Matteo Bianchi, “I versi bucano il tempo senza violarlo”

rubrica (tre poeti, tre riflessioni, tre poesie)

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Qual è la tua definizione ‘attuale’ di poesia?

Tutto torna dentro una poesia, specie quello che eravamo e non possiamo più essere. Quello che ci manca nel ricordo. Oggi l’individuo è arrivato a superarsi per essere più veloce, per concretizzare l’immediatezza del suo sentire, del suo concepire la realtà circostante. E forse non è fatto per questo, forse non doveva – o meglio – non poteva portare alla luce in un istante ciò che ha avuto bisogno di millenni per essere tale. D’altronde, se per molti la fuga di Prometeo fu una prova di estremo coraggio, per altrettanti fu solo una follia che contrappose la cultura all’ordine delle cose. I versi, però, bucano il tempo senza violarlo, tramite le immagini coniugano concentrazione e sentimento, rischiarano le intenzioni di chi scrive. Poi viene il canto, l’armonia che unisce e orienta la volontà di milioni di persone verso un disegno astratto, verso l’alto.

Qual è il ruolo della poesia nella tua vita?

È più forte di me, non riesco a stare lontano dai miti della mia terra, sarà dovuto al sangue o alla fantasia ferrarese. Dalla prima volta ho considerato i versi capaci di convertire il buio in luce e di stravolgere i poli, dal gelo al calore: «La notte esce dalle mani, / lo spazio irresistibile divampa, lo spazio / che sembrava circondare / questo foglio», Milo De Angelis non avrebbe potuto esprimerlo meglio in Quell’andarsene nel buio dei cortili. È sufficiente mettere a fuoco il nostro Cosmè Tura: San Giorgio volge la forza del drago a suo favore, come il poeta definisce la sua passione per trasformarla sulla carta. «…E per te scendere in un gorgo / di fedeltà immortale», scriveva il Montale de Le occasioni, perché quel cavaliere si sarebbe salvato, se fosse rimasto coerente con il suo «cuore» e non si fosse fatto prendere da una pulsione, una cicatrice mal curata, un incidente di percorso.

Qual è il momento in cui una poesia può dirsi compiuta?

Si compie nel frangente in cui viene fissata al foglio, alla maniera di una Polaroid. La sua unicità sta nell’imperfezione di quell’impeto che chiamiamo ispirazione, nelle ombre e negli aloni intorno al campo visivo. Sono appena stato a Parma a vedere l’ultima mostra fotografica di Patty Smith e lei ci è riuscita; ha raccolto un diario in bianco e nero della sua esistenza, manifestando il tentativo di trattenere emozioni e mutamenti d’animo. «Come on now try and understand», esorta la cantautrice americana: si tratta di scegliere con cura i particolari e di abbandonarsi, in modo da avvicinarsi il più possibile alla verità, ma anche di lasciarli andare, liberandoli dalla stessa vita dalla quale sono nati. È una questione di dettagli, ma anche dello stile con cui risplendono, «because the night belongs to us» (rimane una delle mie canzoni preferite).

 
Tre poesie da La metà del letto (nike)

*

Nella nube di neve
smessa dal diretto in ritardo
sui pendolari fiaccati
dalla Bora impertinente,

mi travolgeva un sogno:
smarrire di continuo qualcosa
durante il viaggio di ritorno.
A rendermi inquieto, però,
non erano gli oggetti

i ghiacci sotto le coperte

theòs, radice del mio dubbio.

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La fine porta a galla i punti luce
e al gorgo spetta il resto.
Un anello in pegno a stomaco vuoto,
abitudine servita tardi
del pranzo familiare,
era una buona uscita:
«scherzi?» – abbaiavano i parenti –
«se la vuoi lasciare, che senso avrebbe?»,
la cifra di un ricordo, un addio
risentito, rifugio
nella presenza dell’oro.
Fredda e lucente imitazione
delle nostre promesse.

*

Morire così incollati e nudi
finendoci a vicenda in un rantolo,
un gemito prolungato di vergogna
l’uno dentro l’altro,
e la finestra a affacciarsi cauta
sul primo pomeriggio di un’estate,
dopo esserci svuotati in apparenza
di ogni energia vitale.

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