#1Libroin5W.: Roberto Deidier, “Nero Residuo”, Le Farfalle.

#1Libroin5W

 

Chi?

Nero residuo è una sorta di diario intimo, di serrato colloquio e confronto con sé stessi, ma – può sembrare un paradosso – per interposta persona. L’io scrivente infatti non coincide con l’autore, che questa volta ha prestato la propria voce a un personaggio femminile, neppure di sua invenzione, ma venutogli incontro dai disegni dell’artista Laura Fortin. È una donna giunta a un bivio essenziale del suo percorso, che coinvolge identità, eros, rapporto sentimentale, rapporto con l’altro-da-sé, creatività. La sua è una posizione di disagio, se non di vero e proprio stallo, dalla quale, forse, verso la fine si intravede una pur labile possibilità di uscita. È un essere i cui aspetti temporali sembrano essere stati messi pesantemente in discussione, appiattiti su un unico, opprimente presente che non concede tregue, né tanto meno serenità. Non c’è passato e non c’è futuro, dunque, ma una sola, feroce linea che è quella del nitido, inquietante disegnare di Laura Fortin.

Cosa?

Eppure, se i temi sembrano ricondursi a quelli dell’identità femminile, delle sue privazioni e dei suoi malesseri, si avverte in fondo una certa fluidità di genere. È vero, l’io parla al femminile, ma la condizione in cui si immedesima, e di cui si fa portavoce, è anche quella tutta contemporanea e diffusa della non accettazione di una realtà incombente, che scorre senza tenere conto della presenza di quei soggetti che ne restano colpiti. Forse più che il tempo individuale, allora, è la Storia collettiva a essere messa in discussione in queste poesie e in questi disegni; forse la prima persona è solo un pretesto, l’ennesimo, usurato pretesto, per parlare piuttosto al plurale, pur partendo da un’esperienza concreta. Ne viene più che l’impressione di una società in frantumi, incessantemente dislocata, violentemente proiettata fuori di sé verso stati di alienazione, bipolarismo, comunque di sofferenza e di impossibile adeguamento. La coscienza che s’interroga e resta vigile è anche la metafora di un deragliamento condiviso, che ci coinvolge tutti.

Quando?

Laura Fortin, artista che vive a Torino, da diversi anni mi invia online disegni e pitture, il cui segno di inquietudine è evidente, al punto da risultare finanche fastidioso. Fortin mette a nudo la parte di noi che spesso scegliamo di non vedere. Quando ricevetti, tutti insieme, i disegni su cui poi ho lavorato, avvertii un disagio autentico. Per lungo tempo li ho messi da parte, ma evidentemente quelle immagini hanno saputo scavare, incidere. Un giorno, all’improvviso, mi sono deciso a tirarli fuori e ne sono rimasto ancora più impressionato rispetto alla prima volta. Nel giro di una settimana, in un tempo di scrittura davvero inconsueto per me, ho composto le prime dieci poesie e le ho inviate a Laura, che a sua volta si è sentita compresa e mi ha incoraggiato a proseguire. Beninteso, non si tratta di testi didascalici, non nel senso tradizionale. È vero che la loro comprensione senza l’immagine a fronte risulta molto compromessa, ma ho scritto i versi seguendo un mio ritmo percettivo rispetto ai disegni, e soprattutto interpretando a mio modo, leggendo liberamente quello che trovavo da leggervi.  Solitamente quando un artista e un poeta collaborano a un progetto, è il primo a lavorare sui testi del secondo. Ecco, con Nero residuo è accaduto proprio il contrario. E il progetto, di cui entrambi eravamo inconsapevoli, si è rivelato da sé alla fine del percorso.

Dove?

Questo libro è qualcosa di unico, nella mia ricerca. Certo, ogni libro, anzi ogni testo lo è, ma non avrei mai pensato di arrivare a scrivere qualcosa come Nero residuo e in questo modo così distante dai miei. Però questa è anche la bellezza e la sorpresa della scrittura. È come se quei disegni avessero fatto emergere un io autoriale diverso, un soggetto scrivente più poliedrico. Dopo le prime dieci prove, e dopo il placet di Laura, ho voluto proseguire con altri quattro disegni, per un totale di quattordici poesie, alcune in prosa. Il ritmo si infrangeva sulle ultime immagini, richiedeva di esplodere rispetto alle forme più chiuse delle prime dieci. Ho assecondato con naturalezza questo movimento e questa esigenza, lasciandomi come ipnotizzare dal segno grafico, in una sorta di pensoso incantamento. Così una diversa musica si è affacciata al mio orecchio. Il libro è venuto crescendo in questo modo, fino alla forma definitiva, ma devo dire che ha subito solo qualche lievissimo ritocco rispetto alle prime stesure. Quando ci siamo accorti, io e Laura insieme, di aver dato vita a qualcosa di visceralmente compiuto, ci siamo fermati: il testo, tra immagine e verso, esisteva e chiedeva solo di essere portato in un libro, di diventare opera circolante. A quel punto mi è venuto incontro Vasco Scandurra, che ha realizzato un’antica volontà di suo padre Angelo di pubblicare qualcosa di mio, già dai tempi del Girasole. Nero residuo è stato scritto e pubblicato, quindi, sotto il segno dell’amicizia.

Perché?

Imbattersi in queste poesie, con una sorta di necessario strabismo verso i disegni, potrebbe significare, per il lettore, scendere nel proprio personale inferno e fare infine i conti con le sospensioni e le deviazioni della nostra vita, anche solo per accettarle come parte fondamentale della nostra natura complessa. Parlo al condizionale, perché ciascuno di noi può trovarvi o vedervi ciò che meglio rappresenta certi aspetti della propria personalità, anche di quella sociale. Non sono opere accomodanti, non parlano la lingua degli idilli o delle fughe. Ogni parola è stata scelta e soppesata, allo stesso modo in cui il segno ha composto un tracciato visibile, anzi oserei tangibile, delle nostre mancanze, delle nostre rabbie, delle nostre impotenze, ma anche delle nostre utopie segrete. Per questo continuo a fare poesia: le mie “ragioni”, per riprendere un termine caro a Ungaretti, stanno in questo costante asserragliarsi della coscienza in una visione insieme disincantata e necessaria, spietata e mai rassegnata, di quanto accade nel cortocircuito tra l’io e la realtà, tra esterno e interno. Da qui le molte sorprese e i sussulti, talora anche lievi ma sensibili, che si avvertono nelle mie scritture.

Su un’altalena affondata nell’erba
Cinque scimmie sono il mio sipario
Segreto. Cosa dicono,

Mentre ingoio il prato su cui poso,
In un’ora senza fretta
E senza copione…

Provano a confondermi,
Ma il mio coltello è preciso
Come un’idea al risveglio.

*

Oggi il letto è il ring dei fiori
Per un pubblico senza volto.
Così esibisci la ferita

Ipocrita che m’infliggi.
No che non sanguina,
Non insistere.

Sai bene che piuttosto
M’impicco all’invisibile
Con la medusa dei tuoi sorrisi.

*

Dentro di me, nascosta da me, è una sinopia di germogli, una linea viva che permea un labirinto. È in quel vortice di nulla che avrei generato, in quella terra fredda ferma nel buio.

Roberto Deidier (nella foto di Dino Ignani) è nato a Roma nel 1965. Scoperto da Amelia Rosselli, ha esordito nel 1989 su «Tempo Presente». Nel 1995 pubblica in volume Il passo del giorno (Sestante), con prefazione di Antonio Prete (premio Mondello opera prima). Nel 1999 congeda la seconda raccolta, Libro naturale, con un’incisione di Giulia Napoleone e nel 2002 riunisce i primi due libri in Una stagione continua (peQuod, risvolto di Fernando Bandini). Sempre in quell’anno appare il nuovo libro, Il primo orizzonte (San Marco dei Giustiniani, prefazione di Luigi Surdich, incisione di Piero Guccione). Nel 2011, per Empirìa, pubblica un insolito quaderno di traduzioni, Gabbie per nuvole (quarta di Enrico Testa). Nel 2014 appare Solstizio (Mondadori, premio L’Aquila-Laudomia Bonanni, premio Brancati Zafferana, premio Frascati); nel 2017 Dietro la sera, con acquarelli di Giancarlo Limoni (Il Bulino) e nel 2021 All’altro capo (Mondadori, premio Pisa, premio Pascoli, premio Moncalieri). Ordinario di Letteratura italiana presso l’università di Palermo, è molto attivo sul versante della critica. Si ricordano, presso Sellerio, i volumi Le forme del tempo. Miti, fiabe, immagini di Italo Calvino (2004, nuova edizione 2023), Le parole nascoste. Le carte ritrovate di Sandro Penna (2008), Il lampo e la notte. Per una poetica del moderno (2012). Ha curato opere e carteggi di autori come Montale, Saba, Sicari, Manganelli, Bellezza e Sandro Penna, di cui è apparso il “meridiano” Mondadori. Per la stessa collana ha tradotto le poesie di John Keats. Tiene nel suo blog la rubrica di segnalazioni di libri di poesia «Ailanto». www.robertodeidier.it

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