rubrica “tre domande, tre poesie”
“Michela Zanarella è oggi una delle realtà poetiche più belle che abbia l’Italia. Con altre cinque donne rappresenta il meglio di ciò che si sta producendo, fatto innanzi tutto di grande ricchezza umana e accompagnata da un impegno culturale di sicuro valore. Questo libro di Michela è un po’ diverso dagli altri. Qui l’impegno per i problemi della donna si accoppia a quello dell’ecologia, anzi della preoccupazione che il mondo stia andando verso una china irreversibile. Tuttavia i suoi accenti non diventano mai maniera. Lei racconta le sue sensazioni e si tuffa nella bellezza della natura con una passione che sa di misticismo, con un’accoratezza che mostra la filigrana di un’anima bella e sempre pronta a dimenticare sé stessa per interessi di grande respiro”. Parole dalla prefazione di Dante Maffia per introdurre la nostra intervista.
Qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “L’eredità del bosco”, edito da Macabor, meglio: in che modo la (tua) vita diventa linguaggio?
Tutto ha avuto inizio da un ritorno nei luoghi in cui ho trascorso l’infanzia, sono stati i sentieri del bosco, le montagne di Fontanelle di Lusiana Conco, tra i sette comuni dell’altopiano di Asiago, terra natìa di mia madre, a scatenare qualcosa interiormente, tanto da spingermi a scrivere una dopo l’altra le poesie della prima parte della raccolta ‘L’eredità del bosco’ edita da Macabor. Tornare dopo una lunga assenza in Veneto è stato come recuperare una parte di me, fatta di odori, suoni, ricordi, silenzi. Ho pensato che la montagna potesse diventare l’immagine di un particolare momento della mia esistenza. Faccio sempre molta attenzione a ciò che mi circonda, agli incontri, ai simboli, alle coincidenze. Inizialmente l’idea era di scrivere una raccolta tutta dedicata alla montagna, poi ho pensato che forse dove guardare oltre e così è stato. La raccolta infatti è suddivisa in quattro sezioni: La montagna, la luna, luce, memoria. E’ un viaggio che parte dai luoghi a me cari per arrivare ai luoghi interiori. Così mentre mi trovavo immersa in una realtà a cui non ero più abituata, lassù non c’è traffico, gli unici rumori sono quelli della natura, tutto sembra rallentato, ho sentito la necessità di trasferire in poesia le mie percezioni. La mia vita diventa linguaggio quotidianamente, perché è così che vivo la poesia, come qualcosa che non mi abbandona mai, è l’esatta espressione di ciò che sono realmente. Se vedo un tramonto posso afferrarlo e portarlo tra i miei versi, se intuisco una frase che mi colpisce la tengo da parte, se succede un imprevisto, qualcosa che mi disorienta o mi addolora, ogni cosa può diventare poesia.
La poesia è un destino?
La trovo una bellissima domanda, anche se difficile. Forse sì, lo è. Da quando la poesia è entrata a far parte della mia vita sono cambiate molte cose. Mai avrei pensato di poter scrivere poesie, mi dedicavo esclusivamente al lavoro, fino a quando un incidente stradale al quale sono sopravvissuta, mi ha fatto aprire gli occhi sul mondo, ho iniziato a scrivere con lo stupore di chi compie qualcosa di unico e irripetibile, poi ho compreso, nel tempo, che non a caso accadono cose straordinarie. L’ho accolta con tutto il timore di chi non sapeva nulla di quella realtà e da allora non ho mai smesso. Non so se è stata una forma di fiducia reciproca. E’ vero che siamo in tanti a scrivere, che il mondo della poesia è sempre più complesso e faticoso, ma io credo che dipenda molto da come si intende viverla. Ho scelto di intraprendere un percorso di dedizione verso la poesia ormai diversi anni fa, ho imparato a non pretendere troppo, a essere sempre curiosa e pronta ad apprendere, rispettosa delle critiche altrui, la poesia riserva cose inaspettate, richiede impegno, costanza, a volte non sempre si ha la possibilità di dedicarsi alla lettura e alla scrittura come si vorrebbe, ma ciò che conta è trovare il momento, sentirsi liberi di esprimersi. Quando la poesia nasce pura come luce, pronta a raggiungere chi sceglie di ascoltare, è un bel dono e non credo occorra altro.
Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo libro; e di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quando “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere (nel contesto del libro che l’accoglie).
Scelgo di raccontare com’è nata la prima poesia. Stavo passeggiando con mia madre lungo la strada che dal bosco risale al borgo, la luna era immensa e di una bellezza indescrivibile. Quando sono rientrata a casa e sono salita in stanza, dalla finestra la vedevo ancora lì, stupenda. Non ho resistito e ho trascritto quel momento, come se fosse stato un sogno poter essere nella mia terra, con chi mi ha dato la vita e mi ha insegnato la grandezza dell’amore, il suo immenso valore. Ogni esperienza vissuta si trasforma in poesia e gli elementi della natura sono testimoni del mio sentire. Non c’è nulla che si allontani dalla mia quotidianità, ogni verso è il riflesso di ciò che sono.
*
È stato un sogno:
risalire il sentiero del bosco la luna sottobraccio
e parlare di perdono dalle radici degli alberi
fino alla neve ancora viva alle spalle dell’estate
tu che mi ripeti che l’amore è un mistero troppo grande
e bisogna preparare l’anima
alle conversazioni con l’erba dei pascoli
per questo parlo ad ogni filo d’erba
e cerco ai bordi della strada una risposta:
che sia come sentire luce dalle vene della terra
e da tutto ciò che assomiglia al sole?
Sì, l’amore ha l’estensione dei rami del tempo
resiste dove c’è sempre vento
perché il vento è una promessa sconfinata
che svetta tra le cime.
*
Portare via dalla penombra un ricordo
in segreto ripeterne lo stupore
intatto dentro i giorni lo sguardo carico di sole
nel sentiero taciturno del bosco.
Non sono mai state lontane le rocce di montagna
tengono a riparo la saggezza della luce
le mie urgenze di silenzio.
Tutte le sere torno a proteggere
il corpo di una memoria che cova
fioriture tra i ciliegi
rivedo una trama di prati falciati a fieno
e un viavai di deltaplani
che si spingono dentro infinità di vento
nell’aria d’estate ogni assenza è vicinanza.
*
Intuire nell’oscurità
i desideri del buio
stasera sento il cuore della luna
strappare il confine
e fare della luce un rumore di sogno
l’amore ha gettato l’ancora oltre le nuvole
fosse la grandezza del cielo
un’unità di misura
non basterebbe a contenere la parola più pura
l’eternità come un dono sboccia a notte fonda
e splende in un silenzio scaltro.
Michela Zanarella è nata il 1° luglio 1980 a Cittadella (PD). Dal 2007 vive e lavora a Roma. Ha pubblicato diciotto libri. Negli Stati Uniti è uscita in edizione inglese la raccolta tradotta da Leanne Hoppe “Meditations in the Feminine”, edita da Bordighera Press (2018). Giornalista, autrice di libri di narrativa e testi per il teatro, è redattrice di Periodico italiano Magazine e Laici.it. Le sue poesie sono state tradotte in inglese, francese, arabo, spagnolo, rumeno, serbo, greco, portoghese, hindi, cinese e giapponese. E’ tra gli otto co-autori del romanzo di Federico Moccia “La ragazza di Roma Nord” edito da SEM. Nel 2023 ha vinto ex aequo il premio nazionale di poesia “Vincenzo Pistocchi” aggiudicandosi la pubblicazione della raccolta “L’eredità del bosco” con Macabor Editore.