Emil Nolde

Emil Nolde

[…] ipsa quoque interius cum duro lingua palato
congelat, et venae desistunt posse moveri;
nec flecti cervix nec bracchia reddere motus
nec pes ire potest; intra quoque viscera saxum est. […]
Ovidio, Metamorfosi (Libro VI, vv. 306-309)

prima

anche stasera scavo
un solco nella miniera
prima che sia fin di vita
prima che una pietra chiuda
la ferita a un’altra pietra
anche stasera cerco
nelle vene qualcosa di vero
sotto la pelle Niobe
impietrita

 

seconda

c’è una voce nell’abisso della gola
fortunate le pietre che brillano
alla luce della luna
fortunati i sassi
quelli lisci e rotondi
che diventano luminosi
e come uova si aprono

 

terza

sospira anima respira
aria di pietra
apri i polmoni d’argilla
corri nel vero
inspira e come il sasso
che vede il fondo del mare salta
lasciati andare
non dirmi che non hai mai
sentito respirare la pietra
avvicina l’orecchio al mio cuore
è di pietra il paese dove sono nata
vengo da un respiro di pietra

 

quarta

sono qui
in questo secolo
in questo anno
in questo giorno
in queste cifre
undici duemila tredici
in questo angolo
di storia da decifrare
sono qui con le parole e le date cancellate
sono qui con una sola pietra
un inizio
andare a capo
le vene piene di sassi e affondare
rotolare dalla rupe e ferirsi
posare la prima pietra
una nuova storia
sono solo una pietra
sono una pietra sola
la Storia è piena di pietre
e uomini soli

 

quinta

ho imparato
dalle pietre dure dei campi
a mordere la terra
a rompere la zappa

 

sesta

voglio fare un guanto con la pelle dell’anima
masticarla per ore come fanno
le conciatrici di Tumbes
sedute tra le pietre
gli occhi intenti ad assaporare la pelle
voglio ammorbidire l’anima con la saliva

 

settima

ferme nell’incerto tepore dell’esistenza
sul muro lesionato dai guizzi
di code di lucertole e lampi di verde
m’ingannano i fili d’erba
tra le rughe del cemento
s’allontanano come zampe improvvise
sulle pietre resta solo
una macchia di sole

 

ottava

sarei rimasta
davanti al mare
a lanciare sassi
per tutta la vita
estrarre le pietre
dalle cavità del cuore
come un minatore

 

nona

ho pensato a tutti i peccati del mondo
che fanno una sola macchia
più grande del mondo
più il mondo invecchia
più la macchia s’allarga
come il nero di un buco nero
ho sentito dire che ai peccatori
non piace sentirsi soli
che se ne vanno a cercar fratelli
come lupi in mezzo agli agnelli
ho capito che i peccati sono sempre gli stessi
giovani e vecchi
hanno i capelli sempre neri
a volte se ne vanno in giro
con i vestiti buoni
la camicia appena stirata
senza traccia di sudore nessuna macchia
del peccato portano
solo l’odore
ho capito che i peccati tornano
a bussare alla stessa porta
con le nocche dure
che fanno uno strano rumore
rintocchi di pietre sul bronzo
di una campana

 

decima

qui non c’è un tappeto rosso
qui non ci sono sedie di velluto
qui non serve niente
questa stanza non è vuota
qui non serve un tavolo
qui non serve la carta
qui le storie si scrivono da sole
qui la pagina è un muro bianco
le parole sono pietre

 

undicesima

è una pietra il mondo
che non dorme mai
lui sa solo girare e io lo sento rotolare via
è un rumore nel buio del mio orecchio
appoggiato al nero
voglio seguire questa pietra
e la corsa del tempo vivere
con il fragore dei sassi
che mi rotolano dentro

 

dodicesima

provare ogni tanto
a non essere umani
essere sassi
gettarsi in uno stagno
allargare cerchi
toccare il fondo
trovare altri sassi
parlare un po’
la lingua silenziosa
delle pietre.

*

Le dodici pietre di Giovanna Iorio fa parte dell’antologia Ifigenia siamo noi a cura di G. Vetromile (Scuderi Editrice 2014).

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