#1Libroin5WPOESIA.: Paolo Pistoletti,  “Al di qua di noi”, Arcipelago itaca.

1Libroin5WPOESIA

 

 

Chi?

Noi. Nel libro si parla di noi. Ma di un noi che non è anima di gruppo, ma esattamente il suo contrario. È l’esserci di ogni io contingente. Ognuno un proliferare di io – “sì, ma io chi?”. Questo, credo, sia il primo dato. Si parte da quello che siamo adesso: dalla scissione interiore. Dalla lacerante pluralità in noi. Alcuni esempi tratti dal libro: “Io che poi la strada / prende il mio posto. / Tu che poi io / via alberata / sostituisci me” […] l’io di qua / da ogni itinerario” […] “e se tu non sei tu / ma un altro io / allora faccio / le storie come i bambini.” […] “da giovane / ti cingevi le vesti da solo poi / lo avrebbe fatto un altro / io che attraversavi […] “ogni volta tornanti / già percorsi da altri io / quasi a riconoscersi”[…]“noi che poi eri tu che dal tuo sedile / di fronte al mio di là da te / dall’altra parte di me” […]“un artico io / sopra Capo Nord”[…] “ma chi sono io, chi sono io / dimmelo tu. // Io che parli / da solo.” […] “dal di qua dell’io sono” […] “fino a restare / solo ovunque / da qui, ma come se fossi / un altro io.” Ma a volte il soggetto viene declinato anche come sé: “mi succedo / dal mio sé” […] “dal fondo dell’in sé” […]  “sulle spalle / il tuo sé / che ti richiama / dagli anni settanta” […] “che anche io dal mio sé / volevo farmi abitare”. La molteplicità dell’io ha spesso come rimando la materia, ad esempio il vetro delle finestre, dei bicchieri, delle bottiglie: “Ma ci moltiplicano i vetri /dove poso lo sguardo /per mille anche se non vedo /cosa ci sia / o ci faccia / la mia di quello che non sono. // Quando volto il mio / verso quello che non è in me / il mio verso più in là / dopo la sedia / – tra bicchieri bottiglie e vasi” […]. O per esempio durante un viaggio in treno: “Come settanta volte sette / passeggeri in tutto / il vuoto / da dietro la notte / a fissarci negli occhi / dal nostro contrario. / I vetri tremavano / dalla parte di chi / non eravamo / che assenti.”

Cosa?                                                                                                      

La nostra storia. Di lei si parla. Nell’essere del tempo e dello spazio. Dall’osservatorio più intimo. Dalla contemplazione del nostro paesaggio interiore, così reale. La nostra vita riemerge ogni volta che viene rievocata. La casa, il vetro, il corpo, i corpi, i posti, gli incontri (e poi, ancora, nella seconda e nella terza parte: la stazione, il treno, i finestrini, i binari, le città ecc.) – sono come supporti dai quali noi guardiamo il mondo attraverso un pensiero riflesso, come in uno specchio. Questo movimento interiore è intessuto di pensiero immaginale. Noi attraversiamo il nostro essere passando da un’immagine all’altra, tentando di riunire gli spazi, i fatti, le cose, le persone – per farle rivivere sempre nel nostro essere più intimo. L’indice del libro è una mappa spazio-temporale. La prima parte (Dentro e fuori la casa) ha in sé altre sezioni: negli spazi rimasti; dentro il tuo gennaio; ovunque mi porti; interludio della casa alla stazione; interludio della casa della febbre prima di Hannover. E poi la seconda parte (Hannover) così compatta, senza ulteriori divisioni. Quindi la terza parte (Ancora un preludio) con tre componimenti: acque rotte; preludio del ritorno; da prima di me.

Quando?       

Concepito da sempre, ma scritto tra il 2014 e il 2022. Cinquantasei poesie compongono il libro. Ma il quando del testo è nel tempo svolto, dentro tutte le stagioni. Nell’ora, e nel qui. Ma pure nel prima, e nel dopo. Il tempo e lo spazio sono qualcosa di fantomatico. Dall’esergo del libro: “Il vero tempo non passa. / Lo spazio è già tutto qui, è già tutto qui. / Quindi non spostarti, ma siedi / e impara. / Me lo ha detto una volta uno / che adesso è / ovunque.” Quindi siamo nel nucleo più intimo. In un tempo simultaneo, nella trama di passato-presente-futuro. In un nontempo cronologico. Ci si ritrova così senza mai un approdo certo tra il qui e l’altrove, spesso allato e poi in circolo tra prenatale-esistenziale-postmortem. Ma è uno procedere che sorge da una stasi infinita, sospesa dentro un mondo di viventi, in un rigore invernale che implica uno sprofondamento, e poi, una retrocessione; perché, l’inizio e la fine si sovrappongono. Temporalità immobile durante la visione, quindi, sincronia di tutti gli elementi spazio-temporali che compongono la scrittura. Da qui l’incessante pensiero per il viaggio [da fermo], il prenatale, il ritorno. Il continuo tentativo di ricongiungersi al non tempo. Come un’ossessione. La realtà immensa e solitaria dell’io, che resta – sempre e comunque – all’umano, indicibile.                                                                                                

Dove?

Nel fantasma dello spazio, dallo spettro del tempo. Ma la prima parte del libro cerca comunque un appoggio (Dentro e fuori la casa). Si svolge cioè nello spazio più prossimo, e anche nei paesaggi circostanti. In quelli più familiari, tra le colline dell’Umbria. Nel sentire più intessuto dagli affetti più cari. Però questi luoghi di appartenenza sono luoghi dell’anima. Sono luoghi tutti presenti, quindi sempre, anche nella seconda parte del libro (Hannover). Questa la più unitaria, poiché ispirata da un determinato evento: un viaggio fatto a 17 anni (nell’81) in Germania, con destinazione finale Hannover, appunto. Però va ribadito che tutto il libro è un unico viaggio. Un procedere che si delinea sempre più come un percorso “altro”. Come un cammino iniziatico, nel quale è sempre presente il tema del ritorno, così come quello dell’io molteplice. Un itinerario interiore, un attraversamento introspettivo, mediante un pensiero meditativo e contemplativo. La terza parte (Ancora un preludio), ripercorre, quindi, ricapitolando, lo stesso processo circolare.

Perché?                                                                  

Perché questo libro si svolge in noi, come un flusso meditativo, come la nostra ricerca dal di qua. Nel darsi del pensiero più intimo, quello che tenta sempre, per sua natura, di riunire tutto quello che fuori si trova necessariamente separato. Per questo i testi si muovono in modo centripeto, riportando esseri, tempi, spazi – anche molto distanti tra loro – all’interno di una geografia di eventi e luoghi, a lungo rivisitati col pensiero. La presenza e la mancanza convivono. Convivono i tempi e gli spazi in cui abbiamo abitato. Gli incontri e i ricordi. Ogni ritorno, il presentimento di altre esistenze.

Perché la nostra casa, qui, è l’ombra. È l’aldiquà della luce – di quella vera – che noi non ritroviamo qui se non come riflesso. Se non come lontanissimo ricordo. Poiché il nostro esserci viene dall’essere. Viene da quello che noi siamo – ma non ancora. Per questo ogni volta “è tutto un ritorno anche / se non sembra”. Noi cerchiamo di ricordare, attraverso ogni pensiero. Cerchiamo di ritrovare la vita fino alle parole. Anche attraverso l’essere – nello spazio-tempo – della poesia. Ma se la poesia è quello che è – è proprio perché la creazione continua. La poesia come continuazione del mondo è già in noi. La creazione non è mai finita, anzi ricomincia ogni volta, dal nulla. Dall’annientamento delle parvenze, a ogni liberazione. La materia dell’opera è cosmica. E la via è la via della conoscenza. Ma è anche la via del penetrare nel dolore, quindi del lasciarsi sprofondare.

 Però l’io è il pronome più avversato dal pensiero diffuso. Così come il più detestato da certa poesia. Ma è il più mistificato proprio perché non riconosciuto. È “il veggente non veduto”, ma presente dietro ogni vicenda umana. Dietro ogni destino. Comunque va anche ripetuto, a scanso di equivoci, che la poesia non può essere, qui, il fine. Ma può essere solo uno [altissimo] strumento umano – per l’umano. Del resto, la ricerca poetica si svolge al di qua di ogni assoluto. Si svolge nell’ambito della molteplicità, nella dimensione della disgregazione dell’io, “al di qua dell’io sono”. Ogni io contingente infatti è solo “il riflesso di un riflesso” del Sé. E l’io lirico è lo stesso io contingente, che ogni volta tenta di risollevarsi, però inconsapevolmente. Quindi ogni volta dimenticandosi di sé. Ogni volta ripiegandosi verso quello che non è. Così è tutto in noi percepito come nostos – come nostalgia – desiderio profondo e sofferto di ritornare.  Ed è così che nasce la poesia del ritorno, quella che proviene dal pensiero immaginale. Come un circolo continuo. Ma qui è l’anima che media tra il logos e il corpo. E per converso tra “la poesia e lo spirito”. Che poi anche l’anima è, del resto, oramai, la più misconosciuta delle realtà, insieme alla sua origine.

A chi si ritroverà a leggere questo libro, quindi, rivolgerei, per concludere, come una preghiera – di procedere con una lettura lenta, più di una volta. Di avere pazienza, insomma, in attesa che anche il suo senso più nascosto si dia, fino a di qua.

 

Versi scelti per voi

 

Dalla sezione DENTRO E FUORI A CASA

[chi da per sempre
torna chi parte
sono]

 

Io che poi la strada
prende il mio posto.
Tu che poi io
via alberata
sostituisci me.
Che mi fui affidato
da nessuna pietà celeste.
Che chi ho qui ha di nuovo
male alle foglie, alle case
alle mura.
Che da fuori del temporale
ho già l’aria
di chi non c’è.
Dall’incessante giungo.
A lui ritorno.
Fine pena mai.
Si carica un altro mondo
da qualche altra parte
che non so. Così un altro io
che sarò stato
si sottrae dal mio nome.
Mi manchi all’appello mia dispersione
tra gli innumerevoli.
È l’ora

di non esserti più.
È l’ombra di andarsene.
Del mio tempo
verso dentro
una terra liquida
prima di nascere. Postumi dal cielo
amniotico
tra le acque rotte
mi ritrovo ogni volta
nato come dopo una sbronza
di dèi. Ancora un io vuoto
a perdere
un corpo
da ogni mio corpo come un estratto
da ognuno di me.
Mi succedo
dal mio sé.
Dal non ricordo oramai
di quante vite.

Dalla sezione HANNOVER

Quello che avevamo fatto neanche
quello della controlleria
sapeva dirlo.
Un biglietto aperto un giorno
tra tutte le coincidenze
una tra quelle intorno alla quale
tutte le altre avrebbero
dovuto girare.

Che dopo si doveva finire
ad Hannover con Francesco in un quartiere
sotto la neve dove va bene
anche se sarebbero continuate solo le case.
Va bene anche se solo le case.

Ma in una dentro con te, così io in me
che cercavo di riunire tutte le vite
in me che avrei voluto dormire per sempre
schiena a schiena in quell’81
fusi in uno come quella coppia originale in Noi
i ragazzi dello zoo di Berlino
così come sul letto Cristiana F. e Detlef
coi loro sessi giustapposti in fondo a quel sonno invernale.
Che anche io dal mio sé
volevo farmi abitare.
Come chiunque
da prima di sempre
ma come in quello così solo
credimi
mai nessun amore.

Dalla sezione ANCORA UN PRELUDIO

“in principio c’era un’era, ma dopo non più.
Sui vetri solo nulla. E punto lo sguardo sul doppio
di quello che non sono, nulla sui vetri. Ma c’è
un al di qua. Ma c’è un ancora chi
mi chiedo”

A quel tempo
ci vestivamo sempre da montagna.
Anche fuori stagione ci cercavamo
da taglie enormi
e scarponi grossi. Ci risaliva
il colore dei boschi. Come da sotto al mondo
un rovesciamento siderale
radici in alto fronde giù. Poi di nuovo sopra
inerpicati in cima
ai nostri corpi come alberi
uccelli astri dall’etere.

E mi ricordo altrimenti di me.
Dal di qua
di ogni accaduto
come dal dopo di un immemorabile
discesa.

Dentro una carrozza lungo la ferrovia
da lì riemerso
dal mio maglione fatto a mano
mentre guardavo
il cielo era più di una volta celeste
che mi guardavo
riflesso sul finestrino.
Un controsenso dentro
ai miei occhi innumerevoli
stelle da dietro la notte
un delirio
la mania di grandezza del mondo
in cui mi ritrovavo
non so con chi

in un treno ombra come in un sogno
da prima di me, preceduto
dal mio sé
nei ritorni. Lo stesso
treno perduto da sempre
fino a restare
solo ovunque
da qui, ma come se fossi
un altro io.

Paolo Pistoletti (nella foto di Maria Pistoletti) lavora nella biblioteca comunale di Umbertide. Terminati gli studi in Giurisprudenza e in Teologia ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali d’oriente e d’occidente, ampliando, allo stesso tempo, la sua ricerca poetica. Nel corso degli ultimi anni suoi contributi, sulla poesia e la parola, sono stati pubblicati da Fara Editore e dalle Edizioni CFR. É stato condirettore della collana di scrittura, musica e immagine “La pupilla di Baudelaire” della casa editrice Le loup des steppes. In poesia ha pubblicato Legni (Ladolfi Editore, 2014 – Premio “Oreste Pelagatti” 2015), il libro d’arte Borgo San Giovanni (Fiori di Torchio, Seregn de la memoria, 2018). Al di qua di noi (Arcipelago itaca Edizioni, 2023) è la sua ultima raccolta.

Potrebbero interessarti