John Constable, Rainstorm over the Sea, 1824-1828 BALDACCINI
John Constable, Rainstorm over the Sea

Pur interessandomi di letteratura e poesia, non mi sono mai occupato del fenomeno del plagio fino a quando non ne sono stato vittima. L’autore del plagio, oltre alcune parole di una mia poesia, riproduceva anche il senso del testo, il tempo, la lunghezza dei versi e lo stile generale. Un plagio in maschera, dunque, ma sempre plagio. Parlandone con amici, mi è stato suggerito di trattare il tema. Bene, eccomi qui.
Per definire la personalità di chi commette un plagio, comincerò con l’inquadrarla in una precisa categoria riportata nel DSM IV, quella dei così detti “stati al limite”, meglio conosciuta come border line. Le persone che soffrono di disturbi definiti “stati al limite” hanno una personalità oscillante tra la “normalità” della nevrosi e “l’oltre” della psicosi. Quando il limite viene sorpassato, per fattori problematici interni o fatti scatenanti provenienti dal mondo reale (o una somma di entrambi), queste persone vengono, per così dire, allagate dall’inconscio e il loro io subisce infiltrazioni a volte persino devastanti, dalle quali può essere difficile rientrare. Non mi soffermerò su tali stati problematici, rasentanti a volte anche il delirio; diciamo solo che una persona che commette un plagio è “scivolata” e non è più padrona di se stessa. Occorre dire che nella sindrome generale rientrano molte forme patologiche, anche diverse tra loro, e che le sfumature possono essere davvero diverse. Non posso tracciare un quadro diversificato come la realtà clinica ci mostra e dunque mi terrò sul piano generale, evidenziando caratteristiche comuni alla maggior parte degli stati al limite, fermo restando che la persona che commette un plagio può presentarne alcune, ma può anche non presentarne affatto altre.
La caratteristica dominante della psicosi consiste nella perdita di contatto con la realtà. La capacità di riferimento al mondo reale evapora, e la realtà viene vissuta dal soggetto al di fuori dei parametri di riconoscimento comune. Per la persona in crisi psicotica quel che pensa, sente e percepisce appare perfettamente sensato; per gli altri si tratta di rappresentazioni prive di senso. Va detto inoltre che il border non ha sviluppato, per i più svariati motivi, un io reale solido, probabilmente per via di basi affettive insufficienti che hanno fermato lo sviluppo emotivo a livello emozionale pre-edipico o comunque arcaico. Per questo tali soggetti presentano una scarsissima tollerabilità alla frustrazione, non riescono in nessun modo a controllare le emozioni e ricercano di continuo il consenso degli altri di cui hanno bisogno per sostenersi, finendo spesso col gonfiarsi d’aria, come nel caso delle personalità patologicamente narcisistiche. Con questo non intendo affermare che una persona che compie un plagio è uno psicotico; si tratta di qualcuno che sta subendo un episodio psicotico, cioè un’alterazione momentanea del rapporto con il reale. Il border oscilla e nulla impedisce che recuperi in seguito un rapporto accettabile con la realtà, pur continuando a non avere coscienza della portata e del significato di ciò che ha fatto. Comunque, una persona che commette un plagio è, a certi livelli, senz’altro affetto da un disturbo narcisistico della personalità.
Per spiegarci in termini al di fuori di categorie più o meno patologiche, immaginiamoci una persona che regredisce ad un livello mentale rapportabile a quello di un bambino tra i tre e i sei anni. Di fronte a un oggetto di desiderio, magari una poesia, questo bambino vorrebbe tanto che fosse sua, al punto da identificarsi con l’oggetto desiderato e appropriarsene introiettandolo per poi ripeterlo in base alle proprie categorie. Inoltre, sbuffa, diventa rosso, batte i piedini per terra (sa che non è sua e non lo sopporta: non avrà quel “consenso” che immagina quella poesia possa dare) e di fronte alla frustrazione di realtà che lo fa sentire piccolo e incapace, all’incirca qualcosa meno del dio che crede di essere, e alla rabbia e l’invidia che l’accompagnano, ricerca attivamente il piacere perduto del proprio onnipotente senso di sé (narcisismo) trasformando il reale “cattivo” in qualcosa capace di gratificare, liberandosi in tal modo delle violente cariche emotive tipiche dello stadio pre-edipico, che lo proiettano in un mondo per lui privo di significato positivo. In tal modo, si ha l’impressione di ripristinare una parvenza d’ordine interno in cui tutto è ancora piacevole e la realtà riacquista il “senso” onnipotente della propria apparente capacità, fino alla prossima crisi. E qui vi prego di credermi: di tutto questo il plagiatore, come qualsiasi altro border, non ha alcuna coscienza. Agisce sotto una serie di potenti spinte inconsce che hanno infiltrato il suo debole io, delle quali non si rende minimamente conto: agisce e basta! È il noto fenomeno dell’acting out, che i bambini attuano di continuo, ma purtroppo non soltanto loro. Tutto ciò è possibile a causa di un difetto della struttura di base dell’io, (prime formazioni affettive) probabilmente per eccesso di gratificazioni o frustrazioni subite durante l’infanzia. Interviene anche la più potente delle difese arcaiche, la scissione (arcaica perché propria di stadi evolutivi primitivi – vedi Otto Kernberg Sindromi marginali e narcisismo patologico) che in qualche modo rappresenta un’estensione del principio di piacere che domina il campo del soggetto in quegli stadi dell’evoluzione psichica. La scissione, infatti, rispondendo al dominio del principio di piacere e alla mancata formazione di un super-io capace di inibire, per così dire “castrare” il desiderio onnipotente in base al principio di realtà, taglia letteralmente in due il campo d’esperienza: da un lato tutto ciò che è piacevole che resta così disponibile per le gratificazioni onnipotenti di cui si nutre l’io; dall’altra, tutto ciò che dispiace, come ad esempio un senso di incapacità e le emozioni negative che lo accompagnano, che vengono totalmente eliminate dal campo del percepibile, un po’ come quando si getta un file sgradito o ritenuto inutile nel cestino del computer: non c’è più. In realtà c’è ancora, solo che non è visibile, ma i suoi effetti non tarderanno a farsi sentire in una serie di interazioni difettose con la realtà, tutte dettate da cariche emozionali inconsce.
Come scrive Kernberg nella parte relativa alle diagnosi differenziali nel libro citato, la prognosi di un disturbo narcisistico della personalità è sempre negativa. Queste persone, infatti, non hanno alcuna capacità di auto critica e, per questo, si trovano nell’impossibilità di auto riferire. La scissione impedisce loro ogni presa di coscienza e l’interpretazione viene spesso vissuta paranoicamente, risultando del tutto inefficace. Tale impossibilità di accedere alla costruzione dell’analisi è però una garanzia per i soggetti in questione, dato che li protegge da aspetti altamente suicidali della loro personalità. Siamo infatti di fronte, come in qualsiasi altro esempio di patologia “stato al limite”, a una momentanea desolante assenza del soggetto; una condizione disperata e disperante in cui ogni valore scompare: morale, etica, rispetto, e persino la realtà del se stesso e degli altri. Ci troviamo nell’irreale della psicosi in cui non esiste assunzione di responsabilità né possibilità di farlo. Si tratta di soggetti impossibilitati a recuperare uno stato di normale conflittualità nevrotica dove, almeno, l’elaborazione è possibile e, con essa, la presa di coscienza del conflitto inconscio o dei baratri di struttura che tormentano l’io.
La coscienza riconosce i suoi limiti e nella nostra pratica non tutto è trattabile in base a un’analisi “classica”. Occorrono adattamenti particolari oppure, come scrive Celine in Viaggio al termine della notte: “che non se ne parli più”.

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