Claudio Piras Moreno, “romanzo è saper interpretare la realtà, forte di tutti gli avanzamenti che ha fatto l’uomo”.

“Lasciate stare le innecessarie prefiche, ché per queste contrade marine non avranno da sollevarsi in falsi pianti. Veritiere pene e angosce si agitano sotto questi remi. Oceani salati da umane sofferenze riversate e mai prosciugate, così tante e tali che la terra è ridotta a un terzo. Siamo circondati da tutto un mare di dolore, e non è possibile tirarsene fuori e andare oltre se non afferrandosi alla speranza, per quanto esigua, senza mai riporla. Io non ci riesco perché mi sono perso nel labirinto e le nubi mi precludono la mappa del firmamento. Vago tra muraglie d’acqua notturna sottoponendomi a questa personale ordalia. Se sono colpevole per aver inseguito un sogno più della mia stessa vita, la tempesta mi ucciderà. Se non lo farà, dovrò comunque proseguire nel labirinto e impazzirò tra infiniti vicoli ciechi, sbattendo come una falena sempre contro lo stesso vetro, dietro la luce ingannatrice. È nel buio la vita: dove la trovano in molti. Allora perché mi ostino a bramare la via del vero e a inseguire i sogni? Sono finito in questo dedalo sterminato. E c’è un solo modo per uscirne, non riconoscerne più l’esistenza. Abbandonare i sogni e le speranze: vetri infrangibili su cui sbattere. Sottrarmi al labirinto con la più abile delle mosse, la codardia”. Un passo dal nuovo romanzo “In fondo al mare la luna”, per introdurvi all’intervista dell’autore Claudio Piras Moreno.

Qual è il ricordo (o un aneddoto) legato al tuo primo romanzo?
Potrei definire mio primo romanzo Il Signore dei sogni, anche se non è propriamente il primo da me iniziato. Però a esso sono legati degli aneddoti davvero vecchi. Uno in particolare è stato un sogno che ebbi all’età di nove anni su un’entità che viveva nei sogni. Era un uomo in frac, con un capello a cilindro, un bastone con un prisma come impugnatura e un mantello che si muoveva anche in assenza di vento. Poi negli anni ho iniziato a interessarmi di psicologia, di letteratura, di fisica quantistica e dall’unione di tutte queste discipline è nato quel romanzo.

Quali autori sono stati significativi per la tua formazione?
Credo soprattutto Victor Hugo, ma più tardi ci sono stati degli autori meno conosciuti ma con una visione letteraria molto potente, prima di tutto Savina Dolores Massa, scrittrice di un’umanità immensa; autrice viscerale (nel senso che scrive secondo umori e pulsioni molto forti, che quasi travolgono il lettore), eclettica e impegnata; un altro autore che mi impressionò moltissimo fu Antonio Scotto di Carlo con il suo Il dio sordo, ma anche con la più recente Parabola del coglione che, a dispetto del titolo, è più un romanzo breve di tipo filosofico, che altro. La sua visione della vita mi ha colpito. Era ottocentesca, da romanzo classico, ne Il dio sordo, filosofica e moderna in questa parabola. Un’altra autrice che di recente mi ha colpito è Mary Blindflowers, con i suoi romanzi pieni di simbolismi, di metafore che si ricollegano alla nostra società, all’attualità, scrive libri di alto contenuto, ma con una scrittura accessibile.

Quale (e per quali ragioni) scrittore e relative pagine che non dovremmo mai dimenticare?
Credo alcune pagine de ‘La peste’ di Albert Camus, in particolare il lungo monologo di Tarrou; poi le pagine finali de ‘La coscienza di Zeno’; il capitolo della morte di Gavroche ne I miserabili, quello dell’Inquisitore ne ‘I fratelli Karamazov’; la scena dell’avvicinarsi della macchia scura ne ‘Il deserto dei tartari di Dino Buzzati’; sono davvero tante le pagine che mi hanno colpito e che non dimenticherò mai. Tornando a Savina, per esempio, mi rimbomba dentro la continua ripetizione della frase “Vattene via!”, rivolta a Maddalenina nel corso di tutto il romanzo ‘Mia figlia follia’. Ogni volta che la leggevo era una fucilata, mi ha commosso. Oppure la lucida follia del protagonista de ‘Il carro di Tespi’, (suo capolavoro).

Qual è – nell’arco della tua giornata – il momento ideale per dedicarsi alla scrittura?
Non esiste un momento ideale, però ne esiste uno inopportuno e ricorrente; buona parte delle mie “migliori” idee mi vengono di notte, o poco prima di addormentarmi, o attraverso i sogni, e allora mi devo svegliare e scrivere. A volte, per non per non perdere il filo dei miei pensieri, non accendo neppure la luce e scrivo al buio; poi l’indomani faccio una gran fatica a decifrare cosa ho scritto.

Qual è la tua ‘attuale’ spiegazione/definizione di romanzo?
Ti ringrazio per aver specificato “attuale”, così nel tempo avrò la possibilità di una scappatoia da quanto dirò. Credo che da sempre, in un modo o nell’altro, il romanzo e la letteratura in generale si siano dovute adattare alla realtà, oltre che osservarla; e la realtà muta a ritmi sempre più rapidi, soprattutto per colpa o grazie all’uomo: con le nuove scoperte scientifiche, con sempre nuove indagini filosofiche e con le varie religioni succedutesi nel mondo. La letteratura in generale e il romanzo in particolare, hanno dovuto cercare di dare una loro interpretazione di questa realtà cangiante, a volte persino precorrendo i tempi, oppure abbandonandosi alla nostalgia di quelli passati. Romanzi impegnati interpretano tutte le contraddizioni e le complessità del nostro esistere e di quello del resto del creato. Ma siamo noi gli esseri più contradditori del pianeta! E infatti, un ramo di indagine a parte è quello che riguarda la sfera individuale, o più prettamente interiore. Romanzi leggeri, invece, si fermano solo su aspetti di superficie, senza scavare troppo. Ecco, per me romanzo è saper interpretare la realtà, forte di tutti gli avanzamenti che ha fatto l’uomo o che l’autore stesso può apportare nel suo piccolo.

Quando un romanzo può dirsi compiuto?
Quando nella sua rappresentazione di aspetti sociali, individuali e psicologici, umani in generale, o riferenti alla scienza, alla religione, alla filosofia, all’ambiente o a qualunque altra disciplina, riesce a cogliere aspetti importanti, a farli propri e a trasmettere almeno un insegnamento. Ecco, per me, un romanzo è compiuto quando insegna qualcosa. Al momento tre sono le tematiche cruciali di quest’epoca, e sono il problema ambientale, quello della sovrappopolazione e quello dell’immigrazione. Quest’ultimo è un problema che si ripresenta continuamente nella storia, e c’è spesso una cosa che ricorre, la volontà della classe al potere di mostrare gli immigrati come il male da combattere. Fornendo al popolo un nemico identificabile lo si distrae da chi realmente lo fa vivere nella miseria e lo sottomette, ovvero la classe al potere stessa. Penso che se più romanzi e saggi ne parlassero, prima o poi la gente prenderebbe maggiore coscienza. Nelle civiltà del passato gli incontri tra popoli hanno sempre determinato un nuovo fermento culturale, perché oggi dovrebbe essere diverso? Gli incontri tra culture diverse devono servire a migliorare entrambe le parti, e non a metterle contro.
Trovo strano che ultimamente pochi romanzi affrontino questi temi. La letteratura è in colpevole ritardo, ma forse è dovuto al fatto che oggi più che mai la cultura è gestita dalla classe al potere che ha interesse a non far nascere dibattiti su certe tematiche, o a indirizzarli a suo piacimento.

La scrittura può (e se può in che modo) restituire ‘purezza’ alla parola?
Io credo che la parola muti, e debba farlo, in base alle mode, alle accezioni che a ognuna (di volta in volta) si attribuisce, e in base anche alle commistioni: con parole straniere, con nuove interpretazioni; insomma, è molto dinamica, e anzi, nel momento in cui diventa statica riesce a far morire una lingua; quindi, in una vera e propria purezza, non credo. Penso che si debba superarlo come concetto, o perlomeno non cercare di imporlo a certe discipline, come per esempio la letteratura. Il concetto di purezza lo trovo valido in giurisprudenza, dove è meglio che a ogni data parola si possa dare il minor numero di interpretazioni per non generare incertezza nel giudizio o nell’applicazione o interpretazione di una legge. Ma anche lì, la giurisprudenza si adatta molto bene alle evoluzioni della parola, perché cerca sempre di attualizzare le sue leggi in base ai relativi aggiornamenti e sviluppi della lingua. Quindi perché si dovrebbe fossilizzare la parola nella ricerca della purezza?
Oggigiorno, qual è (ammesso ne abbia uno) l’incarico della letteratura?
Appunto, come si può capire dalla risposta alla domanda numero sei, interpretare la realtà in tutti i suoi aspetti per fornire a chi legge le basi per capirla e magari per svilupparne una propria visione.

Riporteresti una poesia o uno stralcio di testo nel quale all’occorrenza ami rifugiarti?
La poesia di Sergej Aleksandrovič Esenin, ne riporto solo l’incipit, ma l’intero poema lo sento mio.

(Confessione d’un teppista)

Non a tutti è dato cantare,
non a tutti è dato cadere
come una mela ai piedi degli altri.
È questa la confessione più grande
che possa mai farvi un teppista.

Per concludere, ti invito a scegliere, in aggiunta a quello riportato in apertura della nostra intervista, due estratti del tuo nuovo romanzo “In fondo al mare la luna”.

Avvertenze del marinaio:

Scilla e Cariddi si son vestiti di verde
Quando cantano le sirene lo spettacolo finisce.
Se piovono dèi raccogli farfalle
I kraken salvano le navi, affondano le polene
Se lanci il sasso colpisci il grasso, se spingi la vecchia, le vedi le cosce
Gettato un remo in mare lo raccoglie il vento
Issa l’ancora e il corpo inabissa…

Questi e altri messaggi erano contenuti nel diario del marinaio.

“Perché i Leviatani”, si chiese, “non solcano più il mare?” Perché non occupano le ossessioni dei pescatori? Ci si è forse dimenticati di loro? Dov’è finita la sfida tra l’uomo e la natura? Ascolto lo scoppiettio del motore e mi chiedo cos’abbia ottenuto l’umanità da una simile invenzione. Respiro il fumo che mi satura i polmoni e mi assale un dubbio: allora è questo il nuovo Leviatano? Sono questi i nuovi mastodonti del mare. Non è più la natura a opporci resistenza, ed è contro questo bieco mostro che dobbiamo lottare? Lui non è come gli antichi esseri marini, né è l’incarnazione di qualcosa d’astratto da noi stessi creato. È molto di più, una condizione a cui ci siamo sottoposti rendendocene schiavi, mutando in peggio quanto esisteva di bello nella Terra. Perché in fondo l’uomo non inventa mai nulla. Piuttosto, insozza. E come ci combattono questi nuovi Leviatani? Loro ci intossicano e ci danno talmente tanta forza da trasformare l’oceano in un deserto. Ecco depredato il mare! Disseccata la terra. Uccisi entrambi. E lui con l’alito che gli abbiamo infuso, le secrezioni gastriche del suo divorare, si assicura che non resuscitino più. Uccide pure noi, e ride con questa sua voce che ha per nome Progresso…

*

Claudio Piras Moreno Nato a Lanusei nel 1976. Laureato in Scienze Politiche con una tesi dal titolo: “Le Società perfette nella letteratura utopica e fantascientifica (da Platone a Isaac Asimov passando per Thomas More, Campanella e Orwell)”. Collabora con la compagnia teatrale La Nuova Complesso Camerata di Bruno Venturi e Oreste Braghieri, principalmente come attore, e con la regista Pierangela Calzone. Ha pubblicato tre romanzi: “Il crepuscolo dei gargoyle” di genere fantasy (scritto a sedici anni), “Il Signore dei sogni”, romanzo immaginifico dai molti spunti filosofici e incentrato sui sogni e “Macerie”, pubblicato con la VandA.epublishing di Vicki Satlow, Angela di Luciano e Silvia Brena. Inoltre ha pubblicato una raccolta di poesie dal titolo “Mare di ombre” e una di racconti intitolata “L’icore umano”. Con il racconto che dà il titolo a quest’ultima ha vinto il secondo premio nel concorso “Lettere in aria” del 2011. Con alcune poesie ha ricevuto menzioni speciali e pubblicazione in antologie di poeti contemporanei. Parla e scrive in spagnolo (ha vissuto e studiato alcuni anni in Spagna), parla francese e inglese. Nutre un forte interesse per la letteratura di tutti i generi, la filosofia, l’economia, la psicologia e tante altre materie. Appassionato di musica, dalla classica all’etnica, di qualsiasi lingua e origine.

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