Sette poesie da Cresce a Mazzetti il Quadrifoglio
(Il Ponte del Sale, 2015)
scrivere è come segare uno specchio a metà,
come fischiare dentro un bicchiere
anche se invece servirebbe bere –
stare zitto con un pesce in bocca
e far passare a testa bassa una nave da sotto una porta,
facile solo se si potesse fare –
stare di qua, ma sentirsi di là dal muro
ma niente, devi tenerti di qua lo stesso –
come stare al bordo della pioggia
e arrotolarsi e srotolarsi la voce appena sopra la nuca –
un crollo in salita –
tenersi al caldo, perché qualunque cosa si scriva
lentamente la gela la carta,
posarsi allora una mano tutta intera sulla nuca di vetro,
o fare spazio alle foglie di un albero
tenendolo per mano –
scucire boschi per toccare solo il polso di un ramo –
scrivere è scendere lungo i pomeriggi
con un braccio solo
e coprirsi con l’altro, quello che manca –
spalancare le braccia ai giorni con una penna –
tenersi sul fuoco una penna,
quell’unica foglia secca,
perché qualunque cosa lentamente gela –
scrivere allora è cuocere un sasso poco alla volta,
o starci dentro con un brusio
(un brusio di sasso) –
poi voler pagare tutto con quel sasso nero
o, magari, stare come un sasso nella cesta di una faccia –
voler scrivere è come vivere ogni mattina con il palmo
nella tasca di domani,
prendere forse così alla sprovvista la morte di oggi –
scrivere è stare al buio per assomigliare a tutti
ma sembrando lo stesso nessuno
o assomigliare fra i tanti proprio a quello che fischietta
per ritrovarsi il cuore in viso –
scrivere è raccogliere quello che manca e passare di corsa ad altro
*
voliamo, ma a fatica,
servirebbe un poco più di elettricità.
nei nostri giorni migliori ci solleviamo
come bicchieri aviatori,
per un brindisi a mezz’aria
(il corsivo è dei cristalli),
adesso siamo all’altezza delle bugie bambine
e di altri animali celesti, qui in alto si sorride
a qualunque cosa capiti d’incontrare
giù, in basso, le prime luci del quartiere.
nella caduta l’importante è lasciare che brilli
la parte più leggera di noi
*
passeggiamo
visti dall’alto rimpiccioliamo
chiariamo una pace già chiarita
ma scuriamo sempre in tempo per la sera
tutta l’estate in un batter d’occhio di lancetta
passeggiamo
tutta l’estate in un solo viso
*
è ora di rientrare
di sentire tutta la casa in un abbraccio
è ora di chinare mitemente la testa
di scrutare con dolcezza l’altro
per farsi più leggeri
di poggiarsi con cautela al muro
di guardarsi tra le dita dei piedi
per vedere se è spuntato quel ciuffo d’erba
è ora di sventolare le dita
di lasciare andare dalle mani
i passeri dei piccoli dolori
e di chiudere gli occhi
è ora di rientrare
di fare una luce fragile come un ramo senza foglie
d’inarcarsi come una lampada
sopra il rosso acceso di partenza del divano
all’improvviso spensierati
certi di aver perso qualcosa solo in tasca
*
l’ombra
è il mio lato di gravità
io scomparso di trenta grammi
è la mia mezzanotte di lavagna
il mio riflesso d’eternità
che calza la terra a grandi passi
l’ombra sono io solitario
e al sicuro, sotterraneo,
settantuno chili di riparo
*
scegliere il pendio declinante
di una mano
o il viottolo al centro
di ogni foglia
il cielo viaggiante
smarrito in ogni frase –
sentirsi vivi come una lode
al centro dell’estate
e a distanza lunga un braccio
le stelle altrui
ben visibili ogni notte
*
prego come un angolo
accovacciato dentro un muro
dove la punta di un angolo tocca
la punta di un altro
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