Luigi Carotenuto, “farsi fiori”, poesia «per bagliori e schiarimenti», puro “disarmo”.

«Là dove il volto delle cose ti assorbe/ dove il cielo si tacita sulla bocca/ e gli occhi nido ridono/ là dove l’istante scocca eterno/ partecipe dell’universo// luce imparziale attende». Versi di Luigi Carotenuto (nella foto di August Columbo), scelti per introdurre la lettura del nuovo libro “farsi fiori”, pubblicato da “gattomerlino”, nella collana “Quaderni di pagine nuove”, curata e diretta da Piera Mattei. “È bene porsi nel silenzio prima di avvicinare la poesia di Carotenuto. Perché i suoi versi sono esili, il sottile che sussurra l’essenziale”, scrive Isabella Bignozzi nella folgorante prefazione. L’autore nell’amore pecorre verecondo la dimensione dell’interiorità, «per bagliori e schiarimenti». Riluce la consapevolezza che “è la Luce che risplende dentro l’uomo”, che bisogna lodare, dire bene, nella luce «perforare/ il velo», conoscere, così, il «compito del cielo» che ci «abita». Bisogna accogliere di ogni stagione il frutto, come il dolore che vive in ogni vita, l’inverno, l’invito al raccoglimento, indispensabile alla metamorfosi spirituale, alla rinascita, «scortati dalla luce», fino a «stare nel bianco dono immacolato».

 Partiamo dal titolo, perché Farsi fiori? E, ancora, cosa può la poesia perché “accada”?

«Il titolo nasce da quel contrasto apparentemente giocoso: farsi fuori / per / farsi fiori, di uno dei testi, che mi è sembrato il più rappresentativo, a raccolta finita, del libro. Una raccolta che tenta di benedire e ringraziare, per il bene raccolto, accolto, ricevuto, per la protezione visibile e invisibile. I fiori, tramite tra cielo e terra, sono il frutto della luce. Abbandonare gli attaccamenti, farsi fuori, per essere luce. La poesia può solo essere, perché accada, ascolto, del bisbigliare delle cose, esercizio di attenzione affine alla meditazione, al di là dello strepitare della cronaca, dell’illusorio chiasso dell’apparire e dell’attualità, che è “pruvulazzu” e inconsistenza, anche quando ha schermi e visibilità mediatiche. La poesia come disarmo, il Cristo avanza senza combattere, scrive Massimo Scaligero, raggiungere quella trasparenza che porta con sé luce e ombra, accoglie in sé i contrari e unifica, anziché dividere, dualizzare».

 Sui “quadrati della pianura” quale cerchio hai trovato?

«Questa immagine, sorta nel riecheggiare l’idea della quadratura del cerchio, vista come il trovare il punto di equilibrio interiore, è figlia dell’osservazione di alcuni paesaggi padani. Credo che, tra il Nord e il Sud, ho trovato il centro, quella dimensione di ascolto nel silenzio, e di silenzio interno, per quanto si tratti di una costante ricerca, inesauribile. Se la Sicilia ha cullato la dimensione immaginativa generosamente e in modo profondo, l’Emilia ha dato spazio all’individuazione, alla dimensione interiore».

Con il “cuore bene in alto” tutto è possibile, scrivi rivolgendoti soprattutto (e idealmente) ai bambini. A quale “tutto” potremmo rivolgere il nostro sguardo in un mondo mendace e incapace di ascolto?

«Questa espressione è presa dal sursum corda della messa in latino. Il cuore, da cui deriva il coraggio, è la via maestra per affrontare la vita, se lo si tiene sollevati, non c’è cosa che non si possa affrontare, inganno che non si possa eludere, trascuratezza che non si possa riparare. Può forse sembrare idealistico, tuttavia non c’è fiaba che non ci parli della forza d’animo, del coraggio, davanti anche alle peggiori tragedie della vita, e del potere trasformativo di questo. Certo, a volte anche in tempi lunghi e travagliati, la forza del cuore è quella che rimane indelebile, anche nei ricordi essenziali di chi abbiamo amato, avuto “a cuore” appunto».

Con i tuoi versi, “Osserva come i gatti / osservano gli uccelli.”, cosa vuoi dirci?

«A volte, nei testi del libro, molti spunti e immagini, mi hanno attraversato come in una sorta di pre-pensiero, non vagliato dalla percezione cosciente, visitato dall’associazione fonetica, linguistica, prima che dal senso. Quello che, forse, volevo flebilmente indicare, era quel luccicare dello sguardo del gatto mentre guarda l’uccello, che sì, se pensiamo con nozioni di preda e predatore, possiamo tradurre in termini etologici, di evoluzione o simili. Eppure, c’era in quello sguardo qualcosa di sognante, che rimandava ad altro, mi viene in mente un passo della Bhagavadgita, chi considera l’uno l’uccisore, l’altro l’ucciso, non conosce la verità. Chi è la preda, chi il predatore? Sembra più līlā, tutto questo, un gioco divino».

Questo libro evidenzia una profonda inversione di rotta interiore. I tuoi versi conservano il tuo “stile”, conservano immediatezza, concisione e acume, “perdono” il tratto distintivo dell’ironia che lascia spazio ai toni chiari della meditazione. Come commenti queste nostre osservazioni?

«Concordo, ne è rimasta qualche minuta traccia in alcuni testi, fondamentalmente però, tutto è sorretto da un tentativo di rendere grazie, bene dire dell’esistenza, portare gratitudine per una dimensione di calma interiore che ha accolto nuove possibilità di osservazione, e forse, anche se, tanto è ancora il cammino da fare per sciogliere nodi egoici, integrare ombre individuali e collettive, penso vi sia maggiore possibilità di compassione nei confronti del dolore umano, vegetale, animale».

La poesia può scortarci alla “luce”? E se può, in che modo?
«Una luce che contenga anche il suo contrario, l’assenza di luce, o l’ombra. La poesia come yin e yang, espressione del divenire e conciliazione delle polarità. Scortarci alla luce, riconoscendo, attraverso il proprio maestro interiore, quella vera luce, che non è mai esibita, ma si manifesta senza caricature, pura essenza. Una luce trasparente, quasi invisibile, di natura sottile».

Scrivere per trovare una via “del sole in ogni fiamma”?
«Lasciando che si espanda la propria luce interiore, che può tracciare la mappa del nostro cammino esistenziale. Incoraggiare la fiamma a espandersi, dal cuore di noi al cuore del mondo».

Scegli tre poesie dal tuo libro. Di queste indicaci quella che reputi significativa/ propulsiva rispetto alla nascita del tuo nuovo libro.

Forse, quella che ha ispirato e sorretto il libro, a livello profondo, può essere proprio quella da cui hai tratto la penultima domanda:

*

C’è il sole in ogni fiamma.

Verso unico nato dopo avere osservato la fiamma della candela accesa, in atto meditativo, e aver notato un piccolo globo di luce al centro della fiamma stessa. Dal particolare all’universale. Quel sole in ogni fiamma è stata probabilmente la guida principale alla scrittura di testi inscritti in uno sfondo di eternità, anche quando mettono in luce le ombre, le oscurità del vivere, portando verso quella dimensione di fiducia e possibilità sempre aperte, anche nella dimensione umana.

*

C’è una via
del sole.

Percorrila.
Osala.

Lascia in pace i morti.
Lascia la morte ai vivi.

Scrivi.

*

Accarezza le opinioni,
trasformale in compassioni.

 

 

 

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 14.02.2024, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).

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