“Zagare e segreti”. Le fulminanti, limpide e ispirate “fotografiche” di Enzo Cannizzo.

tre domande, tre poesie

«Leggendo le pagine di Zagare e segreti, sono subito andato col pensiero a quelle fulminanti, fotografiche, a tratti spietate, del Repertorio dei pazzi della città di Palermo di Roberto Alajmo e, andando indietro, alle limpide e misurate pagine di Kermesse di Leonardo Sciascia, ispirate ai Mimi siciliani di Francesco Lanza, e ancora a quelle di Museo d’ombre di Gesualdo Bufalino».

(Sebastiano Burgaretta)

 

Pariamo dal titolo: qual è stata la scintilla che ha portato il tuo poemetto in prosa (– possiamo chiamarlo così?), “Zagare e segreti”, meglio: in che modo la (tua) vita diventa linguaggio?
Certo che possiamo chiamarlo così. O, in maniera forse più aderente, anime morte che abbiano scelto di abitare lo scaffale della poesia: la porzione di universo di ognuno di noi, sin dall’infanzia, è abitato da figure di riferimento. Reali, immaginarie, stupide, poetiche, brute, raffinatissime. Sono la nostra provincia interiore, le voci di dentro, frammenti del reale nutrite da altro reale che, per comodità, diciamo fantasia. Compagni segreti, clandestini che attingono i luoghi e ne rincorrono e precedono il destino. Sono con noi nel nostro sonno, nelle risate, nella disperazione. Quando, chiusa la porta di casa, lasciamo il mondo fuori, esse sono con noi. Permangono. Ci spiano, lasciano segnali che ci attraversano come dormiveglia diurno: cosa che non sai se accaduta, se accadrà o se è fola: o le cose insieme. Accade anche nei sogni di avere bisogno di uno stagnino, di un barbiere, di un prete, di un suicida, di una donna bellissima, di una bicicletta, di un cappello, o di sentire il profumo del sapone di Marsiglia che inonda una strada assolata popolata dai sogni di altri che sono svegli nel sogno di altri ancora.
Voglio dire che, forse, si scrive solo sotto dettatura dei morti, approssimando ai loro discorsi la nostra sintassi, arricchendo al loro servizio il nostro dizionario. Il resto, io credo, è paranoia e narcisismo, cane da grembo, parola che consola, disimpegna e aliena al pari di una domenica da Ikea. Nel tempo amaro del lockdown – ricordiamo tutti, immagino, di aver subito un 41 bis senza aver commesso reati – in quei giorni di paura e vuoto osservati dai balconi di una primavera a stento sfiorata, passava spesso sotto casa, o stazionava alla porta del minimarket di fronte – mio termometro delle vite altrui – un uomo, un cinquantino, il volto butterato, la birra sempre in una mano e la sigaretta nell’altra, un gessato che ricordava la guerra – la Seconda, non queste Terze in corso le quali, insieme, fanno la Quarta, la Quinta e qualche altra ancora – l’aria pensosa e vinta di un parcheggiatore abusivo che veda orlare di strisce blu Sostare il suo regno.
Un giorno indossava una mascherina ricavata da un gratta e vinci tenuto fermo da un elastico da cancelleria. In quel preciso istante ho incontrato Mimmo Mummia. Il morto le cui vicende strampalate hanno contribuito a salvarmi dalla pazzia claustrofobica di quel tempo. Questo libro, forse, è nato anche allora: dall’intuizione, per niente mia, intendiamoci, che si possa fare memoria attraverso le storie minime e bislacche di anime delle quali è nostro compito ascoltare e affinare i gesti e le abitudini, i pensieri e i sentimenti. Soprattutto, l’anticonformismo: quel paradosso del villaggio che del villaggio diventa fondativo: ogni nascita va festeggiata, ogni morte va accompagnata dalle lacrime comuni: ogni vita va difesa per il fatto stesso che esiste. Che si scriva per mille o per venticinque, uguale è il compito: mettere al centro l’umano, rintracciare quanto ne resiste, offrirgli nuove occasioni di disobbedienza.

Ad oggi, dove sei stato condotto dalla scrittura, e, qual è stato l’insegnamento, la scrittura (o se preferisci, la poesia) è un destino?

La scrittura può condurre solo alla libertà. Cioè ad una forma di costrizione che meglio somigli a chi la pratica e, in definitiva, la conduce: ho molta difficoltà a misurarmi con lemmi quali “destino” o “dio” fuori dalla finzione poetica, dal riparo che essa inesorabilmente costituisce.
Se la poesia è un destino, natura del poeta è sfuggire a tale destino, aspirare al silenzio, ad una scrittura che non replichi le forme del presente o di qualunque altro tempo, ma sfiorarlo, attraversarlo senza mai farsene interprete o aedo: siamo soffocati dalla realtà, sommersi da dati e immagini, anch’essi funzioni prigioniere di un compito, di una destinazione: forse, la buona letteratura è quella che arricchisce attraverso un processo di presunto impoverimento, di scarnitura. Quella che sospetta che dentro l’osso possa ancora risiedere il midollo. Parafrasando Gide e Carlo Bo, ma senza lasciarci contaminare da fantasiose idee di verità, possiamo forse affermare che la scrittura è il luogo del paradosso, quello nel quale libertà e immurata prigione coincidono. Ma in maniera gioiosa, sia chiaro: personalmente – per quel che vale – guardo con divertito sospetto chi, non avendo subito carceri o tortura o persecuzione, racconta di corpo a corpo con il foglio bianco e di furiose lotte con la parola: la scrittura è esercizio di gioia, pratica dell’altrove, liberata frequentazione di se stessi senza obbligo di soluzione o di tornelli: essere scelti dalla parola poetica non è certo condanna ma laico privilegio in grado di regalarci i capolavori di Osvaldo Soriano e Bruno Schulz – per andare ai padri nobili di questo libretto – e le nostre misere formiche d’inchiostro.

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre “passi” dal tuo libro, e di questi scegline uno per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha visto nascere (nel contesto del libro che l’accoglie).

Zagare e segreti nasce con un altro titolo, quello col quale fu finalista per la prosa inedita al rigoroso Premio Montano: Zagare, segreti e un juke-box disperato. Il fitto confronto col grande poeta esule Gezim Hajdari, che ne ha fortemente voluta la pubblicazione per i tipi di Ensemble, mi ha portato a sceglierne uno più agile e meno didascalico. I frammenti che seguono sono tra i primi che ho scritto, quelli che, insieme ai versi di Ripellino poi posti in esergo, mi hanno dato la libertà di giocare con vite comuni dalla straordinaria natura.

L’odore di fieno greco annunciava l’arrivo del circo. Di lì a poco, uomini in rosso e alamari avrebbero scortato per le vie e i sestieri un corteo di guerci, zoppi, elefanti, ballerine, zingare di nome Myriam o di nome Sarah, fanfare ossidate, nani, domatori, tamburi, barboncini, trapeziste, maghi, pagliacci ubriachi dalle lunghissime scarpe.
Amavamo questo teatro d’ombre al pari dell’estate, delle lucertole, della polvere e dei giochi d’argilla che seguivano la prima pioggia.”

“La parrucchiera Rizzo leggeva romanzi rosa ma non mancava di spirito pratico. Se al mattino si svegliava felice, spruzzava la stanza di lacca Splend’Or nel disegno concreto di fermare il tempo.

Ninetta, la figlia del capostazione, sentiva come una lebbra all’anima quel farsi vastissime delle giornate di primavera. Era come se, immersa in un eccesso di cielo, ogni vento la spogliasse di vesti, di pelli, di carni, a scaglie, a grani, a filamenti.
Si lasciò cadere nel crepaccio, greto millenario che s’apriva a occidente oltre la collina di Mineo, senza di sé lasciare segno o sangue sul pietrame, né orma sul terriccio o traccia d’arbusto che si spezza.
S’era fatta aria Ninetta, polvere, farfalla, cosa senza peso nel mistero dei giorni e delle stagioni.

Enzo Cannizzo (Catania, 1970) già restauratore di carte antiche e poi libraio, dal 2010 è impegnato nella gestione di un wine bar all’interno del quale organizza reading di poesia e rassegne culturali animate da figure di rilievo, o ancora emergenti, del panorama artistico e letterario. In poesia ha pubblicato Il cielo pende dai lampioni (2020), menzione d’onore per l’opera edita al xxxv Premio Montano, e Avanza un’ora di luce (2023). Sue poesie sono state pubblicate su riviste e tradotte in varie lingue. Zagare e segreti, primo libro pubblicato da Ensemble, è stato finalista al premio Montano 2023.
In copertina, foto di Barbara Costabile.

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