Mario Fresa e la “scrittura rovente” dei suoi “Svenimenti a distanza”

Anteprima

La poesia di Mario Fresa si mostra capace di assommare e di confondere le tonalità più disparate, perché pronta ad accogliere, nel suo violento trasformarsi, virate stilistiche improvvise, rigerminanti prospettive, movenze nervose e sorprendenti che sempre la rendono sospesa e obliqua, ponendola in bilico tra la visione paradossale e l’osservazione lucida, disincantata e quieta della realtà. In questo suo nuovo libro, Fresa disegna una scrittura rovente di vita e di energia che mette in fusione, continuamente, il comico e il drammatico, l’onirico e il quotidiano. Gli inauditi accostamenti visionari, le tensioni espressionistiche, le descrizioni formidabili e incalzanti che percorrono, senza sosta, il corpo di questa raccolta fanno emergere, allora, un’inquieta, vitalissima costruzione polifonica, un gioco libero e straniante, sempre felicemente agile e intricato, enigmatico e lieve nel medesimo tempo.

 

Mi siedo fingendo di essere un suono
interminabile. La strada arriva a te, cotone d’aria,
per essere guardata
con autentica pazienza da chi parla,
da chi risponde: «Non l’ho sentito per nessuno, mai. Te l’assicuro».
Prova a spezzare le tue movenze in quattro,
come un avaro mostro che gioca
senza riguardo a ricercare me, nello spedale
delle parole vinte o sottili:
topi di artiglieria che vengono alle mani,
se tu gli muovi guerra; e così sia.

Alcuni gli vogliono bene quanto basta, felice purgatorio
senza vele – e lui così, turbante sulle gambe; occhio sparito
fin dal principio; si sposerà? –. Eppure adesso gli sale
tra le gote un vento leggerissimo che resta
senza pace. Poi lascia la nostra roba all’aria,
e nel silenzio messo presto in discussione (gridare
dalla finestra fino a volersi rovinare proprio il mento,
le gambe, la prossima stagione…).
Più centrale, più acuta. Se ne ricorderà.
Ecco la luce che fa più uguale, adesso,
il tuo veloce sguardo al mio.
I nomi precipitati giù dall’ascensore, o semiaperti,
dimenticati; confusi soprattutto per il caldo innaturale.
Un accidenti che vuole proprio me, anche se dice
di non sapere amare.
Se qualcuno, cioè, gli vuole bene,
non lo dirà proprio a nessuno.
Mai rendere pubblico un disastro.

Un luogo esiste almeno cinque volte.
I successivi due anni nessuno ne sa niente e lo teniamo
a bada, giusto ai confini della guerra. Per essere felici,
apriamo i nervi ottici e stacchiamo l’ombra netta
alla radice: un modo di spezzare il tuo cervello
quasi perfettamente in due.
Accade, allora, che lui – nel centro del dolore –
torni ogni giorno al mio indirizzo.
Riprovano a lasciarci sulla rotta,
senza mutare o restando con una certa età;
viene da dentro, come se lui non fosse un mostro
che ha un solo desiderio: passare dal fatto alla certezza pura.
Facciamo il tutto esaurito.
Se non ti volti nemmeno adesso – è tutta qui la mia
speranza – tu dormirai nel nulla,
come salvato dall’attesa.

In tanto spazio, quanti nemici stanno
nella materia? La tua voce raggiunge
le dita e noi saremo uguali
per sempre. Ma cos’era successo davvero,
ai nostri poveri amici? Oltre il giardino
dell’ospedale, dico? Oltre l’abbraccio
della prima ora?
E tu, scontrosa diligente, mi basterai per l’ultimo
proiettile, per questo allegro ballo
inciso nel fosforo dell’aria?

 

Testi tratti da Svenimenti a distanza (prefazione di Eugenio Lucrezi, il melangolo, Genova, 2018).

Mario Fresa, 10 luglio 1973. Già collaboratore delle riviste “Smerilliana”, “Paragone”, “Caffè Michelangiolo”, “Nuovi Argomenti”, “L’area di Broca”, “Gradiva”, “La clessidra”, “Almanacco dello Specchio”, “Erba d’Arno”, “Semicerchio”, ecc., è autore di libri di poesia, di saggistica e di traduzioni dal latino e dal francese. Tra le sue ultime pubblicazioni: Uno stupore quieto (2012); Catullo vestito di nuovo (2014); Come da un’altra riva (2015); In viaggio con Apollinaire (2016); Le parole viventi. Modelli di ricerca nella poesia italiana contemporanea (2017); Alfabeto Baudelaire (2017); Svenimenti a distanza (2018).

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