Asteroidi D’inchiostro (Sette anni di felicità)

Asteroidi D’inchiostro
“libri come corpi celesti persi nello spazio dell’indifferenza”

 

Etgar Keret non è certamente un asteroide ma i suoi libri tradotti in trentuno lingue viaggiano nel cosmo anche grazie alla sua scrittura pregna di metafisica seppur dentro la quantistica della quotidianità. L’ironia nei suoi racconti brevi trasporta il pretesto del qui e ora in una dimensione di tenebra e speranza. Mettere in scena con la sua scrittura densa l’uomo e le sue accettazioni di quasi martire è il suo modo di restare immune alla catastrofe. Tra tutti i suoi libri ho scelto “Sette anni di Felicità” principalmente perché contiene rispetto ad altri suoi una narrazione intima e autobiografica. In queste pagine Keret analizza le condizioni dell’individuo sbeffeggiato dalla felicità e lo fa senza opporsi al percorso di dolore indispensabile per toccare l’apice di quella felicità trasognata. Il libro inizia con il racconto ossessivo di un marito (lui in questo caso) che assiste al parto della moglie tra l’ansia che sbuccia tutti i semi dell’alfabeto, mentre un attentato a pochi centinaia di metri semina panico e terrore. La vita e la morte saranno in tutti i racconti i duellanti di una realtà mai pienamente compresa almeno come destino di un futuro temuto. È una confessione di rimandi il suo sentimentalismo che guarda le evoluzioni del figlio e l’involuzione del padre malato e morente seppure mai votato all’arresa. Durante la lettura di questi racconti ho sfiorato e riascoltato dialoghi intimi e personali, mi sono seduto nell’ennesima cena con i fantasmi del mio passato cicatrizzando ancora una volta la perdita attraverso la certezza dei ricordi e lo spazio delle parole che possono e dovrebbero sostenere l’attimo della commozione e il desiderio della gioia, anche quando tutto ciò che resta di materiale è la traccia di un passaggio, l’identità nella spiritualità. Keret come narratore è impeccabile, minimalista e metafisico nello stesso tempo, si scruta nelle quattro mura di casa, osserva la moglie librarsi in madre, il figlio opporsi alle regole della bruttezza e della paura con una costante curiosità e infine il padre mai vittima di quella fine imminente, tutto ciò eppure lo descrive con una sensibilità controllata ma efficace specie nell’ultimo racconto quando cede l’addio al padre, ancora una volta vita e morte, presenza e assenza. In questi racconti Keret non nega il suo rapporto complicato con la sua natura di scrittore, percorre come sempre i luoghi dell’inquietudine, respira la sua città Tel Aviv anche se ormai rappreso nel fiato corto della disillusione. Anche perché la felicità a volte resiste non senza la consapevolezza di una caduta repentina, di un Dio che spesso abita in luoghi per noi irraggiungibili e quindi è sempre meglio rimanere probabili peccatori ma vivi.

Asteroidi D’inchiostro (Sette anni di felicità)

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