Serie Fossile su l'estroverso Calandrone

parola d’autore

l’amore ottunde la capacità frontale di giudizio, è un discrimine chimico, una diga nel mare della solitudine. l’amore semplifica le complessità della mente, limita l’interpretazione del mondo a una scelta naturale tra elementi basici: gioia o dolore. bene o male. l’euforia della presenza o la turpitudine dell’assenza. nell’immaginazione dell’amante, il futuro è una ininterrotta radiazione di bene. un fluire sorgivo, originario, senza frattura né separazione. l’amante è inebetito dalla dolcezza che prova. tutto gli appare miracolosamente evidente, chiaro e semplice: la gioia è stata intercettata, è un fenomeno vivo. allunga la tua mano, sono qui. sono corpo che abbraccia la tua solitudine più remota, che io solo vedo, che io solo sento, come fosse mia. sono il corpo perduto nella tua preistoria. tempo che torna e guarisce per sempre.

 

(°) – seme
 
 
hai una debolezza di spiga,
muscoli di cavalla, un’arsura
di sabbia calpestata
nella spina dorsale
e un solco di aratura,
la solitudine di una bestia santa all’angolo
destro della bocca, dove un’intelligenza
appena nata ti sfiora
quasi senza svegliarti
 
metti il dito nel solco del tuo cuore, indicami
 
scopri la crepa tua da dove stilla
il mio sangue sulla foresta dei simboli e nel sonno che specie di amore
trabocchi
sugli oggetti intorno
 
                                   (quanto eccede
la misura del corpo finisce
per agire tra i legamenti elettrici del mondo
come la bruciatura
del neutro – l’inizio
dell’anonimo – poggia con tutto il peso
sulla Terra Straniera del tuo corpo – per favore
non dirlo, chiudi la bocca)
 
perché il tuo occhio destro sfiora le acque
di un mare sepolto
                                – seme,
profondamente
rovo e corona
di specie
sconosciuta –
                       apertamente tace come bronzo, cammina
nel presente
come in un tempio, come nella memoria –
 
                                                                    fin che dal fondo
dal teatro del mare
una creatura adulta disarmata
si alza in piedi, crede al tuo perdono
 
23.5.13
 
ʘ – obbedienza
 
 
alba: lo senti il rombo dei motori?
                                                       se qui
si rifondano i cori
bestiali d’erbe e incantagioni e unguenti
                                                                 è perché ridi come una bambina,
con eccezionale potenza di fuoco
e con perfetta degnità di cuore
 
fin che lasci colare
           dritto
nel tuorlo a cielo aperto nel mio petto
la prima goccia – densa
come miele – della tua forma
 
                                                 algebrica d’amore,
                                                                                che s’interna
dove il mare rifonda una figura incrollabile,
impasta il sale delle combinazioni
al ritardo del mondo
 
sei come un balsamo sulla ferita che tu stessa procuri
 
fino a questa eccedenza ronzante, fino a questa
restituzione
del corpo gigantesco – aumentato
senza circospezione per la via maestra
degli occhi: risale
iniziale
dal fondale del tempo, sale dall’acqua pietrificata immobile
 
è già successo: davo il nome di amore
alla gioia che veniva dalla tua bellezza in un campo mai visto
di papaveri e margherite, è già avvenuta questa
comunicazione silenziosa delle radici
 

oh!, autosufficienza, sterile 
antimateria, malignità della ferita aperta

 
– perfetta
sotto l’ombreggio – bilobata
e sedotta: è già successo
che io mi sollevassi dal bordo del tuo letto come un arcobaleno, come una figura di rettitudine, è già
                                                                                                       successo questo poter morire
senza rimpianto – ti offro la mia vita come qualcosa
che non ha più valore di un sorriso – questa radice interamente esposta
a causa della dissoluzione della massa terrestre
                                                                           – nel mio sogno parlavi una lingua straniera
è già successo che bastasse l’amore come terra
                                                                           aerea:
la farfalla sul viso
 
tutte le ossa come una fascina, una messe completamente
scoperta:
               puoi fare del mio cuore
una canna di flauto
per lodare, restituirmi
l’inizio del mondo
 
27.5.13
 
Ѻ – radura
 
 
profumi di miele barbaro
quando al suono del sistro ti levi
come un incastro di cavallo e femmina, in tutta
                                                                          la silenziosa perdizione: una bellezza
semplice e senza sacrificio – spargimento
di melata e di linfa a cielo aperto –
                                                         con le spalle bruciate dal sole, dici
sono immortale
                         e d’intorno c’è luce
come acqua abitata da un’entità biologica
rossa e guizzante
                             una vena che rapida sul collo
                                                                              è spinta
                                                                                             dal profondo
tamburo del sangue
 

tutta la terra imita la parola, si adegua alla segreta confidenza degli uomini, piega i cespugli sulla
circonferenza del campo affinché essi somiglino a un volto umano

quando il riso si rovescia in pianto e il pianto in uno sguardo
fluido che contiene
in sé ciascuno degli abbandonati
 

 che perfetto dominio sulle nuvole e che memoria

ha la vita: ora
che ti contiene, arriva a certe forze inconfessabili
perché aveva lasciato andare tutto e
 
il volto
tuo, così solo
 
all’interno, riassume
il genere umano, splende
nel vuoto come un blasone d’oro, come si loda al fuoco della radura
la ferocia del sole, tutto questo rinascere
                                                                   ora

una tecnica bianca di sollevazione

una cosa come vederti sorgere
                                                   – vanificata
e raggiante –
                       dalla campagna indemoniata,
                       non avere più nome,
 
seria come una massa di splendore dire
                                                               sto già cantando, non lo senti?
 
30.5.13
 
Θ – per alba
 
 
l’anima mia è un dio umano,
                                               un uccello d’altura
 
che ogni notte nidifica nel chiaro
del tuo petto
come un endecasillabo perfetto
 
                                                     (cosa) bianca e copiosa, ala sottile – rosa
                                                     e roveto, cenere – parva
                                                     tra stelle profuse,
                                                                                   bianco sangue
di spugna tubolare
nel bianco planetario, bianca tigre
seduta ai bordi della bianca strada senza dolore
 
l’anima mia cresce dalle tue ossa
come una rosa da una lingua viva
                                                       – a stille,
                                                                       a emorragia
                                                                                            – dal tuo alfabeto
                                                                                                                           inimmaginabile
 
ma è da questo corpo,
dalla sua silenziosa mietitura
che viene il verbo,
questo pane assoluto
che ti offro, questa bellezza
viva, fatta per te
 
6.6.13

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