#tiSegnalo1Libro: “Mondi” di Gertrud Kolmar, Lo Specchio Mondadori,2023.

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Voce potente della poesia europea del Novecento, Gertrud Kolmar viene proposta con la sua ultima raccolta, Welten, Mondi, scritta nel 1937 e finora inedita in italiano, che Suhrkamp scelse di pubblicare nel 1947 come titolo inaugurale della sua collana di poesia. L’opera di Kolmar – qui tradotta da Margherita Carbonaro e Anna Ruchat – è caratterizzata da un costante esercizio dell’immaginazione, attraverso il quale l’autrice riesce a introdurre gli elementi di una realtà multiforme, popolata di figure in movimento. Tra l’epico e il prosastico, grazie all’ampiezza costante del suo respiro narrativo, Kolmar ci offre «brandelli di un mondo» abitato da personaggi vari e da innumerevoli animali. Mondi sempre oscillanti tra concretezza del vissuto e aleatorietà onirica, tra incerta luce del giorno e «falce della notte». Un acuto pensiero li attraversa, turbato dagli eventi di una personale, drammatica condizione umana, quella dell’autrice stessa: una realtà in cui rimane però «la candela ancora accesa del Pensatore». Vicenda d’amore e senso della bellezza si manifestano qua e là nei versi, come sottolinea lo scritto di Helena Janeczek, muovendo il testo oltre quell’ineliminabile senso di desolazione e precarietà che è la nota distintiva della raccolta. A ciò si accompagna una potente visionarietà in cui agisce una spinta vitale capace di sorprendere per complessità e tensione lirica.

 

 

alcuni versi da una poesia

Nostalgia

Penso a te.
Sempre penso a te.
Qualcuno mi parlava ma io non ci badavo.
Guardavo il blu Cina del cielo serale, dove la luna era
appesa come una tonda e gialla lanterna
e pensavo a un’altra luna, la tua
che per te diventava forse
lo scudo splendente di un eroe
iconico o il dolce disco dorato di un nobile atleta.
Nell’angolo della stanza sedevo senza la luce della lampada,
stanca del giorno, velata, completamente abbandonata
al buio,
le mani posate in grembo, gli occhi semichiusi,
ma sulla parete interna delle palpebre era dipinto, piccolo
e sfocato, il tuo ritratto.
Sotto il firmamento camminavo accanto a giardini silenziosi,
a silhouette di abeti, di case piatte e ammutolite,
di frontoni aguzzi
sotto il morbido cupo mantello solo di tanto in tanto graffiato
dallo scricchiolio delle ruote, lacerato dal grido di una civetta,
e parlavo tacendo di te, amato, parlavo al silenzioso bianco
cane dagli occhi a mandorla che mi accompagnava.

[…]

 

Gertrud Kolmar (pseudonimo di Gertrud Käthe Chodziesner, Berlino 1894 – Auschwitz 1943?), nata in una famiglia ebrea, studiò da maestra e lavorò come insegnante e istitutrice tra Germania e Francia. Nel 1915 l’amore infelice per un militare la condusse a un aborto e a un tentativo di suicidio, esperienza che segnò profondamente la sua vita e la sua scrittura. Costretta a trasferirsi nel 1939 in una “casa per ebrei” e nel 1941 al lavoro forzato in una fabbrica di armi, nel marzo 1943 fu deportata ad Auschwitz, da dove non fece ritorno. La sua opera, già apprezzata dal cugino Walter Benjamin, fu conosciuta soprattutto a partire dagli anni Novanta del Novecento.

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