Erica Donzella e il suo “Scrusciu”, poesia per “provare a significare le cose”.

Erica Donzella (nella foto di Marco Ragaini) lavora nel mondo dell’editoria come editor freelance ed è docente di Storia ed elementi dell’editoria italiana presso l’Accademia delle Editorie (Catania). Ha esperienze editoriali nella pubblicazione di racconti, saggi e romanzi: Io sono Altrove. Cercando Alda Merini (2016), Buon compleanno Barbie (2019), Labyrinthos. Un modello di scrittura, tutti per Villaggio Maori Edizioni. Ha pubblicato poesia: Pyro e Lucky Strike (Prova d’Autore 2012, 2015), Quando cadranno i rumori (Scatole parlanti, 2019). Dirige Aleph-Scuola di scrittura (Catania).

In occasione della pubblicazione di “Scrusciu“, (Samuele Editore 2022, Collana Gialla), abbiamo realizzato un’intervista che ci piace introdurre con pochi versi dal libro: La verità è nelle foglie/ nel tappeto ruggine/ caduta nel margine.

Qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “Scrusciu”?

“Scrusciu” proviene da un silenzio portato dentro per molti anni. Nasce dall’esigenza di ripristinare un equilibrio tra due fasi diversi della mia vita: dopo un silenzio assordante è venuto fuori in maniera naturale il desiderio di dire a gran voce molte cose che erano rimaste confinate a forza nell’indolenza.

Scrivi: “ho cresciuto ali di parola/ che non volano.”, in che modo la (tua) vita diventa linguaggio?

Sono in grado di scrivere soltanto ciò che vivo, almeno in poesia. Il linguaggio usato nei versi è simbiotico rispetto al vissuto e di conseguenza anche le diverse immagini metaforiche rispecchiano nel profondo ciò che nel quotidiano non è semplice dire con parole di uso comune. Le “ali di parola / che non volano” non sono altro che fraintendimenti, lapsus emotivi rimasti nel fondale del non detto.

La poesia è (anche) la lingua dell’invalicabile?

Sì, invalicabile credo sia il giusto aggettivo. Qualcosa deve rimanere insuperabile, un ostacolo interpretativo che deve rimanere sul confine di qualcosa di misterioso. Se partiamo dalla premessa di una poesia come linguaggio che opera un investimento retorico torniamo a un’arte poetica che non ha paura di rimanere sospesa. Anche se non dovrebbe mai dimenticare di essere alla portata dell’universale.

(se) “siamo qui per dimenticare?”, la poesia può colmare la pensosa solitudine del poeta?

La poesia non fa altro che ricordare in realtà. Scrivere versi per me significa continuare a rimestare nella polvere, provare a significare le cose. La poesia non colma la solitudine del poeta, semmai la alimenta cercando un approdo quantomeno precario nella deriva caotica della memoria.

La forma quanto incide sulla “verità” della parola poetica? E il “suono”?

Credo non ci sia poesia senza suono, senza ritmo o forma poetica. Il verso esiste nella sua forma per modellare un intento ben definito: essere ricordato. E non parlo di accademica pratica del recitare a memoria, ma mi piace pensare che sia utile ricordare i versi di un componimento perché hanno ritmo e suonano in base a ciò che sentiamo, come un battito costante senza il quale saremmo sprovvisti di pulsione e significato. Dico spesso che capita di “masticarmi dei versi in bocca”: accade, per esempio, con alcuni versi ritmati di Mariangela Gualtieri, che spesso mi sono d’aiuto per orientarmi nella pratica della vita.

Qual è stato, ad oggi, il dono più prezioso ricevuto in dono dalla poesia? 

Il dubbio. Stare sul confine, appunto. La poesia è una lente di ingrandimento che muove dal grande al piccolo con una maestria chirurgica e riesce a spostare lo sguardo dalla sicurezza alla fragilità. È per questo motivo che la amo molto: quando leggo poesia tutti i piani si inclinano e il senso delle cose scivola in una vertigine che mi porta a riflettere su tutto ciò che mi accade.

Immagino, curando la traduzione (dal dialetto), tu abbia sperimentato l’impossibilità di ricomporre un perfetto equivalente. Quali e quante libertà ti sei presa?

Ho cercato di essere più fedele possibile al suono. Il mio dialetto è un ibrido linguistico caratterizzato da diverse assonanze: dallo sciclitano al catanese. Non è stato facile riportare in italiano tutte le sfumature semantiche proprie di una lingua vera e propria come il siciliano e ho dovuto, in qualche occasione, forzare la traduzione provando a non sacrificare troppo il senso di alcune immagini.

Oggi – in un tempo martoriato dall’assenza di ascolto quanto da una certa ‘afasia’ – ovvero incapacità sempre più diffusa di chiamare le ‘cose’ con il loro nome con gravi ripercussioni sulla “salute” della parola – cosa può la poesia?

La poesia dovrebbe tornare alle origini di pratica attiva orale. Intendo dire che non ci si dovrebbe affatto vergognare di pensare a delle attività concrete di reading, per esempio. Ho imparato nel tempo a pratica l’oralità della poesia in laboratori e attività didattiche e penso sia salvifico l’effetto di una poesia detta con la sua intenzione, con il proprio carico emotivo. La poesia può riaccendere un fuoco sacro che è appunto disturbato da un mancato ascolto. Non è poi così difficile riuscire a praticare la poesia: abbiamo una voce profonda che può ancora essere strumento per tenere la fiamma accesa.

Per concludere salutando i nostri lettori, ti invito a scegliere una tua poesia dal tuo libro “Scrusciu” – (riportandola gentilmente) – e, nel contempo, ti invito a portarci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.

Che non muoia il boato degli ultimi / e venga il tempo a dissolvere / le fratture dei padri / che ci hanno lasciato carcasse / macerie / bordi anneriti di cuore. Non si plachi l’ira dell’amore.

“Scrusciu” è lievitato improvvisamente dalle pagine di diversi taccuini, di versi tagliati e ricuciti nel tempo e grazie all’intuizione di Roberto Cescon che mi ha ascoltata e compresa. È un discorso che proviene dalla prima esperienza di lettura a Pordenonelegge del 2021, in cui molti versi erano ancora inediti ma suonavano già in maniera decisa. Ma se scavo ancora indietro nella memoria, ricordo una lettura al Taobuk 2021 in cui non posso dimenticare l’espressione di GianMario Villalta in ascolto, in un ascolto attivo e con la voglia di capire cosa stessi esprimendo. Senza i curatori della Gialla, editata da Samuele Editore (e quindi da Alessandro Canzian, editore e visionario), “Scrusciu” non sarebbe mai esistito. E a loro sono grata. Ma anche a chi sta portando questo libro con sé. Credo non ci possa essere aspirazione più grande per chi ha il privilegio di scrivere.

Prossima presentazione, alla Mondadori Bookstore di Piazza Roma, a Catania, giovedì 17 Novembre, ore 18, con Pietro Russo e Giuseppe Condorelli. 

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