Ma dove sono le parole Candiani Cirolla su l'EstroVerso

“Il silenzio mi passava tra le vene / sembra infinito il silenzio”. Sono le parole di un poeta. Ma ha nove anni e forse nemmeno frequenta più la scuola. Eppure proprio a scuola ha imparato a comporre versi, dopo aver incontrato una strana maestra, diversa da tutte le altre: si chiama Chandra Livia Candiani, scrive una poesia tra le più significative oggi in Italia e da otto anni conduce seminari di poesia in diverse scuole elementari di Milano. Questo libro raccoglie la sua esperienza e una selezione delle poesie dei circa 1.400 studenti che hanno partecipato ai suoi seminari. “Sono le voci di bambini e bambine di nove e dieci anni”, racconta. “Molti vengono da paesi stranieri, molti vivono qui scomodi. C’è un silenzio dietro queste voci, un silenzio che gli ha permesso di parlare. Questo silenzio è esposizione massima al rumore delle vite degli altri. Di cosa si fidano bambini? Si fidano del silenzio di indirizzi, di indicazioni di giudizi, si fidano del non sapere prima, si abbandonano al viaggio insieme. Per mano. Senza rete”.

Di seguito, qualche stralcio dal libro Ma dove sono le parole?
a cura di Chandra Livia Candiani con Andrea Cirolla.
Edizioni Effigie (collana “I fiammiferi”)

«Il nostro amico silenzio»
Chandra Livia Candiani, in dialogo con Andrea Cirolla

Chandra, chi sono questi bambini?
I bambini sono di otto, nove o dieci anni. Ci sono pochi italiani, sono per lo più migranti che vengono dai paesi più diversi: Cina, Uruguay, Brasile, Panama, Perù, Colombia, Bangladesh, Pakistan, Sri Lanka, Filippine, Marocco, Tunisia, Russia, Romania, Ucraina, Egitto, Siria, Ecuador ecc. Alcuni sono appena arrivati, altri sono in Italia da tempo, altri sono nati qui.

Come lavorate?
Ho cercato di inventarmi un piccolo metodo che non emarginasse chi parla altre lingue. Partiamo da un punto in cui conoscere molte parole non è affatto quello che conta. Partiamo dal corpo, dalla presenza e dagli stimoli sensoriali che la vita regala a ogni istante. Non inizio mai spiegando loro cos’è la poesia, ma segnando un leggero e variabile percorso per andare insieme in cerca del luogo in cui abitano le parole. Ma dove sono le parole? Un verso di un anonimo poeta nicaraguense dice: «Un poeta siente»: un poeta sente, percepisce, avverte, intende, ha sentore e presentimento. E così giochiamo con il sentire e scriviamo le tracce che i sensi lasciano in noi.
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Abbiamo scelto di presentare queste poesie dei bambini partendo dal tema del silenzio. Perché il silenzio?
Inizio spesso i miei seminari con il tema del silenzio. Perché i bambini conoscono per lo più il silenzio teso, il comando a cui si obbedisce facendosi piccoli, raggrinzendosi. E invece cerco di trasmettergli un silenzio che allarga, il piacere del silenzio che è ascolto di sé, del mondo, dell’altro, della sinfonia di cui facciamo parte. È con meraviglia che scoprono il mondo che il silenzio rivela. E alla fine gli dico: ora vi do un compito che dura tutta la vita. E loro abbassano le orecchie, ma quando dico: ascoltare il silenzio, farci tana, aspettare lì le parole, ridono. E una volta una bambina cingalese mi ha chiesto avvicinandosi a me fino a poter soffiare pianissimo le parole: «Maestra, c’è sempre tanto rumore in giro, con le macchine, le moto e gli urli, come faccio? Mi insegni ad ascoltare il silenzio nel rumore?» Perfetto! Il silenzio non è l’assenza di rumori, è il loro sfondo, il loro riposo.
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Chandra, raccontavi del paese-radice e del corpo, dell’intelligenza del corpo, della sua ricettività. Ma che ruolo gioca invece la mente nei vostri laboratori? Come conduci i bambini? Una volta trovato il luogo della parola dentro e fuori di sé, cosa gli permette di mettersi in contatto con la parola, essere protagonisti attivi della parola?
Bisogna che ci siano delle domande. Tante domande. Tanta voglia di fare domande. Non importa a chi. Tanto meno rispondere. Far risuonare le domande e mettersi in ascolto. Forse qualcuno o qualcosa risponderà, forse la domanda si scioglierà nell’aria, forse risuonerà dentro, forse farà ridere, forse piangere. Forse: ecco una parola importante per un percorso che da dentro va verso l’esterno. È la voglia di comunicare che fa trovare le parole. Ma anche lo scarto, sentire che la poesia è anche musica e magia, che si possono fare dei salti con le parole e farli fare agli altri. Si può far sorridere o tremare. E soprattutto si può non sapere. Un sacco di volte i bambini mi chiedono: «Posso dire…» e io rispondo sempre: «Puoi dire tutto, non c’è niente di proibito, basta trovare le parole per dirlo».
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Il percorso verso la parola è anche un percorso nell’interiorità, nella propria storia e in quella famigliare. Può accadere allora che si incontri anche il dolore. Come gestisci questo aspetto? Che atteggiamento proponi ai bambini nei confronti del sentire?
Per sentire occorre nudità, bisogna imparare a non giudicare quel che sentiamo, a lasciarlo essere, a dargli un grande spazio vuoto e accogliente perché possa rivelarsi. Per sentire bisogna perdere tante opinioni, tanti «saperi»: la tirannia del capire, l’impero della ragione, il chiacchierio della mente discorsiva, la convenzionalità, i luoghi comuni devono andare in frantumi o essere lasciati sullo sfondo, con rispetto, ma sullo sfondo. Ma soprattutto, ci deve essere un bello strato di fiducia tra di noi, per questo iniziamo e concludiamo sempre ogni incontro dandoci la mano, sembra banale ma così ci trasmettiamo un filo e una rete, rete da acrobati. Tocchiamo spesso il dolore, soprattutto quando scriviamo dell’addio, certe volte piangiamo, ma c’è sempre una misura. La poesia è una misura, le parole sono una misura, contengono, senza fare bello, senza appianare.
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Che rapporto vedi tra poesia e pensiero?
Il pensiero c’è in poesia, la poesia è senz’altro una forma di pensiero, ma quale? Le poesie in cui il pensiero sta prima dello scritto, fronteggia la poesia, sono proclami, editti che vanno a capo. Ma un pensiero che nasce dalla poesia, che sorprende chi scrive, questo è sentimento che conosce, conoscenza del mondo attraverso i sensi, la sensibilità, le antenne.
Questa intelligenza del sentire, la conoscenza di cui parli, mi sembra abbia poco a che fare con la sfera emotiva.
C’è molta confusione tra emozione e sentimento. Il sentimento non è emozione, è una forma di conoscenza, è una percezione nuda e diretta di quello che ci sta di fronte, intorno, dentro. Il sentimento viene da fuori come da dentro, proprio come le parole. E a sentire s’impara. E s’impara a sentire. È conoscenza e c’è un addestramento. Dura tutta la vita. E ci accompagna, cambia, ci dice chi siamo, come stiamo e dove ci troviamo, nel mondo, nei paesaggi della terra e nei paesi dell’anima…
[…]

Le poesie dei bambini

Davide, dieci anni, italiano

Certe volte le parole sembrano
un muro perché sono dure.
I pulcini quando piangono sembrano
parole che vogliono cantare.

*

Joan, dieci anni, filippina

La vita di Joan

Tante persone
parlano,
altri
leggono e
altri
giocano,
sono proprio
viva.

*

Renz, dieci anni, filippino

L’addio

Il silenzio del mare.

*

Nashua, nove anni, marocchina

La mia mamma moriva,
le chiedevo aspetta
sta arrivando il mio compleanno,
lei sorrideva e diceva:
avrai un compleanno bellissimo!

*

Baraa, dieci anni, siriana

Quello che resta

Nel mio paese resta ancora la guerra
resta la morte e la paura.
Quando lascio i miei amici
mi resta la loro delicatezza.
Quello che resta del mondo nel mio cuore
è felicità e tristezza.

*

Ilaria, otto anni, italiana

La poesia misteriosa

Un poeta la recita
un libro la contiene
il fuoco la brucia
la pagina la protegge
il sole la illumina
la matita la scrive.

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