#1Libroin5W.: Cristina Trinci, “Incompiuta bellezza”, Fallone Editore.

#1Libroin5W

Chi?

Aber, Marco, Marisa e Camilla: due uomini e due donne. Sono loro i protagonisti del mio romanzo, tutti narratori in prima persona della storia, ognuno con i propri interrogativi e le risposte che non arrivano mai. Aber è il binomio rabbia e fascino, Marco paura e giustizia, Marisa lotta e resa, Camilla fulgore e destino. Tutti caduti nello stesso sangue.

Cosa?

Il tema principale è il legame indissolubile che si crea nella maternità, che può generare gioia e consapevolezza dell’esistenza oppure, attraverso un’infinità di gradazioni, una disperazione senza fine che tende all’annientamento di quel rapporto. Insieme a questo, però, si sviluppano le ragioni delle altre relazioni (coppie, amicizie, desideri), e tutte portano verso motivazioni diverse che sostengono il fatto principale della storia, quello attorno al quale ruota il passato e il futuro di ognuno dei quattro protagonisti. Aborto e lotta per i diritti, libertà e privazioni, ideali realizzati o infranti: questi alcuni dei temi che acquistano rilievo nel mio romanzo.

Quando?

C’è un momento in cui la scintilla della storia si è accesa in me: ho incontrato Aber. Era nella realtà un personaggio meno credibile di quello che io poi ho costruito, truccando la sua biografia. Ho memorizzato i fatti, però, e il suo sguardo definitivo, diritto e inamovibile. Ho registrato le sue parole e da lì, a cascata, è venuta la storia. Lui, nella vita come nel romanzo, è stato protagonista e artefice di un fatto di cronaca nera. Il più tremendo che si possa immaginare. Si potrebbe pensarlo come “il male in persona”, e io volevo indagare il male, sentirlo vicino, comprenderlo. Per questo è nato Aber, per dare a me la possibilità di avvicinarmi al dolore senza discostarmi dalla bellezza autentica, fatta di irresistibile fisicità e di altrettanto suadente fascino intellettuale.

Dove?

Dopo la nascita narrativa di Aber ho vissuto la nascita reale della mia prima figlia. Un evento così dirompente non poteva restare ai margini della mia storia, e così ho scritto delle trasformazioni di una madre, del suo (possibile) dolore, di ciò che a volte può andare storto e restare incagliato negli abissi del ventre, fino a incarnarsi nell’identità profonda. In questo senso Incompiuta bellezza è cresciuto a Castelnuovo d’Elsa, con me e mia figlia neonata.

Perché?

Il titolo è la messa a fuoco del bivio in cui si ritrova Aber: avrebbe potuto portare a compimento l’assoluta bellezza che lo chiamava a sé – l’arte – e invece cade, trovandosi quindi in una dimensione parallela e opposta, quella del proprio destino, che lo trascina nel buio. La storia è alternanza di bene e male, simbolicamente ritrovata nell’eclissi solare che chiude il libro. Leggerlo vuol dire abbandonare l’idea dei confini marcati e rassicuranti delle nostre esistenze e precipitare in un baratro dove però la luce continua a filtrare.

Scelti per voi

“Mi hanno chiamato conflitto irrisolto, ma io ho fatto finta di non sentire. E l’ho risolto da solo, il mio conflitto. Non che mi senta sollevato, leggero, libero. Anzi. Rimpianti ne ho a fiumi. Fiumi come quelli che mi attraversano adesso. Dev’essere una specie di contrappasso dantesco. Ho sempre evitato le droghe e ora me ne rifilano quante ne vogliono, di pasticche, sintetiche e di bassa qualità, senza che io possa scegliere la tipologia, senza che possa selezionarle in base all’effetto che fanno, alle voglie che ho. Sempre e comunque pasticche, di ogni forma e dimensione. Puoi provare a nasconderle, io l’ho fatto un milione di volte, ma loro ti beccano sempre.

Sempre. E io che invece avrei solo voglia di me, della mia anima, per malata che sia, mi ritrovo come un burattino nelle mani di questi secondini inanimati, che ci guardano come fossimo le bestie nelle gabbie di uno zoo. Che spariscano tutti quanti! Una volta ero riuscito a trovare un posto dove nascondere le dannate pasticche. Ma il male è che se poi cominci a tornare te stesso, loro comunque se ne accorgono, non sopportano che tu possa essere normale, che tu possa essere come loro, e allora vengono a sorvegliarti da vicino mentre ingoi quella bianca, poi quella gialla e poi quella rossa. OPG. Mi fa ridere che la prima parola di questo curioso acronimo sia “ospedale”. Non ho mai visto nessuno intenzionato a curarci. Nessuno. Siamo sedati e riempiti ben bene di tutto quello che è possibile farci ingurgitare senza provocarci la morte. Stanno bene attenti a non farci morire. Solo la morte fa notizia, da queste parti. Tutto il resto è un ammasso di vita inutile, impastata e nascosta a dovere, con la scusa della sicurezza, delle barriere. Se siamo senza rimedio, come voi pensate, levateci di mezzo. Toglieteci di qui. Cosa ci facciamo ancora, facce bianche e gambe stanche, ad affollare questi corridoi luridi? Che anime siamo se non vi interessiamo? Se non abbiamo un futuro fuori di qui, lasciateci morire. Dateci il colpo di grazia, amateci almeno per la fine della sofferenza. Creiamo disturbo, imbarazzo, rabbia e rancore. Siamo assassini, è vero, ma il giudice disse che non era nostra colpa.

Siamo malati, è vero, ma possiamo non guarire mai. Siamo paradossi che si trascinano da un vuoto a un altro, senza tregua. Un inferno potente, è il nostro, che nessuno si avvicini, che nessuno ci guardi, che nessuno mai ci tocchi.”

 

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Cristina Trinci (nella foto di Carlo Conforti) nasce a Empoli nel 1979. Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione e un master in comunicazione pubblica, inizia il percorso lavorativo facendo progetti di educazione alla pace, al consumo critico e alla non violenza nelle scuole di ogni ordine e grado. Parallelamente porta avanti il volontariato nel commercio equo e solidale e nel 2001 fa un’esperienza di volontariato internazionale che la segnerà profondamente, a Città del Messico e in Chiapas. Dal 2007 lavora nelle amministrazioni comunali e dal 2017 si occupa di promozione alla lettura e organizzazione di eventi e progetti culturali per la Biblioteca comunale di Montelupo Fiorentino. Pubblica il primo romanzo nel 2013 a seguito della vincita del concorso letterario “Scriviamo insieme” organizzato dal Teatro Aurelio di Roma (Quello che resta, Del Bucchia Editore, 2013). Grazie ad altri concorsi letterari, alcuni suoi racconti si trovano pubblicati in antologie che raccolgono i testi vincitori o segnalati (fra questi: Petersburg-Illinois-U.S.A.-1945 si trova in un Millelire di Stampa Alternativa, pubblicato nel 2002). Nel 2010 e 2011 ha condotto il programma televisivo per l’emittente locale Antenna5 “LASTRADA”, grazie al quale ha intervistato alcuni importanti testimoni del nostro tempo (Roberto Vecchioni, Simone Cristicchi, Bobo Rondelli, Don Luigi Ciotti), dedicando particolare attenzione ad alcune vicende drammatiche e ancora irrisolte della nostra storia recente (la strage di Viareggio e la strage del Moby Prince). Per lavoro si è occupata del complesso mediceo dell’Ambrogiana, nel territorio di Montelupo Fiorentino, curando insieme al regista Sirio Zabberoni il videodocumentario sulla storia della villa, dalle sue origini fino alla dismissione dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario, avvenuta nel 2017 dopo 130 anni di funzione manicomiale criminale. Dal 1994 al 2004 ha seguito corsi di dizione e recitazione con la regista e attrice Maria Simona Peruzzi e con gli attori Marco Natalucci e Dimitri Frosali. Dal 2005 insieme all’amica cantautrice Chiara Riondino ha messo in scena reading teatrali dedicati al mondo della letteratura e della canzone d’autore, e recentemente ha iniziato a scrivere a quattro mani canzoni dedicate ai temi dell’attualità e delle ingiustizie sociali. È sposata e ha due figli: Teresa, nata nel 2012, e Neri, nato nel 2016 con un meraviglioso parto in casa.

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