“Ex madre”, Francesca Del Moro (Arcipelago itaca, 2022)

anteprima 

Ex madre, una definizione di sé ferocemente stigmatizzata da un’ufficialità burocratica spersonalizzante. Con valore privativo. Indica che la condizione o funzione espressa dal sostantivo stesso è ormai decaduta o cessata. Il titolo è il luogo del piccolo, immane, orrore privativo. Il complemento latino di moto da luogo si esprime con ex + ablativo; ex matre, con piccola lenizione della dentale che da sorda si fa sonora, diventa ex madre. La madre è il luogo del lutto. È da un luogo postumo, da una condizione postuma, che scaturisce questa poesia. Ex madre, perdita del sé più viscerale, perdita dell’identità più radicata nel corpo. Il corpo diventa un guscio svuotato che si confonde con la polvere della terra e aspira al pulviscolo divino. Non dal distacco che si fa stile sublime ma da un’identificazione totale, l’orfanità della madre, col figlio morto, che si fa stile umile, classicamente opposto allo stile sublime. Humilis, della terra, dalla terra, humus. Spesso in questi versi si parla di “occhi rotti”, di uno sguardo fisso a terra. Il corpo di chi scrive vi giace, un corpo rotto che cade nella scrittura. La poesia è un corpo sostitutivo, di parole, un corpo ricucito dalla scrittura di una mano estranea, alienata a sé, il corpo in balìa del dolore infinito.

(dalla prefazione di Rosaria Lo Russo)

A emergere è il coraggio di una voce poetica che affronta la forza deflagrante di un evento che disintegra, indicibile, scrivendo un libro inaudito, che oltrepassa qualunque forma di elaborazione indulgente o cieca accusa, benedicendo, in un dialogo sulla soglia tra visibile e invisibile, una lettera aperta, ornata da versi forse inconsapevolmente mercuriali (Mercurio/Hermes è messaggero del cielo, interprete che conduce le anime dei morti, rappresenta il potere della parola, l’emblema del verbo). […] I versi di Francesca Del Moro sono come respiri, sussurri, tutto comprendono-contengono, nessuna concessione al dolore che non venga insufflata dalla poesia, resa nuova, resa carezza, calore, fuoco che scalda senza bruciare. Una trasmutazione alchemica di spasimo, pietà, apparentemente impossibile, una riconciliazione e ricostituzione di quell’Unità perduta senza sconti, deleghe, indugi ma con “…mano ferma / nel ricucire” le ferite dell’anima.

(dalla postfazione di Luigi Carotenuto)

 

 

Ho stretto l’urna contro il ventre,
pesava pressappoco come allora.
Un figlio lo contieni sempre
e ogni minuto io contengo,
ogni minuto sento dentro
mio figlio che muore,
mio figlio che decide di morire.

È arrivato anticipando
d’un soffio la primavera.
Da allora mi ha fatto solo fiorire.
Mi ha seccato l’eterno sole
del luglio in cui mi ha lasciato.
Come lui splendeva troppo
ai miei occhi, li accecava.
E non ho visto la nera, lunga
notte in cui si incamminava.

Nel teatro vuoto come le strade,
sedevamo io e mia madre
e quando ho chiesto com’era
a uno dei suoi tanti padri,
mi ha risposto ‘meraviglioso’,
come tutti, e poi ha letto
il suo addio e si è interrotto
spesso, incredulo, si è preso
il viso tra le mani e per un attimo
ho risentito la sua voce
nel camerino alle mie spalle
quando scherzava insieme agli altri
smettendo gli abiti di scena
nello splendore dei suoi sedici anni.

Ex mamma
ho subito pensato
quando ho letto quel post
di auguri al neo papà.

E ho pensato a mia madre
che piangeva in questura
col fascicolo in mano
e a quel giorno che ha detto:
non sono più nonna.

Ha brillato qui per vent’anni,
poi si è incamminato altrove.

Da allora io sono ferma
voltata verso la sua orma di luce
come un girasole.

Untitled, tecnica mista su carta, cm 15×21. 2021, Loredana Catania, “Ex madre” di Francesca De Moro, Arcipelago itaca, 2022.

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