Guido De Simone, “risemantizza il consueto”.

I tuoi piedi segnavano la strada:
sei sempre stata un passo avanti.
Ma sapendo di non poter restare
m’indicavi disperdersi la luce
oltre il bianco di case distanti,
poi piegate sul mare: “Da lontano
la mia vita quasi non si sente”.
(Poco indietro un cane seguiva
l’odore di carne fino a casa).
Noi non parlavamo tra la gente.

*

Nei viali deserti, dopo la pioggia,
ti vedrò scendere dalla corriera
e mi dirai com’è abitare un altro:
lasciarlo entrare, se fingi, se tieni
ancora la nostra vecchia gelatiera.

Altro non avrò che vento e silenzio,
che viene sempre quando è sera,
il tuo spazzolino ancora mezzo buono,
e il numero della pizzeria sul frigo,
ché ormai non vado più da Spera.

*

Oggi non ricordo più quelle stelle,
ma i tuoi piedi in fondo alla coperta:
l’alba insieme senza rumore, lieve,
l’alba insieme era tutta una scoperta.

 

 

L’amore è consustanziale alla poesia giovane, le si addice, le appartiene. Ma è davvero soltanto un tema, fra quelli che sicuramente occupano di più lo spazio del quotidiano quando i trent’anni sono ancora una meta distante, o è qualcosa di più? Non è anche, soprattutto un modo di disporsi alla vita, di rapportarsi coi fenomeni che la abitano e ci circondano, insomma una misura per percepire il mondo, per poterlo a nostro modo possedere e reinventare? Nelle poesie di Guido De Simone è tema preponderante, accanto a quella sua più felice declinazione che è l’amicizia; ma versi come «Altro non avrò che vento e silenzio / che viene sempre quando è sera», o «l’alba insieme era tutta una scoperta» ampliano la sua, e la nostra visuale, fino a comprendere ciò che attraverso l’amore o la sua mancanza è ancora possibile avvicinare, o anche soltanto pensare o immaginare. Perché di questo, si tratta: di aprire un varco immaginifico, un po’ come faceva Leopardi, non a caso un autore tra i più frequentati dai giovani, o come un suo evidente discepolo, Sandro Penna, tra sentimento e memoria, tra realtà e poesia. Così il suo apparente minimalismo (lo «spazzolino», il numero della pizzeria») non può ingannarci; si carica, piuttosto, di un alone simbolico, risemantizza il consueto, ci inoltra in quell’abisso intorno al quale riconosciamo le nostre comuni necessità. Mi torna in mente un’immagine di Auden, che nella crepa di una tazzina vede addirittura un sentiero verso il mondo dei morti: un oggetto banale attira la nostra attenzione su un particolare che lo differenzia, e quel particolare accende una similitudine inquietante, fa irrompere nella sfera domestica il pensiero della caducità. In De Simone, proprio quando il rapporto si configura come una dimensione esclusiva e distanziante («Noi non parlavamo tra la gente»), l’amore si conferma come una via, altrettanto esclusiva, per accedere a una diversa e più alta consapevolezza, forse a una condivisione, se non di destini, di una non troppo sotterranea, imprevista maturità. Quella che ci consente di affrontare la malinconia del ricordo.

*

Guido De Simone è nato a Gallipoli nel 1988. Si è laureato in Lettere a Lecce e successivamente in Storia contemporanea a Firenze. È docente di ruolo di Lettere nei licei fiorentini. Nel 2018 ha pubblicato il romanzo Mare Alto (Leucotea). Collabora attivamente con il PENS (Centro di Poesia e Nuove Scritture) dell’Università del Salento. Dal 2016 cura il seminario fiorentino È ancora possibile la poesia? Ha partecipato a laboratori e manifestazioni come il Festival delle Culture (Trieste 2016) e Poié (Gallipoli 2017). Sue poesie sono apparse su riviste e blog letterari come «Poeti e poesia». Le poesie qui proposte sono tratte da una silloge ancora inedita, finalista al Premio Guido Gozzano nel 2017 e vincitrice del premio «Bologna in Lettere – Dislivelli» nel 2018.

 

 

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