1Libroin5WPoesia
Chi?
I protagonisti sono le donne e gli uomini che hanno popolato e arricchito la mia vita, sono luoghi, momenti, stagioni della vita, fatti storici, stati d’animo, spesso il protagonista sono io stesso o l’alter ego che ho creato appositamente e che mi consente di analizzarmi senza filtri, stilando il consuntivo di una vita, che giunta alle settantuno primavere ha già imboccato il proprio “viale del tramonto” con lucidità, serenità e accettazione.
Cosa?
La raccolta si muove su tre direttrici: l’amore mai risolto ma sempre conflittuale e sofferto, in questo senso le continue citazioni di un certo cinema francese mi hanno fatto da inconsapevole sponda; il rapporto con il tempo, passato e attuale, visto e vissuto (specie quello attuale) con disagio, confusione, pessimismo, arricchito però da ricordi, viaggi, luoghi che hanno lasciato traccia e, infine, il capitolo dedicato all’infanzia e all’adolescenza, forse il più sofferto e sentito, popolato dalle facce della “banda di fratelli” – molti dei quali non ci sono più – che hanno accompagnato gli anni della crescita, della maturazione e delle scelte definitive. Su tutto è sempre presente come un deus ex machina questo rapporto sofferto con la vita e con le scelte che la stessa impone per dare un senso compiuto al passaggio su questa terra.
Quando?
Lavoro da quarant’anni con la parola scritta, prima come sceneggiatore, poi come scrittore; in realtà, in maniera confusa e non organica, scrivo versi da molti anni ma non ho mai pensato a me come poeta, poi negli ultimi anni la mia vita ha dovuto affrontare delle prove non facili che ne hanno messo a dura prova la mia tenuta fisica, morale e psicologica. Dopo quarantadue anni trascorsi a Roma, ho scelto di tornare a vivere in Sicilia, il luogo in cui sono nato è cresciuto. Il ritorno a casa ha coinciso con la voglia di esplorare la strada della poesia che ho sentito come un’esigenza primaria per curare lo scombussolamento psicologico scaturito dalla decisione di chiudere un capitolo importante della mia vita e aprire quello finale. “Piccole pietre” è il frutto di almeno quattro anni di lavoro, compreso il recupero di vecchi materiali e la loro rielaborazione.
Dove?
“Piccole pietre” è nato e cresciuto mano a mano che ho setacciato “senza rete” la mia anima e riavvolto la pellicola della mia vita; è nato giorno dopo giorno, tassello dopo tassello, appunto, piccola pietra dopo piccola pietra. Un viaggio senza alcun tipo di sconto sulla mia visione dell’esistenza, reale, crudo, onesto senza alcuna paura di mostrare fragilità o mancanze.
Perché?
Le “Piccole pietre” sono quelle che, collocate sapientemente una dopo l’altra permettono – come hanno permesso a me – di attraversare non senza pericoli, dubbi e perplessità, il guado della propria esistenza. Se non si ha il coraggio di mettersi in discussione non si avrà mai un processo di crescita. Le “Piccole pietre”, nel mio intento servono anche a questo.
Scelte per voi
Bar
Sono qui, da mezz’ora, in questo bar di Testaccio
un po’ fuori mano, lontano dal sudore dei turisti,
dalle rotaie del tram, dal vociare dei ragazzi,
lontano da tutto;
oggi c’è il sole, per chi fatica ai remi,
per chi coltiva istinti suicidi e per i cani di strada;
ricordo con quanta cura ti occupavi dei tuoi fiori
lo so: i fiori con il nostro ultimo incontro,
quello dell’addio, c’entrano poco
ma a qualcosa dovrò pur aggrapparmi
sia pur essa una catena, una gomena,
un gancio da macellaio, una croce;
tu c’eri, io pure,
negarlo sarebbe un delitto;
ci siamo stati per tanto tempo
e per tanto tempo, se ricordi, abbiamo frequentato l’amore
convinti di essere in salvo da tutto a cominciare dalle nostre mancanze;
ingenui, stolti, presuntuosi,
il solo pensare che l’amore potesse proteggerci
dai disinganni della vita, era pura follia,
un distillato di nonsense ad alto contenuto di tossicità
eppure ci provammo, l’azzardo ci piaceva
perché si nutriva di carne e si abbeverava di sensi;
alla fine, com’era ovvio che fosse, non rimase più nulla
a parte i corpi esanimi sulle rive della Somme;
io, però, non mi rassegno:
per questo giro ancora sul campo di battaglia
a cercare i resti di me in te.
—
Coming home
Chiusi nelle auto,
stipati nei tram,
negli autobus,
silenziosi, prigionieri di noi stessi
affrontiamo il giorno occupando lo spazio-tempo
spesso senza alcuna ragione
mischiando come un mazzo di carte
l’abitudine, la noia e la rassegnazione,
mangiando cibo spazzatura
tra arterie pronte a esplodere
e la grammatica velenosa della quotidianità;
spesso sogniamo qualcuno
che ci porti via da questo schifo
perché da soli non sapremmo dove andare
ma quello davanti a noi
osserva in silenzio la punta delle proprie scarpe
nel pavimento lurido della metro
o smanetta al cellulare,
vittima della schizofrenia del gesto;
nemmeno quei due ragazzi convinti di amarsi
sanno più cosa dirsi
tra la puzza di fatica,
il bambino che piange
e il semaforo della vita sempre rosso;
a mano a mano che ci allontaniamo dal centro,
la città fa il suo per farci sentire
un numero nella colonna sbagliata,
un errore evitabile,
un condannato a vivere
negli alveari dello spaccio;
è così ogni sera, al rientro,
e non bastano le note di un sax,
le imprecazioni o le bestemmie
per apporre il timbro
a un altro pezzo di noi gettato via.
—
Ultimo fuoco
Parte da un unico pensiero
o dall’ultimo binario
che non ha meta, ma solo fermate;
noi siamo
pronti al passo successivo
quello dell’incertezza,
ci vuol coraggio
e non sto parlando d’amore;
eri abbronzata, bellissima
ma tra poco saresti andata via,
io sarei rimasto qui
al centro delle bandiere
degli ululati notturni
e delle gole strozzate dal pianto;
i segni che portiamo sul viso
serviranno a riconoscere
una stagione irripetibile
decontestualizzata,
cruda, cinica, ignara,
in linea con quest’epoca sorda,
lontana da ogni tentativo di rivolta,
inesplosa;
e allora i pezzi di corpo
sparsi tra i ricordi, di chi sono?
I baci, e gli umori del dopo
a quale conto vanno addebitati?
Forse al sogno?
O al coraggio?
Pensaci, intanto che
do fuoco all’ombra di me stesso.