dai dolori d’amore e consegna alla felicità, bensì perché dissolve l’amore stesso. L’ambiguità interpretativa si può chiarire solo paragonando l’aforisma con altri di Aurora e con il pensiero di Nietzsche su questo argomento.
Se il contraccambiare l’amore, dunque, (nel testo tedesco, al posto di quest’espressione, vi è solo la parola composta “Gegenliebe”, alla lettera il “contro-amore”) diventa un antidoto contro l’amore, dobbiamo dedurne almeno due conseguenze: la prima è che l’amore non è affatto un semplice bene, qualcosa di solamente piacevole, bensì uno stato di alterazione che richiede un soccorso radicale, un rimedio, un pharmakon (un “Radikalmittel”) al fine di liberarsi dalle sue pene, dai suoi sintomi; la seconda è che essere contraccambiati in amore può liberare dall’amore in quanto pena, in quanto male, nel senso che può distruggerlo al modo in cui una medicina distrugge una malattia. Perché? Perché evidentemente l’essere corrisposti rappresenta una rovinosa caduta delle egocentriche illusioni e delle narcisistiche idealizzazioni.
Forse Nietzsche, da filologo classico, si ricordava dell’antica e inquietante figura di Anteros, l’amore ricambiato, il contro-amore appunto, rammentato già nel Fedro platonico (255 d-e), paragonandolo pure in questo caso a una malattia, a un’oftalmia per la precisione, una malattia dell’occhio e un contagio trasmesso attraverso la visione. Inquietante figura speculare, mimetica, il contro-amore, nient’affatto paga di un ingenuo, mutuo scambio ‘sentimentale’.
Distruttivo e morboso l’amore non ricambiato, ma distruttivo e morboso anche l’amore ricambiato. Per fortuna l’amore vero è così raro, sembrerebbe suggerire Nietzsche – entro un’ottica, del resto, per nulla pragmatica, bensì idealistica e romantica, sull’unicità dell’amore vero.
Invece Nietzsche come critico della morale, in numerosi passi, individua infallibilmente l’essenza di ciò che viene chiamato amore né più né meno che nell’egoismo.
Non solo l’amore è una mostruosa illusione, una proiezione di visioni spesso insostenibili, un vero e proprio qui pro quo alla cui base sta la nostra natura animale desiderante, che brama e vuole e possiede (dunque una forma della volontà di potenza), ma l’amore è anche un prodotto dell’io, creato a sostegno dell’individuo, escogitato e finto a proprio uso e consumo, e come tale la perfetta antitesi della reale apertura all’altro, dell’altruismo: “Come! Perfino un atto d’amore dovrebbe essere ‘non egoistico’? Ah balordi che siete -!” (Al di là del bene e del male, V, 220). La nostra fisiologia non ci consente altro, secondo Nietzsche, che un buon utilizzo di questo inestirpabile egoismo.
Tutto da buttare, dunque, nel cosiddetto amore? Ma no, si tratta forse, nella consapevolezza della fondamentale solitudine di ognuno, di far funzionare praticamente questo egoismo reciproco, che può talvolta – è una non rara possibilità “troppo umana” – capovolgersi esattamente nel suo contrario, ovvero in quelle dimensioni di cura, di attenzione e soprattutto di compassione che comunque Nietzsche in generale rifiuta, e anzi condanna, e sicuramente mai sperimenta. Totalmente estranea al suo pensiero rimane la dimensione cristiana della caritas: “anche se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non ho amore, sono solo un bronzo risonante o uno squillante cembalo”, scrive uno degli autori più detestati da Nietzsche, l’apostolo Paolo (I Corinti, 13, 1).
Al di là di tutto questo, al di là dell’idealismo, del pragmatismo, dell’egoismo e della compassione, resiste tuttavia la possibilità estrema del miracolo: l’amore tra due simili anime amanti, le due valve di una intatta conchiglia: Diotima e Hölderlin – un amore che annichilisce per eccesso di luce. Quello che a Nietzsche, però, in vita non accadde mai.