Paglia a volo con Céline
Non guardarla mai, non somigliarla
nemmeno; è fumo, certo, un gran
fuoco di paglia che abbaglia tutto.
In tale insonnia va avanti, poi
le scope lo fan saltare chi l’ha
messe lì? Nessuno può capirne
il senso, ormai fuori com’è dal
vaso di Pandora.
Io gli credo. Noi spavaldi
nella nostra salute; quando
gonfia le gote viola, e a vanvera,
che ne so, dice il traffico con l’emicrania
e la gara di sonno. Che gli tranciano
il viso con la pala sinistra.
“È il Novecento un’aurora?”
Macché! Non c’è, non è vero, nessuno
importante. Coi paragoni
ingrandisce anche un nano. Punto.
Poi perde, scappando, semini
di carne.
Che dire? Anche fuori dall’universo
Céline, tossico in astinenza, palleggia
occhi a terra, due mine. L’aurora
l’aveva con sé, tra le mani, come pure
la paglia. Con quei pigiami di
notte, ogni volta un canestro.
La vita del suicida
Le sparerà, nella stanza sua o
silenzio della savana, con tegole
in cima, tenendola stretta al muro,
senza ultimi desideri. Prima
le insegnerà l’ a b c con schiaffetti
leggeri, poca importanza.
Mai
la prese un minuto sul serio, pareva
farcita, nel caso suo, di gerani
cannella al cacao e una lingua
di discoteche. Anche
spruzzo di genere umano. L’indossò,
hai visto mai che non sia
un affare? e lei scalciava,
sentendola
circolare nel plasma. Non una
parola, neppure il contrario
di pensieri nani. La gira, da dietro
si spezza la lancetta del cielo;
le comprime il cervello tra quei
binari. Singolare era
che nacquero insieme. Se la
stacca
di dosso tra terra e aria, braccia
fuori, piedi al suolo, per quanto
sono brevi gli schemi umani. Le spara.
Troppo umano
Lontana la calunnia, l’ubbidienza,
le virtù della caccia senza
offese, le prede finte. Distante sono
da quel che avrei, se potuto era
farlo; so che bastava poco, pochino,
un pezzo, anche covando polvere
sul tappeto. Mai
ho sentito un discorso vero da Loro
con trappole in viso o sedie
elettriche che parlando, pensavo
a carne umana al chilo. Mai al pensiero.
Elementare, figliolo! La panna delle cose
montò, inventava
luci, grattacieli, scale interne, come
fili d’erbe senza cognome. Poi
un volo digitale per aria.
“Che me ne fo’ ?”
Si dicono troppe balle.
Inediti d’Autore. 3 poesie di Cristina Annino
Cristina Annino
Cristina Annino, nata ad Arezzo, vive e lavora a Roma. La sua prima raccolta poetica, uscita con il nome Fratini, è Non me lo dire, non posso crederci (Tèchne, Firenze, 1969). Tra i suoi libri: Ritratto di un amico paziente (Gabrieli, Roma, 1977), il romanzo Boiter (Forum, Forlì, 1979), Il cane dei miracoli (Bastoni, Foggia, 1980), la prima edizione di Madrid (Corpo 10, Milano, 1987), Gemello carnivoro (Faenza, 2001), Casa d’Aquila (Levante ed., Bari, 2008), Magnificat (Puntoacapo, 2009), Chanson turca (LietoColle, 2012), Madrid (seconda edizione, Stampa2009, Azzate, Varese, 2013), Poco prima di notte (L'Arca Felice, Salerno, 2013). È presente nell’antologia Nuovi poeti italiani n. 3 (Einaudi, 1984) a cura di Walter Siti. Da qualche anno si dedica anche alla pittura con apprezzamenti notevoli e personali in Italia e all’estero.
Una risposta