Andrea Leone, “Ludwig”, espressività e potenza del linguaggio.

tre domande, tre poesie

 

Andrea Leone (Milano) ha scritto: L’Ordine (2006, Premio San Pellegrino Opera prima), uscito nella collana Niebo diretta da Milo De Angelis, Il suicidio di Holly Parker (2008), Lezioni di crudeltà (2010), La sposa barocca (2010), Scena della violenza (2013), Kleist (2014), Hohenstaufen (2016, Premio internazionale di Letteratura Città di Como), Ludwig (2022).

Qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “Ludwig”, meglio: in che modo la (sua) vita diventa linguaggio?

Avevo già scritto “Kleist” e “Hohenstaufen”, un romanzo e una raccolta di poesie dedicati ad Heinrich Von Kleist e alla casata tedesca. Anche se non era un progetto preciso e non la considero una trilogia (vedo tutto quello che ho scritto come un unico libro), ero attratto dall’idea di fare ancora una specie di viaggio nel tempo e di “prestare” la mia voce a un personaggio della storia tedesca ed europea, appunto il celebre Ludwig Wittelsbach, il Re di Baviera. La prima stesura era un romanzo, ma poi mi sono reso conto che solo usando uno stile particolarmente elaborato sarebbe stato possibile entrare nella testa del protagonista. Un’opera è comunque sempre autonoma rispetto al suo autore e in un certo senso si scrive da sola.

La poesia è (anche) la lingua dell’invalicabile?

Credo che prima di tutto la poesia sia il linguaggio stesso portato alla sua massima espressione e alla sua massima potenza.

Per concludere, saluterebbe i nostri lettori, riportando tre “passi” dal suo “Ludwig”? Di queste le scelga una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quando “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere (nel contesto del libro che l’accoglie).

Dico il nuovissimo spettacolo, appaio il beato massacro, il miracolo assaltato, il mio esercito esatto. Di capitolo in capitolo scrivo la storia del mio delitto, scrivo il gemello festivo. Metro dello sconvolgimento ritmo il bellissimo attacco elettrico, secolo. Intero interpreto il genio geometrico. Creo il ciclo, divido il Dio in cui vivo, rivelo il filo, capisco chi è il bambino da cui all’improvviso fiorisco. Cielo violento divento le storie salvate, le battaglie matematiche, l’idea incessante. Incendio l’identico cielo al centro del corpo, spavento il demone per essere le carneficine eccelse, le cronache elettriche.

Delitto definitivo demolisco, esordisco fulminee contee delle idee, giornali militari, linguaggi centrali. Mi avvento al movimento, verbo ebbro eredito l’esercito del segreto, tutto ininterrotto interpreto l’implacabile trauma di trame, folgorate dall’arte. Eccedo esordio e incendio, assedio l’episodio, ordino e sconvolgo i millenni dei mattini, il ritratto e il romanzo, l’unico spettacolo, oso il fuoco, irrompo logico, conosco l’oro del corpo. Intervengo incessantemente vette del getto di sangue battente, eterne lettere terrene, mese di febbre perenne, emorragie emerse, storia per la prima volta, vertigine di ingegnerie ed energie.

Gioiello gemello,
ti parlo
urlo del giorno.
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Assedio il preludio, architetto l’attacco, formo il furioso accesso del giorno, intuisco l’antichissimo parossismo, recita lucida, sentenza segreta. Pronuncio il corpo, contemplo lo spavento, splendo scandendo le fortezze e le scienze, le platee e le idee identiche dell’erede. Registro lo straordinario discorso del disastro, primo prodigio scandisco lo spartito dell’organismo, allestisco il miracolo antico, impero dell’impeto. Interpreto l’enciclopedico attimo dell’accesso, leggenda delle stragi, leggenda dei contagi, perfette tempeste, tutte le potenze di ciò che esiste, inflessioni infinite, trincee delle idee, diamante della mente.

Splendo dell’estremo shock elettrico, metro ebbro inondo me stesso del miracolo e dello spavento, invento il segreto, creo il ritratto catalessi di eccessi, eventi epilettici, fluviale nume tutelare, marchio inciso a fuoco sulla carne, storia dell’arte del sangue, genealogie delle energie, giardino infinito del desiderio realizzato, battito incantato, cielo al centro del concerto geometrico, cielo al centro del secolo perfetto. Suono il moto e il dono, contemplo il corpo logico, rivelo di millennio in millennio il disegno elettrico discendendo al palcoscenico. Folgoro il volto, penso lo spavento, nascendo incendio il verbo al centro del cielo del cervello. Batto di atto in atto l’alfabeto matematico. Discorro oro rigoroso, colloquio col fuoco, mai nato alla sera della storia, alla prosa morbosa, mai apparso al martello malato. Oso il tesoro spaventoso, tocco lo scopo, scopro l’eco che sono, trovo il cielo in tutto il corpo. Perfezionato dall’entusiasmo mi schianto al romanzo, illuminato dal canto armato scompaio allo spettacolo del linguaggio, ricordo ciò che accadrà in questo attimo.

Dio giovanissimo,
io ti continuo.

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Nascere folgorante, marziale istante delle infanzie, spezzare le scene simultanee, diventare la frase musicale fulminante, assaltare le ere dell’allarme. Ereditare l’eccezionale fuoco divorante, Linderhof abbagliante, Linderhof implacabile, Linderhof esaltante teatro di carne, Linderhof astro dove esordisco, Linderhof divo del vero tra i frastuoni delle illusioni, tra gli infiniti delle infezioni, tra gli estimi delle estinzioni, tra i manicomi delle generazioni, tra i nati nei manicomi dei corpi. Attraversare le casate spietate, le frustate estatiche, le staffilate straordinarie, la febbre di fiabe, le caste entusiaste, la catastrofe di chiamate, gli shock tellurici, il fiume di furie, il fervore di storie, nate per creare, nate per annientare, nate per costruire, costruite per nascere.

Non si tratta esattamente di una raccolta di poesie ma di quello che nella storia della letteratura è stato chiamato un tempo “poema”, intendo dire che è un flusso unico, in cui tutto è collegato a tutto. Nel terzo testo che qui propongo il protagonista accenna a Linderhof, uno dei famosi castelli da lui voluti e progettati in Baviera. Non essendo un artista, questi magnifici edifici rappresentano le sue vere opere d’arte.

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