Cominciamo subito con la mia passione per la scrittura. Ricordo da bambina la meraviglia di quelle formichine che si allineavano ubbidienti sotto le mie mani fra le righe del quaderno, rischiando a volte la morte per annegamento in una macchia d’inchiostro. Quelle formichine che abbracciandosi, correndo e disperdendosi formavano parole e le parole pensieri e i pensieri storie, in cui mi perdevo con la testa e la penna per aria. Le parole, misteriose entità magiche, che vivono di vita propria e si accoppiano e si amano e, come dice Buttitta, un poeta che adoro, “figliano parole”. Una grande scuola è stata per me quella della poesia, ne ho pubblicato una raccolta “Dentro” qualche anno fa, perché mi ha insegnato l’estrema cura con cui si devono scegliere e usare le parole. Vanno trattate con riguardo, scelte come scegliamo la persona da amare che deve essere quella e quella soltanto. Mi sono chiesta spesso perché per me sia necessario scrivere. Scrivo perché le parole mi si affollano nella testa e devo farle uscire fuori, altrimenti soffocano. Scrivo perché penso che ogni parola mi faccia scoprire la nuova sfumatura di un sentimento, l’aspetto diverso di una emozione. Scrivo perché vivo di più e meglio. Scrivo perché spero che qualcuno mi leggerà quando non ci sarò più e io vivrò ancora. Ho anche lavorato con le parole, insegnando per trent’anni materie letterarie, amando moltissimo il mio lavoro, con l’allegria e l’emozione con cui si ama un amante giovane. Le parole mi hanno accompagnato anche dopo la pensione, ma bisogna precisare che un insegnante, come un prete, non va mai in pensione. Gridate fra le lacrime o sussurrate con un sorriso nell’altra mia passione, il teatro, che ho attivamente frequentato recitando e scrivendo testi con una mia compagnia amatoriale. Ho anche partecipato ad alcune fiction televisive (Montalbano, Il capo dei capi) e a qualche film, divertendomi moltissimo. Due passioni, due sfide. Ma mentre sul palcoscenico devo misurarmi con il pubblico, quando scrivo devo fare i conti con me stessa, con il pudore dei miei sentimenti. Come dicevo, ho sempre scritto, e nel frattempo il mio romanzo cresceva con me, nutrendosi di tutte le mie emozioni. Lo allevavo, lo nutrivo pensando che queste emozioni dovessero essere in qualche modo conservate e tramandate. E io che non so nemmeno fare una conserva di marmellata, ho usato parole al posto dei barattoli. Ne è venuta fuori una storia, che poi è quella di tutta la mia generazione, la storia di una vita, di tante vite, nella contraddizione fra educazione tradizionale e aspirazioni, tra speranze e disillusioni. La storia si svolge sul filo dei ricordi che non hanno mai però il sapore amaro della malinconia, piuttosto quello dolce delle ciliegie, assaporate ad una ad una. I miei Ragazzi della Piazza crescevano attraverso esperienze comuni di gioco e di sesso, di cultura e di politica. Scoprono ben presto però che non è facile crescere in un clima politico e sociale che diventa sempre più pesante e violento, in mezzo a trasformazioni della famiglia e della società che non capiscono e li trovano impreparati. I legami si sfaldano, i valori si appannano e la protagonista, ragazzina ingenua all’inizio, si trova a dover percorrere un sentiero accidentato e pericoloso.
Rimanevano però chiusi fra le pareti di casa mia, forse troppo giovani o troppo timidi per uscire allo scoperto. E allora come una buona madre deve mandare i figli in giro per il mondo, io ho mandato il mio figlio di carta. Quarto figlio, perché di mio ne ho già tre, oltre a quattro nipoti. Ecco secondo me cosa significa scrivere. Significa soprattutto comunicare, spargere in giro riflessioni e fare germogliare pensieri e raccogliere vita.
Scrivere per “raccogliere vita”
Maribella Piana
Mi chiamo Maribella Piana (in realtà Maria Isabella, ma magari poi vi racconterò) e sono un’insegnante di lettere in pensione. Felicemente in pensione, anche se ho amato moltissimo il mio lavoro, perché da allora ho fatto un sacco di cose interessanti. Teatro innanzitutto. A scuola abbiamo partecipato a rassegne internazionali e vinto diversi premi. Con la mia compagnia amatoriale “Gli instabili” da quasi vent’anni andiamo in scena al Piccolo Teatro di Catania, lavorando anche con la regia di Gianni Salvo. Da lì è venuta anche la televisione. Infatti ho partecipato a due episodi de “Il Commissario Montalbano”, oltre a piccole particine ne “Il capo dei capi” e anche in un film “Agente Matrimoniale”.
Accanto all’attività teatrale si sviluppa negli anni la passione per la scrittura. Ho pubblicato una raccolta di poesie “Dentro” e ho scritto dei corti teatrali che sono stati selezionati per la rassegna “Schegge d’Autore” a Roma, dove poi li ho anche rappresentati. Nel frattempo scrivevo, tanto, racconti e un romanzo che cresceva con me. Ad un certo punto, l’avventura. Partecipo al programma di “Rai 3 Masterpiece” sponsorizzato da Bompiani e il mio romanzo viene selezionato su 5000, sì, 5000! manoscritti. Dopo aver superato diverse selezioni andiamo in onda e mi ritrovo in un ambiente pazzesco, fra concorrenti soprattutto giovani ad affrontare prove incredibili e, non so come, arrivo alle finali, per volontà dei giudici. Mi fermo alla penultima puntata, ma, questo è il bello, Elisabetta Sgarbi, direttrice della Bompiani, mi dice che il mio libro le è piaciuto molto e che lo pubblicherà egualmente. Molto meglio che se avessi effettivamente vinto! Adesso il mio libro “I ragazzi delle piazza” è in tutte le librerie ed è anche andato in ristampa. I miei ragazzi sono adolescenti negli anni ‘60 e attraversano tutti i cambiamenti della società, le ribellioni, le delusioni, le vicissitudini sentimentali, in un ambiente, come quello siciliano, in cui tradizione e modernità si incontrano e scontrano ancora oggi.