Scrivere poesia è un processo di scarto e riempimento.
Ricordo ancora quanto ha scritto Maria Zambrano sul tema della parola nel suo “Chiari del bosco” – le parole vere […] si disegnano a volte nei vuoti di un testo. […] Le si riconosce soprattutto perché fanno difetto.
E se dovessi dare un’idea della mia poesia, probabilmente “difetto” sarebbe la parola più adatta.
Difetto – come mancanza di senso di sé, di un radicamento compiuto nella realtà (“Il mondo che fa per me” è un mondo di visioni, apparizioni e scomparse); mancanza di un senso del corpo a cui affidare e attraverso il quale interpretare le proprie emozioni. Difetto – come imperfezione fisica mentale. Difetto che, nella scarsità di sé (o di un senso di sé), trabocca di presenze, in un dialogo costante tra la vita e la morte. Perché il difetto costringe in una zona di confine, che è una striscia sottile, un confine ristretto in cui è difficile tenersi in piedi, piantare radici.
E così, delle tre sezioni di cui è composta l’opera, le prime due si confrontano di più con lo scarto e l’assenza. La terza, come accade nel viaggio di Persefone che dal mondo infero di Ade risale in superficie, si accende di brevi luci, si muove oltre il confine ristretto con un movimento che ricorda una specie di respirazione interiore – e più si respira, più si prende spazio. Una respirazione dell’essere, direbbe Zambrano, di quest’essere nascosto nell’umano che ha bisogno di respirare a modo suo.

tre poesie da “Il mondo che fa per me” di Valentina Proietti Muzi, Amos Edizioni.

 

Qui tutto è senza nome
c’è qualcosa che mi viene incontro
ramifica dalle estremità
e mi circonda

puoi uscire fuori, mi dice
ma ho la testa pesante
che entra negli occhi
un guscio senza pace

Fratture

Ma poi sai ho imparato
a portare molti pezzi
molto piccoli
molti pezzi di me
e a ripetere che all’inizio
era tutto prescritto a uso personale
avendo una sola linea anagrafica
da rimarginare

ma poi sai ho trovato
tutto un territorio di arretrati
c’è chi trova la strada spianata
e chi invece infiniti deserti
resti umani sparsi
da generazioni
e pensa nessuno verrà a salvarmi

In superficie

Ha ragione chi dice che impazzire
è una forma d’arte
una specie elettrica
che coincide con la pelle
quando la pelle è ancora dentro
e in superficie non c’è nessuno

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