Antonia Pozzi (“Mia vita cara”, a cura di Elisa Ruotolo)

 

Antonia Pozzi
MIA VITA CARA
Cento poesie d’amore e silenzio
A cura di Elisa Ruotolo
Interno Poesia Editore, 2019

Entrare nelle parole di Antonia Pozzi è un po’ come varcare la soglia di una cattedrale e trovarla – talvolta – immersa nel silenzio. Ti aspetteresti sempre una folla in visita per le ragioni più varie che vanno dalla bellezza dell’architettura alla fede, invece certi giorni ti ritrovi immerso in una quiete che sa d’abbandono. Come se il luogo non fosse eternamente compreso. Avverto questa sensazione tutte le volte che pronuncio il nome di Antonia e mi accorgo di confrontarmi con un vuoto cui va dato rimedio. So che lei al mondo non ha avuto altro che le parole, allora provo a usarle con cautela e fermezza per richiamare gente alla sua cattedrale, ora che non è tardi.
Ora che è sempre il tempo giusto per incontrare Antonia.
Lo faccio perché raramente mi è capitato di leggere versi che suonassero così autentici e vivi e intensi; so¬prattutto raramente ho incontrato una così alta maturi¬tà del sentire in un’esistenza che ha deciso tanto presto di varcare la linea del dolore per trovare pace. Antonia non fu in pace. Un osservatore distratto potrebbe dire che in fondo aveva di tutto per esserlo, ma la quiete non può derivare dai mezzi di cui disponiamo, bensì dalle possibilità che riusciamo a concederci nel tempo in cui siamo vivi, oltre che da quelle in cui veniamo assecondati e compresi. Di certo fu una creatura sola e dimenticata – lei che avrebbe tanto voluto essere (r)accolta come scrive spesso nei suoi versi più dolenti – («ed io […] / come un cencio cinerino / in cui la gente incespica / ma che non val la pena di raccogliere»1), e lo stesso destino toccò alle sue parole. La terra fu uno spazio nudo e ostile in cui Antonia si mosse provando a dare ciò che non aveva: amore e comprensione.
Di certo fu una creatura sola e dimenticata – lei che avrebbe tanto voluto essere (r)accolta come scrive spesso nei suoi versi più dolenti – («ed io […] / come un cencio cinerino / in cui la gente incespica / ma che non val la pena di raccogliere»), e lo stesso destino toccò alle sue parole. La terra fu uno spazio nudo e ostile in cui Antonia si mosse provando a dare ciò che non aveva: amore e comprensione.

(uno stralcio della nota introduttiva della curatrice, Elisa Ruotolo, cui seguono cinque poesie scelte dalla raccolta “Mia vita cara”)

 

 

Cencio

C’era uno straccetto celestino
sopra il muro
tutto sgualcito di ditate rosa
tenuto su da due borchie di stelle
ed io lì sotto
come un cencio cinerino
in cui la gente incespica
ma che non val la pena di raccogliere
– lo si stiracchia un po’ di qua e di là coi piedi
e poi
a calci
lo si butta via –

Milano, 8 aprile 1929

Gioia

Lo splendore del sole
ti abbacinava ieri
dolendo
come la piaga
nelle pupille del cieco.
Ma oggi
lo splendore del sole
non è abbastanza lucente
per la lucentezza tua:
nell’infinito mondo non c è
che questo tuo splendore
vero.

6 marzo 1932

Confidare

Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.
Tu sai tutti i segreti,
come il sole:
potresti far fiorire
i gerani e la zàgara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.
Ho tanta fede in te. Son quieta
come l’arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l’orzo intorno alla casa.

8 dicembre 1934

Innocenza

Sotto tanto sole
nella barca ristretta
il brivido
di sentire contro le mie ginocchia
la nudità pura d’un fanciullo
e l’ebbro strazio di covare nel sangue
quello ch’egli non sa.

Santa Margherita, 28 giugno 1929

Canto rassegnato

ad A.M.C.

Vieni, mio dolce amico: sulla bianca
e soda strada noi seguiteremo
finché tutta la valle s’inazzurri.
Vieni: è tanto soave camminare
a te d’accanto, anche se tu non m’ami.
C’è tanto verde, intorno, tanto odore
di timo c’è, e sono così ariose,
nell’indorato cielo, le montagne:
è quasi come se anche tu mi amassi.
Arriveremo giù, fino a quel ponte
sorretto dallo scroscio del torrente:
là tu continuerai pel tuo cammino.
Io resterò sul greto, fra i cespugli,
dove l’acqua non giunge, fra le pietre
chiare, rotonde, immote, come dorsi
di una gregge accosciata. Col mio pianto
vitreo, pari a lente che non pecca,
io specchierò e raddoppierò le stelle.

Pasturo, 18 luglio 1929

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