Antologia di Spoon River
Edgar Lee Masters
Collana Senza frontiere
A cura di: Federica Massia
Traduzione: Roberto Sanesi
Prefazione: Federica Massia, Roberto Sanesi
Il merito di far conoscere in Italia, nell’immediato dopoguerra, l’Antologia di Spoon River, spetta a Fernanda Pivano, che intuì nella dolente raccolta di epitaffi funebri di Edgar Lee Masters una vera e propria «Bibbia del pessimismo americano», in opposizione solo apparente con l’implicita richiesta di speranza che il momento storico-sociale sembrava esprimere. Ma in preciso accordo con le esigenze d’ordine ideologico, estetico, etico già in qualche modo segnate dall’appassionata apertura a una letteratura democratica e civile, non priva di ombre ma legata alla concretezza dei fatti, avviata da Vittorini e Pavese. La Pivano intese, in Edgar Lee Masters, «una voce severa che suggella un mondo lirico sotto specie di giudizio e di memoria», ed è probabile che fosse in questo caso soprattutto il giudizio ad avere il sopravvento, cioè l’atteggiamento non distaccato, anzi profondamente partecipe, e però rivolto a porre in luce la frequente contraddizione fra una fortuna mondana e conformista e la «verità» dell’esistenza dei vari personaggi, con cui il poeta descrive e disvela spesso impietosamente, con arguzia e con ironia. Un’ironia, come scrisse Mario Praz non senza qualche scetticismo rispetto al valore letterario da attribuire a Edgar Lee Masters, «che nasce dal contrasto stesso tra le condizioni d’una vita meschina e monotona e le eterne istanze dell’anima umana». Certo, alle spalle dei più che duecentocinquanta epitaffi nei quali si intrecciano i nodi del vero e del falso dei defunti di Spoon River l’esempio dell’Antologia Palatina (specialmente il Libro settimo) è evidente. Così come è vero, dal punto di vista delle correlazioni e dei meriti letterari, che certi ritratti funebri di personaggi collocati da un poeta come E. A. Robinson nella cittadina di Tilbury Town furono ingiustamente dimenticati, mentre posseggono una qualità antiromantica (l’atteggiamento stoico, il tono gelido, la scabra compattezza linguistica) che ce li fa apparire più moderni e più convincenti, e che Edgar Lee Masters ignora. Ma quando l’Antologia di Spoon River fu pubblicata, nel 1915, l’irruzione nella letteratura americana di naturalismo, di populismo, di impegno civile non sempre trasgressivo ma certamente polemico dovuta all’opera di narratori come Dreiser o Gertrude Stein, o da un poeta come Sandburg, e che coincideva con la riscoperta dell’energia fluviale e democratica di Whitman, stava già lasciando segni profondi, e il libro apparve una «inconcepibile novità estetica», giudizio pretestuoso e obliquo che rivela l’imbarazzo se non l’irritazione, di una critica puritana. Allora come ora, senza dimenticare le date della fortuna italiana (e europea) delle confessioni e considerazioni non prive di qualche moralismo dei morti della cittadina del Middle West, il successo è più di pubblico che di critica. Il che non significa affatto che ci si trovi di fronte a una poesia di seconda mano, malgrado il tentativo di prendere le distanze dall’elemento popolare che sostanzia il testo. E che è tale, cioè popolare, non necessariamente e soltanto per facili ricorsi all’effetto immediato e sentimentale, o alla natura talvolta perfino troppo scoperta dell’intreccio (che gioca sulla contrapposizione realtà/apparenza secondo un procedimento che sta fra la rivelazione psicanalitica e lo scioglimento da romanzo poliziesco – come nel congegno dei vari punti di vista utilizzato per esempio nel film Rashomon; ed è solo per pudore che si eviterà di citare Pirandello), ma che è popolare, probabilmente, anche perché il suo tessuto si avvale senza infingimenti di una serie di archetipi, magari modesti ma sicuri, tali da garantire l’insorgenza di un’autentica richiesta di consolazione, e nella partecipazione collettiva il suo appagamento. In più, come ricorda Mario Praz citando un critico come Alfred Kazin, l’Antologia ebbe per lo meno il merito di levare una denuncia «che con tutto il suo tono di universale fallimento e frustrazione ha una gagliarda esuberanza». Un’osservazione, per quanto mi riguarda, che tendo a leggere caso mai come avvertimento che tutto sommato non c’è nulla nell’Antologia di Spoon River, o ben poco, non più che qualche soprassalto, che si debba considerare davvero rivoluzionario, o «pericoloso». Anzi, come non cogliere in certi passi di impazienza didattica, nel sottofondo oratorio, nel rimando ad alcune figure pubbliche esemplari, un forte senso della nazione nel momento della crisi? Ma anche questo è popolare. La voce (lo stile) dei vari personaggi che narrano sulla collina la loro storia segreta non si differenzia che in rari casi dalla voce (dallo stile) del poeta, e se questo consente una percezione corale dell’intreccio e delle intenzioni morali, attenua nello stesso tempo ogni possibile caratterizzazione. Ciò che è innegabile, tuttavia, considerando l’universalità di una condizione di ripiegamento psicologico e la necessità di un gesto di consolazione e di sublimazione, è l’autentica semplicità, la profonda pietas che domina il testo nei momenti di maggiore disgusto come nei momenti di più luminoso e assorto lirismo. Una pietas umanissima che proprio la morte, attraverso la memoria pacificatrice, sembra indicare ai viventi.
(nota introduttiva di Roberto Sanesi)
Scelte per voi
Ollie McGee
L’avete visto aggirarsi attraverso il villaggio
un uomo a occhi bassi e la faccia consunta?
È mio marito, che per inconfessabile
Segreta crudeltà mi rubò giovinezza e bellezza;
finché alla fine, avvizzita e con denti gialli,
con orgoglio ferito e umiltà vergognosa,
mi inabissai nella tomba.
Ma cosa pensate che sia che gli rode il cuore?
L’aspetto di quella che ero, l’aspetto in cui mi ha ridotta!
Nella morte, perciò, mi sono vendicata.
(pag. 29)
Penniwit, l’artista
Perdetti ogni favore, a Spoon River, per aver tentato
di far entrare la mia mente nella macchina fotografica
per afferrare l’anima delle persone.
La miglior fotografia che io abbia mai scattato
è quella del giudice Somers, il procuratore.
Si sedette diritto e mi chiese di attendere
finché riuscì a raddrizzare l’occhio strabico.
Poi appena pronto disse «Ecco, va bene».
E io gridai «scattata», e il suo occhio girò.
Lo colsi esattamente come aveva l’abitudine
di guardare quando diceva «Mi oppongo».
(pag. 237)
Dall’anno della sua pubblicazione in italiano (nel 1947 in edizione integrale) a opera di Fernanda Pivano, l’Antologia di Spoon River è un testo che ha appassionato più di una generazione di lettori. In molti si sono successivamente adoperati per «traghettarlo» nella nostra lingua, ma, fino a oggi, non era nota una versione di quel grande poeta e finissimo traduttore che è stato Roberto Sanesi.
In realtà, dopo un primo contatto con Masters sullo scorcio degli anni ’50, in occasione di una fortunata antologia di poeti americani curata per Feltrinelli, nel 1986 Sanesi pubblicò una traduzione di tutti i 243 epitaffi, senza però firmarla.
È solo grazie al paziente lavoro di una giovane studiosa, Federica Massia, sui materiali del Fondo Sanesi del Centro manoscritti dell’Università di Pavia che ci è oggi possibile attribuirgliela con assoluta certezza. Frutto di una lunga militanza nell’ambito della cultura di lingua inglese e di una instancabile riflessione sul significato profondo dell’atto traduttivo, il lavoro di Sanesi permetterà a molti di leggere in una nuova luce il capolavoro di Edgar Lee Master
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Nota biografica – Edgar Lee Masters nacque a Garnett, nel 1868. Dopo essersi laureato in legge si avviò alla carriera d’avvocato, e cominciò, a Chicago, a scrivere come giornalista per il «Daily News». Esordì come poeta nel 1898 con A Book of Verses, e pubblicò in pochi anni un volume di saggi e numerose commedie. Il grande successo ottenuto nel 1915 con Spoon River Anthology lo spinse al poema drammatico e al tentativo, nel 1924, di riprendere con The New Spoon River il tema già sperimentato, ma il secondo volume dell’antologia non è che una stanca ripetizione del primo. Per quanto abbia prodotto, negli anni successivi, più di cinquanta libri fra testi poetici, biografie, saggi e drammi, la sua fortuna restò legata agli epitaffi di Spoon River. Morì il 5 marzo del 1950 in un modesto albergo di New York, dove aveva vissuto per anni praticamente dimenticato.