Rita Pacilio, “Così l’anima invoca un soffio di poesia”. Istinto poetico e soggettività prorompente “unici e inconfondibili”.

 tre domande, tre poesie

 

La voce di Rita Pacilio “viene da un luogo intimo e indifeso” ha scritto Davide Rondoni il quale ha giustamente sottolineato anche la “qualità di misura e di potenza emblematica” di questa voce che, a mio avviso, è tra le più significative della poesia italiana contemporanea. I testi raccolti in questo volume lo dimostrano chiaramente: l’istinto poetico e la soggettività prorompente di Rita sono davvero unici e inconfondibili; la sua poesia è ricca di gamme figurali tornite con maestria, di stilemi ritmici lessicali e sintattici che corrodono e sfaldano i confini della lingua allo scopo di “capire quanto sia reale l’invisibile”.

Una delle meraviglie di questo libro è per me la compattezza della scrittura, pur nell’ampio scarto temporale che separa i testi più recenti da quelli più remoti. Il “soffio” vitale che dà forma ai versi di questo libro è intriso di una spiritualità irradiante che risulta nuova e antica allo stesso tempo. Una spiritualità non indifferente al mondo, come dimostrano tutti i componimenti qui raccolti. Ma c’è dell’altro. Questa auto-antologia esprime la fragilità e la forza di una femminilità aliena da languori sentimentali e tutta concentrata sulla ricerca di una intensità verbale e di una pronuncia esatta che cattura immediatamente l’attenzione del lettore: “Nella pancia ho un albero / su ogni ramo un uccello capovolto”… “Ci vuole fegato per fingersi / vivi”…  “Forse siamo in tempo / per alzare gli occhi al soffitto chiuso / farci tornare la voglia del mondo / prima che qualche pezzo di cielo / possa scomparire per sempre”. Le opere d’arte sono cose, dicevo all’inizio. Queste “cose” cominciano a vivere quando scopriamo l’utilità dalla loro inutilità (è uno dei grandi insegnamenti che ci hanno lasciato gli antichi greci). È a partire da questo momento luminoso che possiamo esplorare a fondo la nostra natura e capire veramente qualcosa dell’arte. Per il filosofo Alva Noë, “prese a sé, le opere d’arte sono qualcosa di morto, mero rumore, oggetti inutili. Le restituiamo alla vita quando riflettiamo su di esse, ne parliamo, ne godiamo”. In altre parole, le opere d’arte sono sempre delle domande e mai delle risposte. E questo è più che mai vero davanti alla metafisica trasparenza di questo libro che possiamo leggere e rileggere senza mai esaurirne la portata.

                                  (dalla prefazione)

 

Qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “Così l’anima invoca un soffio di poesia”, meglio: in che modo la (sua) vita diventa linguaggio?

“Così l’anima invoca un soffio di poesia” è un verso di Camillo Sbarbaro, poeta che leggo sempre con piacere e a cui faccio riferimento per il rigore letterario, la sintesi stilistica, il suo essere fuori dal coro del suo tempo e, soprattutto, per lo sguardo rivolto alla natura consolatrice. Sotto questo titolo evocativo ho raccolto molte poesie estrapolate dalla mia intera produzione poetica. Sono vent’anni che pubblico poesia e considero questa operazione editoriale un grande dono.

Nei miei scritti gli elementi della contemporaneità, misti alle presenze della memoria, intonano una recitazione visionaria della realtà. Tutto questo grazie alla parola e alla sua continua sperimentazione/evoluzione. Il pensiero si fa linguaggio, quindi forma e contenuto. Parlando di pensiero che si fa linguaggio, mi piace menzionare gli psicologi comportamentisti che hanno studiato il perché noi pensiamo. Fu John Watson, fondatore del comportamentismo americano, a trasformare il pensiero in azione. Pensare è un fare che chiamiamo linguaggio; anche quando siamo da soli, al buio, in silenzio, in realtà parliamo con noi stessi. Quindi, per capire perché pensiamo dobbiamo capire perché parliamo. Parliamo per convenienza, per ricevere attenzioni e consensi e il pensiero conviene perché porta a un comportamento ricompensato dagli altri. Altri psicologi hanno aggiunto l’immaginazione: il cosiddetto linguaggio silente. Cioè, visualizzare cose inesistenti per l’incontro. Ma cosa accade quando il nostro pensare diventa scrittura? La scrittura ha bisogno di idee, di lettere, parole, frasi. È una fase ragionata del nostro pensiero. È necessario osservare le abilità implicate, da un lato, nel produrre un testo in quanto messaggio parlante e, dall’altro, comprendere, in quanto ascoltatori/lettori, quanto siano adeguati o inadeguati i messaggi prodotti da chi interloquisce scrivendo. Le cose cambiano radicalmente se le osserviamo dai diversi punti di vista. Spesso si dà per scontato che parlante/scrittore e ascoltatore/lettore intendano cooperare in modo attivo alla riuscita dello scambio comunicativo utilizzando empatia, una matura padronanza lessicale e un’immediata identificazione con i personaggi parlanti. Ci aspettiamo ciò che vogliamo leggere, per risolvere l’imbarazzo dell’eventuale ambiguità del contenuto. Il sesso di appartenenza è un’ulteriore variabile da non scartare visto quanto influisce, e in modo sorprendente, sul funzionamento delle attività cerebrali. Tutto questo sembra indicare che ci possono essere diverse ipotesi di comprensione di una pagina scritta e che la definizione certa del pensiero sotteso alle parole non esista. Per questo motivo, mi dedico molto alla cura della parola poetica come comunicazione, ma anche (e soprattutto) come forma stilistica autentica e originale. Per originale intendo individuativa della propria storia umana e culturale. Unica.

La poesia è (anche) la lingua dell’invalicabile?

La poesia è il genere letterario che parla della vita e che ha come funzione poetica quella di creare emozioni in chi legge. Quindi, mettere a fuoco la vita significa sperimentare e praticare il dicibile e l’indicibile, ciò che conosciamo e ciò che appartiene all’infinito. In questo senso, la poesia è anche la lingua dell’invalicabile. Infatti, il linguaggio visionario sa trovare strade analogiche di comunione tra gli esseri umani svelando il mondo per crearne altri.

  

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare sette poesie dal tuo “Così l’anima invoca un soffio di poesia” – poesie scelte (Marco Saya Edizioni, 2023) prefazione di Vittorino Curci; di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quando “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere (nel contesto della tua poetica).

 

**
Mi sforzo di conciliare vita e spirito
capire quanto sia reale l’invisibile
sulla cima di un tetto o di un crinale
prendo le misure alla luce per aprire
dita e respiro fino a valle, dove noi
invecchiati e senza tempo, lasciamo
traccia e cuore. Mi dici che ho mille
e mille stelle cadenti sulla schiena:
perfino loro hanno mani tese.

**
Oggi le ho detto: Benedici il Signore
anima mia!
L’ho vista coprirsi le orecchie
buttarsi all’indietro sulla poltrona
cancellare tutto con la mano bianca
cadere nelle spalle come una bomba
sui muri.
Se avesse versato lacrime
avrei ingoiato il mare
anche le ombre delle occhiaie
i suoi ottantasette anni e più.
Invece
stende il braccio per superare il vetro
la voglia di dire al mondo:
Portami a casa, qui non ci voglio stare.
Sbattono porte chiuse
si vede lo spigolo del tavolo
poggiarsi a terra:
Scappiamo finché siamo in tempo.

**
Qualcosa di troppo accresce
l’orgoglio e la colpa di essere nati qui
in questo garbuglio di allarmi profondi
dove porti in rovina e chiusi come porte
rendono l’acqua inutile e il tramonto povero
se esistesse l’origine di una parola
dovremmo baciare la sabbia e le conchiglie
farlo in segreto, silenziosamente
tracciare una virgola dopo l’apparenza
allargarci sul gambo come fa la viola.

**
Capiterà a tutti di essere una boa
in mezzo al mare, una boa
dalla forma di pesce supino
dalla voce umana con braccia di violino

al posto delle branchie l’anima
spugna polposa e fili d’erba i capelli.

Si diventa così quando si va via

un nome senza nome
rimasto tra le palpebre e la mente
giovinezze disperse in un altro viaggio.
Quando anche le viscere svuoteranno

residui della traversata
resteranno bucce vuote
involucri rancidi, mezzi sorrisi,
il seno ormeggiato.

Questo siamo quando lasciamo
una casa, un fiore, chi abbiamo amato.
Capiterà a tutti di essere una boa

in mezzo al mare, pesci, uccelli dal ventre tremante.

**
Quando sono qui non ho parole
lascio fuori il mio uragano
incustodito, lascio a casa

la rabbia di cenere e carbone,
la tua bestemmia
pronunciata in basso, fino allo scorno
persuadendo il vizio dell’amore.

Le ore e i giorni ci portano contro
ci scontentano la vita, il letto,
questa miserabile ombra che scende
prima del tramonto, prima dell’inedia.

Certo non lo fai apposta ad andare via
fanno così le persone anziane, senza
speranza, fanno come te quando ti bagni
gli occhi e poi scompaiono naturalmente.

**
L’assenza ha una forma quieta
dischiusa, indecifrabile, bianchissima
un tumulto di cellule nella gravità delle spalle
fino a riaprire un rumore spezzettato

fermato nell’ansietà del chiarore tra due costole
nello stesso istante piegate alla redenzione
mansueta. Sembra possibile la partecipazione
la prima appartenenza fuori da queste cose

in cui metto le mani, un bicchiere, un rosario,
un libro, tante voci e mai la tua.

**
Sputa i suoi drammi
coi colpi di tosse
per gioco, per amore
scorie sottili nelle mani esibite

è latente lo scontento sulle spalle

gli imperfetti sono gente bizzarra
lasciati nell’arena, non so dire esattamente,
come un silenzio, un ghigno.
Ho pensato che Dio ama l’insicurezza
e le sfumature dei dirupi.

Io mi trovo qui dove non si torna indietro.

***

Per spiegare il mio percorso di scrittura e di poetica scelgo, tra le sette poesie proposte, questa che riporto di seguito: 

Mi sforzo di conciliare vita e spirito
capire quanto sia reale l’invisibile
sulla cima di un tetto o di un crinale
prendo le misure alla luce per aprire
dita e respiro fino a valle, dove noi
invecchiati e senza tempo, lasciamo
traccia e cuore. Mi dici che ho mille
e mille stelle cadenti sulla schiena:
perfino loro hanno mani tese.

 

Rileggendo e cercando di spiegare il percorso di elaborazione di questo testo, vado indietro negli anni per attraversare momenti intimi, personali, spirituali, relazionali, quindi socio-culturali, in cui la mia visione della scrittura e della vita si sono evolute in maniera genuina, autentica. Facendo sempre riferimento alla mia voce interiore (stilistica) – già matura da tempo e in cui è riconoscibile l’identità poetica e umana – ho apportato una spoliazione francescana anche nella scrittura e nel contenuto. Infatti, significato e significante, forma ed etica vanno a intersecarsi sempre più in maniera semplice e naturale, ma allo stesso tempo, consapevole. La mia spiritualità, il concetto di fede e di speranza prendono forza: i versi assumono una valenza verticale; ecco perché, la parola adeguata si fa preghiera e affidamento alla vita. Vita che nel passato ho anche attaccato e denunciato, ma che adesso celebro ed elevo all’assoluta Bellezza ringraziando e benedicendo Dio e la Sua creazione.  

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Breve biobibliografia – Rita Pacilio (Benevento, 1963 – nella fotografia di Lucia Pinto) è poeta e scrittrice. Sociologa di formazione e mediatrice familiare di professione, da oltre un ventennio si occupa di poesia, musica, narrativa, letteratura per l’infanzia, saggistica e critica letteraria. Direttrice del marchio Editoriale RPlibri è Presidente dell’Associazione Arte e Saperi. È stata tradotta in nove lingue. Sue pubblicazioni:

Per la ​​poesia​​: ​Luna, stelle e … altri pezzi di cielo – (E.S.I. 2003); Ciliegio forestiero (LietoColle 2006); Tra sbarre di tulipani (LietoColle 2008); Alle lumache di aprile (LietoColle 2010); Di ala in ala (Pacilio – Moica, LietoColle 2011); ​Gli imperfetti sono gente bizzarra (La Vita Felice 2012); Quel grido raggrumato (La Vita Felice 2014); Il suono per obbedienza (Marco Saya 2015); Prima di andare (La Vita Felice 2016); Al polso porto catene (RPlibri 2019); La ferita dei fulmini (GaEle Edizioni d’Arte 2019); La venatura della viola (Ladolfi 2019); Quasi madre (Pequod 2022); Di ala in ala con Claudio Moica (RPlibri 2022); Così l’anima invoca un soffio di poesia – poesie scelte – (Marco Saya 2023).

Per la prosa poetica: Non camminare scalzo (Edilet 2011); L’amore casomai (La Vita Felice 2018).

Per la saggistica: Pretesti danteschi per riflettere di sociologia (Guida Editori 2021); Assunta Finiguerra: il fuoco della poesia (RPlibri 2022); Sui prerequisiti retorico-valoriali del fare poesia Rivista Metaphorica, semestrale di Poesia, Anno I numero 2 (Edizioni Efesto 2022).

Per la narrativa: Cosa rimane (Augh Utterson 2021); Il bambino d’oro (Pequod 2022).

P​er la letteratura per l’infanzia: La principessa con i baffi (Scuderi Editrice 2015; Cantami una filastrocca (RPlibri 2018); La favola dell’Abete (RPlibri 2018); La vecchina brutta e cattiva (RPlibri 2019); Tre gemelline ballerine (RPlibri 2022); Tre gemelline sognano (RPlibri 2023).

https://www.rplibri.it/rita-pacilio/

 

 

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