poetesse

Forte tensione conoscitiva e fiducia nello strumento linguistico permeano, come peraltro rilevato dalla curatrice Giovanna Rosadini, i versi delle scrittrici riunite nella sesta antologia Einaudi “Nuovi poeti italiani”. “Questo lavoro – sottolinea la Rosadini nella nota introduttiva -, intende essere una ricognizione, quanto più possibile ampia e differenziata, sulla scrittura poetica femminile oggi in Italia. Differenziata nel senso di non orientata in base a un’idea precostituita di poesia: le voci incluse sono fra loro molto diverse, e non ricollegabili a tendenze o scuole letterarie posto che in questo periodo storico se ne possano individuare, nel contesto culturale italiano. Il punto di partenza sono i dati dell’esistente, piuttosto che un’indagine finalizzata allo scouting, alla ricerca di nuovi talenti”. Speranza e disincanto, ricerca e smarrimento, spiritualità e concretezza, rivelazioni e silenzi, indugio e azione, spasimo e letizia, armoniosamente, si alternano, quasi si confondono, in un gioco impalpabile che ricorda l’alternanza incessante dell’alba al tramonto. Alida Airaghi medita, declinandolo da quello intimo, sul senso del tempo cosmico, “un giorno non qualunque / di un non qualunque anno / pronta a svelarmi inganno e disinganno”. Daniela Attanasio,  per la quale la poesia “è la realtà vista da un occhio aperto; come ogni forma d’arte non fa distinzione di genere”, perlustra le origini sorgive e istintuali dell’essere, “E sono ancora dentro quella / nostalgia di vita che è una nascita”. Antonella Bukovaz scruta l’identità concepita come appartenenza territoriale e linguistica, “cerco un’altra materia / a sostenere la geografia che porto / tatuata sotto la pianta dei piedi”.  Maria Grazia Calandrone per mezzo del verbo, palesa, all’unisono, la tangibilità delle cose e l’indissolubilità dei legami, “Io in una solitudine perfetta porto / in me muro con crepe / nelle quali scorre / purissima la gioia”. “La poesia è compassione. Il poeta scrive da una solitudine corale, scrive mentre tenta di diventare tutti. La poesia delle donne credo abbia finito per trarre vantaggio dalla sua storica emarginazione dal mondo delle lettere: l’isolamento imposto si è rovesciato nell’esito di una maggiore libertà. È inoltre più aderente al dato biologico (non biografico!), in qualche modo trasforma l’intera esistenza in parola. Dunque – sostiene la Calandrone -, il risultato di questo volume è di voci così disomogenee perché la libertà fa differenza”. Chandra Livia Candiani, cinge un sinuoso cammino spirituale, “Sono matassa di smarrimenti / senza disegno, sono calce / viva sotto pelle / di tamburo che vibra / a ogni sfioramento”. Gabriela Fantato, risalta la comunanza dell’esistere, “Le cose sanno tutto, sanno / l’inizio e la fine anche l’indifferenza”. Giovanna Frene, liricizza la propria lucida (agghiacciante) consapevolezza, “lo spirito è immobile, la carne scivola. ogni / volta più in basso e trascina con sé / il pensiero e le cose decadono avvolte / in un ammasso di morte”. “Difficile dare una definizione di poesia – dichiara la Frene -, ma forse in questo momento per me poesia è questo: la mia visione del mondo, il mio strumento di conoscenza, l’occhio con cui guardo e vedo; cosicché è diventata la mia ragione stessa di esistere. In quanto alla poesia scritta da donne – si sa che non amo la definizione di ‘poetessa’, per non dare giusto il destro ai detrattori dell’operato delle donne in ogni campo -, ha un grande valore nella società contemporanea, ma lo inserisco semplicemente come attività fra le altre della generale emancipazione femminile odierna. Certo, per prima cosa un discorso del genere, di emancipazione, negli Stati Uniti non ha senso; in secondo luogo, se si pensa alla storia della letteratura, è per chiare ragioni culturali che figure femminili o mancano, o sono marginalizzate ecc. A maggior ragione fare poesia per una donna è fare politica, oggi, proporre la propria differenza più che altro storica, ma la propria uguaglianza culturale”. Isabella Leardini, instilla sintonie d’amorosi sensi, “Prego ancora una corsa dei giorni, / un tocco casuale che apra il cielo / nel gioco che cambia in abbraccio”. “La poesia per me è soprattutto dire la verità nel modo più disarmato e rigoroso possibile, una verità anche piccola e personalissima, ma che abbia in sé una tensione universale. È un gesto di attenzione assoluta nella sostanza come nella forma, che mette radici in qualcosa di innato e difficilmente definibile e dominabile che chiamerei più che ispirazione, visione. Come i poeti, le poetesse raccontano a tutti i livelli la propria esperienza e verità con esiti diversi, più o meno buoni. La differenza non è nella riuscita letteraria, ma nella natura stessa. Ci sono studi scientifici sulle differenze nell’uso del cervello maschile e femminile, senza contare la biologia, gli ormoni… a sostenere l’affascinante dinamica che ci fa innamorare anche di una diversità. Le donne comuni ne parlano da sempre in quei discorsi che si concludono con “Anche mio marito fa così”. Perché in poesia dovrebbe essere tutto più complicato? Sono due modi complementari di guardare gli stessi grandi temi di cui la poesia si occupa da sempre, ciò che conta è il modo in cui si centra l’obiettivo. La varietà di questa antologia dimostra che non c’è una poesia femminile, ma ci sono buone poetesse molto diverse tra loro. Ciò che è interessante è semmai un dato sociologico. Fino ai primi del novecento le donne che avevano la possibilità di studiare e scrivere erano poche e sono perciò emerse alcune esperienze isolate e di straordinaria forza. Da pochi decenni non è più così, perciò è emerso un panorama molto più ricco di voci femminili. Le statistiche ci dicono anche che la percentuale maggiore dei lettori oggi in Italia è di sesso femminile. Questo può essere un elemento interessante su cui riflettere. Non certo perché questa antologia sia un’opera per signorine, ma perché un target importante di lettori potrebbe trovare nella poesia di altre donne qualcosa che gli appartiene”. Laura Liberale, alla quale piace “pensare alla poesia come a una possibilità di trascendimento dei generi, a un luogo di nudità indifferenziata di ogni essere umano. Parlare di buona/cattiva poesia e non di poesia femminile/maschile”, e Rossella Tempesta, scandagliano le relazioni affettive primarie, individuandone, rispettivamente, singolarità (“Nemmeno da morente / vuoi rinunciare al ruolo / rifiuti la muta di una pelle / ormai inservibile / fino all’ultimo ti ribadisci”) e consuetudini (“Eravamo così povere d’amore / che la dolcezza dei piselli lessi / ci commoveva fino al pianto”). “Scrivo – dichiara la Tempesta –  come dipingessi, o fotografassi… La mia poesia mi serve a ritrarre ogni aspetto dell’esperienza reale, anche il più insignificante può contenere paradigmi universali per comprendere meglio la ragione e il sentimento che animano il Tutto. Le donne sono una risorsa straordinaria per la sopravvivenza dell’Umanità, spero che esse stesse imparino a riconoscere il proprio immenso valore, perché solo dalla consapevolezza e dall’amore per se stesse potranno partire alla conquista di un Mondo da rendere finalmente migliore. Non devono svendersi e devono imparare ad essere vicine e solidali le une con le altre. Io coinvolgo sempre le donne nella mia vita artistica e valorizzo tutte quelle che incontro nella vita e nella poesia”. Laura Pugno caldeggia, malgrado la corporeità del male, l’unanime opportunità di giocondità e pienezza, “eppure sei salvato, / per il riflesso degli alberi / sei guidato al nuovo”. Non ultima, Franca Mancinelli aduna versi fioriti intorno mutevoli visioni itinerarie, “qualcosa in noi respira / soltanto nel trasloco: / gioia per ogni terra cancellata”. “Poesia femminile, poesia dialettale, poesia civile, poeti marchigiani, emiliano-romagnoli, poeti degli anni Settanta, degli anni Ottanta, giovani poeti. Quante volte titoli di antologie, articoli, interventi, hanno accolto definizioni come queste che non sono certamente categorie critiche ma che sono come cerchi tracciati sulla sabbia per delimitare uno spazio di attenzione, per guidare il nostro sguardo nella grande costellazione della poesia – sottolinea la Mancinelli -. Se poi ci fermiamo a chiederci che cosa significhino in realtà queste definizioni ci ritroviamo sempre al punto di partenza: un poeta non ha sesso, non ha età anagrafica, non ha una lingua definibile a priori, né temi o oggetti di cui debba trattare. È forse tanto più poeta quanto riesce ad entrare in se stesso come attraverso una porta che si apre su quanto lo circonda, lo attraversa. La sua voce si staglierà più nitida e necessaria tanto più sarà riuscito ad evadere dalla prigione del suo io per andare incontro all’altro; tanto più sarà sprofondato nelle sue ferite fino a perderle nell’aria, nel suo variare di ombre. Eppure è vero che le esperienze che alla fine dei conti vengono a costituire la vita di un poeta segnano più o meno profondamente la sua voce. «C’è sempre un punto, dietro la testa, della grandezza di uno scellino, che non si riesce mai a vedere da soli. E una delle funzioni positive che un sesso può svolgere a favore dell’altro è descrivere quella chiazza, della grandezza di uno scellino, che sta dietro la testa» scrive Virginia Woolf nel ’28 in Una stanza tutta per sé. Ora, per quanto il progresso civile possa avere fatto sì che, nelle società più evolute, quel punto invisibile si assottigliasse sempre più, permangono ancora, credo, nella società italiana, opacità verso lo specifico della situazione femminile (basta pensare a quanto poco venga tutt’ora tutelata la maternità nel mondo del lavoro, e alle dinamiche tutte maschili, più o meno implicitamente sottese ad incarichi e luoghi “di potere”). E, ad ogni modo, anche nella migliore delle società possibili, quel punto cieco dietro la nuca resterà, riducendosi magari a quelle uniche esperienze che, per bios, non toccano il corpo dell’uomo. Ci sono antologie che tendono a tracciare un canone, a traghettare le voci più originali e definite oltre le soglie del proprio tempo. Così è stato ad esempio con Poeti italiani del Novecento di Pier Vincenzo Mengaldo. Altre, e sono in genere la maggior parte, nascono dall’occasione di riunire sotto lo sguardo del lettore un certo numero di autori che, per un qualche motivo, possono trovarsi l’uno accanto all’altro, ognuno con la propria identità, come coinquilini di uno stesso condominio. È questo il caso, ad esempio, di Nuovi poeti italiani 6.  Il valore di questo lavoro emergerà nel tempo, e sarà comunque da valutare non tanto in base alle intenzioni, che sono semplicemente quelle di mettere in luce un certo numero di autori, ma in base alla consistenza e alla forza delle voci accolte. Il suo merito potrà essere quello di avere riconosciuto e indicato ai lettori alcune voci che prima si perdevano nel frastuono di fondo della poesia contemporanea, tra blog, riviste letterarie, piccole e medie case editrici. L’Einaudi, con la sua “collana bianca” di poesia, ha ancora il prestigio e l’autorevolezza per operare questa differenza, per aprire questo spazio di ascolto, nel proliferare della rete e nel sovrapporsi delle pubblicazioni”.

Nuovi poeti italiani einaudi 2012Nella foto (in alto) di Laura Callegaro, da sinistra verso destra: (in alto) Maria Grazia Calandrone, Isabella Leardini, Laura Liberale, Giovanna Frene; (in basso) Daniela Attanasio, Giovanna Rosadini (curatrice della antologia) e Franca Mancinelli.

 

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