Nostos, ritorno alla parola
Rubrica a cura di Luca Pizzolitto
da Mario Benedetti, Umana gloria (Mondadori, 2004)
Una cosa vera che stava con noi nella vita sono adesso
i piccoli orti sulla strada, la materia povera
di un quadretto di Beuys tra le linee nodose di Mondrian.
Quando il cielo diventa basso e poi il sole scompare
sembra alzarsi la terra con i suoi sterpi, il ghiaione
dei binari, c’è il rumore delle scarpe che franano
tra i sassi, un vento che fa esistere lungo e nero
e calma il vuoto che si ha addosso.
Alla fine, mi domando, come poter dire: alla fine.
Dare un posto a un uomo, degli occhi, un cuore, un respiro.
Solo come un’immagine sono ancora belle le primule
come c’era di bello una sera due poeti seduti vicini
alla televisione, in particolare l’uomo con gli occhi secchi,
gli abiti pieni di vecchie case operaie, e Alcide De Gasperi
che si era fatto portare il letto vicino alla finestra
per guardare le sue montagne fino all’ultimo.
*
Penso a come dire questa fragilità che è guardarti,
stare insieme a cose come bottoni o spille,
come le tue dita, i tuoi capelli lungi marrone.
Ma d’aria siamo quasi, in tutte le stanze
dove ci fermiamo davanti a noi un momento
con la paura che ci ha assottigliati in un sorriso,
dopo la paura in ogni mano, o braccio, passo,
che ogni mano, o braccio, passo, non ci siano.
*
Non sapevo se le mie parole erano le stesse
per tutti, la mia notte
se era la stessa nessuno lo diceva.
Valli, ogni volta che venivo,
erba ripetevo, adesso è ancora questa erba,
e alberi, toccarli, dire alberi.
Viale che non guardo,
rimasto come lo sapevo ma neppure un viale.
E cammino anche più in là di me
adesso che piangere è pioggia,
e stare soli è più grande.
da Mario Benedetti, Tersa morte (Mondadori, 2013)
Anni che non dovrebbero più, ore che non dovrebbero
prendermi i giorni, le settimane, i mesi. Il tempo
portato addosso, il sosia a cui chiedo di aiutarmi.
Con la sedia di mio padre gioca la bambina che non conosco.
Adesso è sua. Gioca con quelli che diventano i suoi ricordi.
Tutto è una distanza sola. Le fermate sono da rimettere a posto.
Sollevare dei pesi, deporli. Lo sguardo s’incuriosisce nella forma
di una porta marcita dove abita una signora anziana da sola.
Il sosia ascolta mia madre non morta, parla di mio fratello
o gli scrive. Pensa al protrarsi della vita che mi sopravvive.
*
La pioggia resta a metà del cielo per il tanto piovere.
Ci si dimentica di sé e il sosia ripete le onde del mare.
Si diventa l’uomo o la donna che non si vede
chi sono nella propria vita, sul rilievo fisso del mare.
Si diventa altri occhi per morire dovunque, dovunque
è l’aquilone del tetto sopra il condizionatore Hisense.
*
Vado nell’aprile del duemila e dieci
quando la casa era nostra, e l’asfalto,
i fili della luce, le montagne, il sole.
Nessuno ci vedeva e noi vedevamo tutto.
Era il segreto di ognuno per vivere.
Cade quella primavera sulle suola di neve
con il peso di tutti i miei anni:
un bianco pestato in un amaro sale grigio
la sola immagine, il mio corpo di adesso.
*
Anche io solo come questo attaccapanni,
come sono i tavoli, com’è l’asse da stiro.
Muri e ringhiere, la poltrona, il camino.
Anche il fuoco bruciando l’intero giardino,
tutto il prato, i boschi, tutte le primavere.
—
Mario Benedetti (Udine 1955 – Milano 2020). Laureato in Lettere e diplomato in Estetica presso l’Università degli Studi di Padova, si è trasferito a Milano dove ha vissuto. Negli anni ha pubblicato le seguenti raccolte: I secoli della Primavera (Sestante, 1992), Una terra che non sembra vera (Campanotto, 1997), Il parco del Triglav (Stampa, 1999), Umana gloria (Mondadori, 2004), Pitture nere su carta (Mondadori, 2008), Materiali di un’identità (Sossella, 2010), Tersa morte (Mondadori, 2013). Ha tradotto il volume antologico delle poesie di Michel Deguy, Arresti frequenti (Sossella, 2007). Nel 2017 è uscito il volume antologico Tutte le poesie (Garzanti).
la ph in copertina è di Dino Ignani