ARSENICO E NUOVI VERSETTI di Gabriella Montanari

 arsenico

A partire dal titolo Arsenico e nuovi versetti  fino agli otto versi conclusivi di “Sapore di ferro e di piastrine” su cui cala il sipario di “ The end”, la silloge tutta di Gabriella Montanari è l’ ”aperto teatro” della parola provocatoria, corrosiva, sovversiva che si avvale di ogni declinazione, rifrazione della vita  – un bestiario cittadino, bipedi al pascolo – e del complementare paesaggio – la battigia è uno sfacelo di meduse – poi ancora cime innevate – l’alba sciolta nel mare terso – per dichiarare che c’è un nemico da scovare, infine  combattere:  il non senso  e la meschinità assurda che pervade il quotidiano, senza escludere il sentimento e la fisicità del corpo.

La poetessa ci introduce nelle tre sezioni della raccolta attraverso il vestibolo delle pagine in prosa che assumono il compito di “dichiarazione d’intenti” o pentagramma di toni e cromie della musica che si farà: si incontrano già qui quelle accentuazioni tonali che nell’esecuzione successiva concerteranno l’impeto dissacrante, l’eruzione rabbiosa, l’irrisione caustica che ci accompagnano presso certi poeti irriverenti della generazione beat e ad altri più lontani – duecenteschi – della tradizione letteraria goliardica.

L’autrice parte all’offensiva con l’arma della parola dissacrante che si stende come una requisitoria per far capitolare l’assurdo in cui ciascuno conduce il proprio vivere, incide seziona asporta con una serie di bisturi affilati le sclerodermie dell’essere  – il cranio duro come una bietola – o le putrefazioni del corpo, investito anch’esso dal non senso della malattia – nulla che camuffi il fetore della decomposizione, – cariatide di muscoli paralizzati e neuroni atrofizzati – così che sulla scena trovino luce invasiva situazioni e attori. Non resta in ombra nulla, poiché Montanari esige che tutto sia portato alla chiara visione, che tutto si concluda con un segnale critico o di giudizio, una implicazione etica –  da ogni tutto/e da qualsiasi niente/traggo il movente/per bruciare e rinascere,/ogni mezzo millennio,/storpia e senza denti. – questa volta sarebbero bastate le buone maniere/per fare centro,/coglione – e torna indietro per rendere la monetina del carrello –

Nell’ “aperto teatro” Arsenico e nuovi versetti si muove un microcosmo di vita e pulsioni che si abbandona alla correntia ininterrotta della parola, come se passato presente futuro fossero tutti fusi nell’istante privilegiato in cui “qualcosa” accade, carico di ogni valenza portata alla coscienza, in un flusso di coscienza: rare le interpunzioni, i versi iniziano senza la maiuscola e si susseguono facendo salvi gli spazi a staccare le strofe.

Anche l’amore – nella sezione “Amore… Ormone… Lo stesso odore” – non è indenne dall’arsenico di Gabriella Montanari: come il resto delle situazioni e presenze, come il tema del ricordo che mai si dichiara nella velatura della nostalgia tenera o divorante,  il tema dell’amore è svolto alla luce di una coscienza che non intravede, né vuole  intravedere, la tenerezza dell’incontro poiché  – sotto l’ala spiumata di Baracca/mi scorta al supplizio – all’ora di cena/la pasta scuoce/e i vapori d’amido e sale grosso/non appannano la visione mordace/della danza golosa/di due corpi/seriamente/compromessi. –

Infine, nella fitta materia brulicante ed impressiva prossima ai Bruegel, si incastonano certi ascendenti insigni: nomi di autori – dagli antichi ai contemporanei del vasto bacino mediterraneo-atlantico – che la poetessa materializza tra i versi nei modi che omaggiano senza concessioni carezzevoli, poiché anche per quei nomi potrebbero alzarsi vapori di zolfo combusto.

 

 

 

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